I nostri tetti verdi

E mentre in Francia i tetti verdi sono incentivati e inseriti nella normativa urbanistica locale e nazionale, qui in Italia restano delle eccezioni estemporanee. Ecco un pezzo tratto da “Il Fatto Quotidiano” scritto da Renzo Rosso.

A metà marzo del 2015, mentre Sarkozy resuscitava mettendo un freno alla resistibile ascesa della Le Pen e una lapide sulle speranze di recupero del presidente Hollande, la Francia approvava una legge che obbliga le nuove costruzioni in zone commerciali ad adottare coperture piantumate o pannelli solari. Insomma, i tetti verdi o anche solo energeticamente attivi guadagnano altro spazio in un importante paesaggio urbano, anche se si tratta di un provvedimento all’acqua di rose. Il governo socialista si è limitato, infatti, agli edifici commerciali e lascia una porta aperta e alternativa ai pannelli solari, mentre gli scienziati e gli ambientalisti avrebbero voluto una norma di più ampio respiro con un fuoco più preciso sui tetti verdi, applicabile a tutti i nuovi edifici. E un incentivo a modificare quelli esistenti in caso di manutenzione straordinaria.

I tetti verdi hanno un effetto isolante, contribuendo a ridurre l’energia necessaria per riscaldare l’edificio in inverno e raffrescarlo in estate, con risparmi tra il 20 e il 30% sugli oneri di climatizzazione. Hanno un effetto decisivo nel limitare le alluvioni urbane dovute a insufficienti reti di drenaggio, poiché riducono il ruscellamento fino all’80% durante i nubifragi, rispetto alle coperture tradizionali in laterizio, cemento o pietra. Aumentando l’evapotraspirazione, aiutano a moderare l’isola urbana di calore, che produce un’insana anomalia termica tra città e zone rurali circostanti. Conservando a lungo l’acqua piovana, favoriscono anche la biodiversità e offrono agli uccelli un sito per nidificare. Sui tetti verdi si può anche coltivare la verdura o la frutta. I tetti verdi migliorano l’acustica cittadina e, se ben inseriti, non peggiorano certo il paesaggio e lo skyline urbano. E un tetto verde dura assai di più di un tetto normale, come dimostra l’edificio dei laboratori universitari di Villa Cambiaso a Genova, progettato da Luciano Grossi Bianchi a fine anni ‘60: c’è stato bisogno di una manutenzione straordinaria del tetto verde soltanto dopo più di 40 anni!

I tetti verdi sono ormai popolari in molti paesi, dalla Germania (dove il 35% delle città li hanno integrati nei regolamenti edilizi) alla Danimarca e agli Stati Uniti (New York, Chicago, Seattle) all’Australia (Sidney, dove si promuovono anche i muri verdi). Sei anni fa, nel 2009, la più grande città canadese, Toronto, ha adottato una norma che obbliga gli edifici industriali, commerciali, istituzionali e residenziali ad adottare i tetti verdi. Non sempre la politica dei tetti verdi è stata un successo, come nel caso di New York, dove il sindaco Bloomberg intraprese nel 2010 la green roof initiative, ma si sta studiando come superare i problemi e si confida che le nuova generazione di queste coperture potrà offrire prestazioni più adeguate alle aspettative.

Molti dei candidati alla carica di governatore nelle regioni italiane, dove tra due mesi si vota, fanno altisonanti proclami di politica ambientale, assai difficili da attuare nel ristretto ambito ragionale. Perché nessuno di loro propone un’iniziativa così semplice e pratica, realizzabile proprio a scala regionale?

Da molti anni gli allievi ingegneri e architetti imparano a progettare e costruire tetti verdi ad alta efficienza ambientale, inserendoli nel paesaggio urbano per migliorarlo. Anni fa, ai tempi della giunta Albertini, proposi di inserire i tetti verdi nel regolamento edilizio all’allora assessore all’ambiente di Milano – il migliore che la città abbia mai avuto, giacché venne a capo con successo dell’annosa questione dei depuratori. Credo che un tentativo di attuare la proposta sia stato anche fatto, ma senza alcun seguito concreto. Se dall’inizio del millennio tutti gli edifici commerciali di Milano, sorti da allora come funghi, fossero stati coperti di verde, forse la città sarebbe migliore; senza dubbio in sintonia con l’Expo sui temi del cibo e dell’energia. E Milano avrebbe anche dato un minuscolo, infinitesimo, affatto marginale contributo alla riduzione delle emissioni di CO2; non trascurabile, però, sotto l’aspetto simbolico.