Le risorse contano, dicono i “Comuni Virtuosi”. E mettono in circolo l’economia

Imballaggi a cui non si dà importanza, oggetti buttati invece di essere riparati: lo spreco di materia è un problema sottovalutato. L’Associazione Nazionale Comuni Virtuosi promuove la campagna Make resources count dell’ EEBEuropean Environmental Bureau, a favore di una normativa europea sull’economia circolare.

Ci pensiamo raramente, ma ogni rifiuto che produciamo è un oggetto con una storia. Progettato, creato, venduto. Usato e buttato. Ogni europeo consuma circa sedici tonnellate di materiali all’anno producendo circa sei tonnellate di rifiuti, di cui quasi il 70% viene bruciato o finisce in discarica. Con le conseguenze che sappiamo. Eppure l’imperativo è ancora quello di estrarre, fabbricare, buttare. Anche se è ormai evidente che l’economia lineare, che scarica impatti e costi su ambiente e comunità, non è più perseguibile.
La campagna Make resources count, lanciata dall’EEB e promossa dall’Associazione Comuni Virtuosi vuole portare il problema dell’economia circolare in consultazione europea, sperando di ottenere l’impegno, da parte dei governi della UE, a ridurre drasticamente il consumo di materia. Per Silvia Ricci, responsabile delle campagne per l’ACV: «Si parla molto di economia circolare, ma c’è troppa confusione sul suo significato. Per alcuni è addirittura tutto ciò che non va in discarica, compreso quello che finisce nel termovalorizzatore. In realtà economia circolare è soprattutto far contare le risorse». Sì, perché si ragiona molto su efficienza energetica e rinnovabili, ma ancora poco sulla necessità di ridurre drasticamente il consumo di materia.
Cosa significa in concreto far contare le risorse ce lo spiega sempre Ricci con un esempio: «Siamo portati a pensare che un cellulare si riusa, ed è vero. Ma non basta. Un cellulare deve essere progettato per essere riparato, disassemblato, riciclato. Intervenire unicamente nella fase finale, lo smaltimento, è una battaglia persa. Lo sanno i Comuni, sui quali ricadono i costi maggiori. Oltretutto, montagne di prodotti, anche se suddivisi e mandati in ecocentro, spesso dopo non hanno un mercato. Questo è sprecare risorse».

L’80% dell’impatto ambientale di un oggetto viene dalla fase del design. Quindi è dell’industria la maggior responsabilità. Ma anche dei governi che non si sono dati da fare, finora, per dar vita a leggi specifiche, che facciano pagare di più a chi più inquina e meno a chi produce prodotti più sostenibili. Arginare i danni spostando responsabilità e soluzioni sugli altri livelli della filiera non solo non basta, ma danneggia l’economia.
L’onere maggiore ricade sui Comuni, che non riescono a gestire in modo efficiente la raccolta differenziata, né a trasformare i rifiuti in risorse. In Italia, secondo i dati dell’ACV, i Comuni ricevono una copertura dei costi per la differenziata che non raggiunge nemmeno il 40%, e non hanno i proventi di vendita dei materiali raccolti perché ceduti gratuitamente al sistema Conai.
Come spiega Ricci: «I Comuni devono far sentire la loro voce in Commissione Europea perché è su di loro che ricade il costo di tutto: i cittadini pagano per gli imballaggi, pagano per lo smaltimento. Smaltire nell’inceneritore ha un costo maggiore rispetto alla differenziata, che però è comunque un onere. Che senso ha raccogliere un imballaggio che, proprio per le sue caratteristiche, va buttato via? Il sistema va aggiustato a monte».

Occorre rendere più facile riparare e riusare e fare delle scelte di packaging più responsabili. Le aziende produttrici, ad esempio, dovrebbero promuovere il vuoto a rendere e il deposito su cauzione dei contenitori, come già avviene in Germania e Norvegia. I produttori di oggetti tecnologici e elettrodomestici dovrebbero progettare una durata più lunga di quella attuale. In un mondo ideale questo avverrebbe volontariamente, ma purtroppo le cose non sono così facili. È per questo che la campagna Make resources count vuole spingere Bruxelles a formulare una normativa per l’economia circolare. Perché nel mondo non ideale in cui viviamo non possiamo aspettarci che sia l’industria a tutelare i cittadini e gli enti locali. È tempo che lo facciano i governi.

Tratto da La Stampa– di Valentina Gentile