La sovrapproduzione alimentare è il problema, più che i rifiuti alimentari

Per sfamare un pianeta che conterà al 2050 oltre 9 miliardi di persone e mitigare la crisi climatica l’BCFN suggerisce che serve partire da un cambiamento nelle abitudini alimentari. L’alimentazione più sostenibile, e al tempo stesso più salutare, è quella prevalentemente vegetariana. Limitando il consumo di proteine animali a sole due volte alla settimana e facendo spazio a cereali e legumi, si possono risparmiare fino a 2.300 g di CO2 al giorno. Si parla di una riduzione di emissioni di CO2 all’anno per persona di 750 kg. Due recenti studi internazionali arrivano a conclusioni simili. Il primo pubblicato dal World Resources Institute stima che riducendo il consumo di carne rossa si arriverebbe a ridurre le emissione a livello pro capite di una percentuale tra il 15 e il 35%. Qualora si abbracciasse una dieta vegetariana le emissione verrebbero ridotte del 50%.
Il secondo paper pubblicato su Nature Communications, (Exploring the biophysical option space for feeding the world without deforestation) evidenzia la stretta relazione tra consumo di carne e deforestazione. Sulla base di un’analisi di circa 500 modelli di alimentazione, e relativi scenari di produzione a livello internazionale, lo studio  ha identificato circa 300 modelli in grado di nutrire la popolazione globale nel 2050 senza determinare l’abbattimento di nuove foreste. Si tratta di modelli che prevedono un’alimentazione da prevalentemente a completamente vegetariana.
In  un recente rapporto segreto della Nestlé pubblicato da Wikileaks, la multinazionale rimarca che se non cambiamo le nostre abitudini alimentari, gli esseri umani potrebbero esaurire tutte le risorse di acqua potabile del pianeta entro il 2050. 
Nonostante l’allarme  lanciato sul problema da istituzioni di alto livello come la Fao, Kip Andersen, ambientalista e regista indaga nel suo documentario Cowspiracy sul perchè le associazioni ambientaliste tutto sommato ignorino gli effetti  dell’industria “più distruttiva del pianeta” con il risultato di far mancare uno stimolo importante per influenzare le politiche dei governi.

Vytenis Andriukaitis ha recentemente condannato senza mezzi termini il fenomeno degli sprechi alimentari e annunciato che verranno inserite delle linee guida ad hoc per l’UE nel pacchetto di misure per l’economia circolare che si discuterà a Bruxelles nei prossimi mesi.
I 28 Paesi membri dell’Unione secondo i dati forniti dal commissario sprecano alimenti per circa 100 milioni di tonnellate ogni anno. Le contromisure prese dai paesi membri in ordine sparso e spesso legate ad iniziative isolate (come la legge anti-spreco varata dal parlamento francese) non sono sufficienti.

L’obiettivo di dimezzare lo spreco alimentare entro il 2030 che rientra nel secondo dei 17 SDGs ( Sustainable Development Goals) approvati dalle Nazioni Unite per i prossimi 15 anni, può essere raggiunto solamente attraverso interventi articolati e coordinati lungo tutta la filiera alimentare: dalla raccolta nei campi ai vari passaggi successivi della catena di produzione e distribuzione sino ad arrivare alla dimensione domestica.

INIZIATIVE ANTI SPRECO
Diverse iniziative europee mirate a ridurre lo spreco di cibo -a cura di vari soggetti- hanno affrontato negli ultimi anni alcune delle fasi in cui avviene lo spreco alimentare: dal campo all’utente finale. Al tempo stesso, oltre ad aver dichiarato il 2014 come l’anno europeo contro lo spreco alimentare, c’è stato un susseguirsi di convegni e sottoscrizione di protocolli e alleanze.
Ciò nonostante i rifiuti alimentari crescono in modo drammatico e continuano ad essere un problema irrisolto.
Sarà interessante poter verificare se i provvedimenti contenuti nella legge francese contro lo spreco alimentare riusciranno a contrastare l’odiosa pratica giornaliera   che si verifica nella maggior parte dei punti vendita della piccola e grande distribuzione che buttano alimenti ancora edibili. Un’analisi appena compiuta da IPLA sui rifiuti alimentari conferiti ad un impianto di compostaggio nel vercellese ha rilevato che quasi la metà, proveniente da supermercati,  costituita da latticini, ortofrutta e prodotti da forno poteva essere recuperata. Se una maggiore attenzione ai rifiuti alimentari è da ritenersi positiva, per vincere la battaglia contro lo spreco alimentare serve andare oltre cambiando anche l’approccio metodologico e concettuale sin qui adottato.
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