Piccola accoglienza

Fare accoglienza con piccoli numeri. Il segreto, in fondo, è tutto qui. Perché piccolo è meglio, più gestibile e sensato. Ascoltate l’intervista che Radio Popolare dedica al sindaco di Malegno (BS) Paolo Erba, autore del libro “La valle accogliente“, pubblicato all’interno della nostra collana “L’Italia migliora. Piccole guide per rifare un Paese”.

“Immagina un condominio, in una qualsiasi città, in cui si installano 30 famiglie pachistane. Quello diventa il condominio Pachistan, è già un ghetto”. L’immagine che usa Carlo Cominelli della cooperativa sociale K-Pax è banale, e la conseguenza è scontata. Eppure la nascita della “paura” del migrante, nelle nostre città, parte proprio dalla mancata considerazione di questa semplice intuizione. Alloggiare decine di profughi in un’unica struttura, privata o pubblica, costringe il quartiere che la ospita a confrontarsi con una nuova situazione, e permette a politici e razzisti di far leva sulle, infondate ma istintive, paure della gente per creare uno stigma.

Ci sono molte alternative a questa soluzione, riassumibili nell’idea di accoglienza diffusa: trovare ai richiedenti asilo tanti piccoli alloggi da 4-5 persone, distribuiti sul territorio. Questo tipo di inserimento facilita la relazione con i vicini di casa e non crea disagio.

Non è un’ipotesi campata per aria: questi progetti sono realtà in tanti paesini italiani, e la Val Camonica, tra la province di Brescia e Bergamo, è un bell’esempio di quanto possano funzionare.

La cooperativa K-Pax organizza l’accoglienza migranti in collaborazione con lo SPRAR, il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, ma lavora anche nella città di Brescia per le situazioni di emergenza, ed ha sviluppato un progetto per i migranti con disagio mentale. Sta inoltre gestendo un albergo a Breno, impegnando nella struttura alcuni richiedenti asilo come lavoratori. Attualmente coordina 27 appartamenti in un territorio ampio 150 chilometri, la maggior parte in paesi di piccole dimensioni, sotto i 2mila abitanti.

“Esercitiamo l’accoglienza integrata, cioè con dei servizi supplementari rispetto a quelli previsti dagli accordi prefettizi”, spiega Carlo “oltre alla consulenza legale forniamo formazione al lavoro, tirocini, il servizio di ascolto e sostegno psicologico, distribuiamo il pocket money. Preferiamo dare i soldi completamente in mano a loro, ma chiediamo loro di rendicontarci tutto”.

Non è finita qui: l’accoglienza diffusa garantisce una serie di servizi, che di fatto le grandi strutture, molto più costose, non riescono a fornire. “I piccoli gruppi sono seguiti da personale educativo” continua Carlo “il rapporto è di un educatore territoriale ogni 10 persone, che li aiuta nella gestione dell’appartamento, nelle relazioni tra loro, e soprattutto organizza incontri con il territorio, al fine di favorire l’integrazione. Questo non è scritto nei bandi prefettizi, ma è patrimonio di chi vuole fare un certo tipo di accoglienza”.

La maggior parte degli accolti resta in Italia il tempo necessario per avere i propri documenti, e poi continua il suo viaggio, ma in 11 anni di progetti di accoglienza gli esempio di buona integrazione non mancano. L’esperienza della “valle accogliente” è positiva sotto tutti i punti di vista, come racconta anche Paolo Erba, sindaco di Malegno, piccolo comune camuno che ospita 2 appartamenti di migranti.

“La nostra idea era che il comune facesse da tramite politico a questo progetto, ma che poi a prendersene carico fosse il privato sociale. Credo che ognuno debba fare il suo lavoro; a noi spetta non tanto quello di operare sul campo, ma quello di creare tutte le condizioni perché questo possa avvenire con una ricaduta territoriale sensata. È anche un progetto educativo di comunità: l’idea che lavori con una comunità per renderla il più possibile accogliente”.

I due appartamenti sono attivi da 4 anni, e non si sono registrati veri problemi di convivenza, anche grazie alla presenza dell’educatore sociale che contribuisce a favorire la comunicazione tra i richiedenti asilo ospiti e la comunità. “Se potessi essere il ministro per un attimo, vorrei che questo diventasse un servizio sociale come gli altri”, riprende il sindaco, “Sarebbe bello riuscire a dire che ormai questo meccanismo non è emergenziale, perché questi flussi migratori continueranno per i prossimi decenni. Strutturiamo un servizio sociale che ci consenta di controllare bene chi lo svolge, che lo svolga in maniera seria, rendicontabile, e con i fondi europei creiamo progetti che aumentino anche l’occupazione per la nostra gente. Mi chiedo cosa sia più leghista, se questa mia proposta o dire che devono stare a casa loro!”.