L’incendio del Morrone
Da dieci giorni bruciano le montagne del Morrone, nel parco nazionale della Majella ferito dalla siccità e dagli incendi dolosi, mentre il fumo ha invaso la valle Peligna, alle pendici del gruppo, rendendo l’aria irrespirabile, e praticamente invisibili dalle strade di accesso gli abitati di Sulmona e Pacentro. La visione notturna della zona, per chi percorreva ancora ieri l’autostrada dei Parchi, nei due sensi del tratto Roma-Pescara, era impressionante: vari focolai su più fronti, con alte lingue di fuoco – che nella giornata di domenica hanno interessato anche le alture di San Cosimo, nei pressi del comune di Prezza – rendevano il paesaggio simile ad un girone dantesco. Dal 19 agosto a oggi sono decine gli inneschi appiccati all’interno dei confini dell’area protetta, i più gravi dei quali concentrati in territorio peligno.
E mentre protezione civile, alpini e vigili del fuoco sono tuttora impegnati ad avere ragione delle ultime fiamme, il bilancio provvisorio dell’ente di gestione recita cifre impietose: sono oltre tremila gli ettari andati in fumo, cioè quasi il 5% dell’intera superficie del Parco. Se la maggioranza di questi era coperta da pineta da riforestazione, nella conta figurano quasi 600 ettari di praterie sommitali, prezioso serbatoio di biodiversità che ospita numerose specie rare ed endemiche.
L’epicentro di quello che si profila come il più violento incendio dell’ultimo decennio nel Parco, sono le pinete poste sui versanti occidentale e meridionale del Monte Morrone, già protagonista di un episodio altrettanto intenso negli anni ‘80. Eppure, l’efficacia con cui le fiamme hanno percorso e percorrono tuttora i versanti, ravvivate da continui nuovi inneschi posizionati alle spalle delle linee tagliafuoco, suggerisce una pianificazione raffinata e ambiziosa, mai osservata nel Parco. Dietro la quale, secondo Giuseppe Bellelli, procuratore della Repubblica a Sulmona, potrebbe nascondersi un’unica mente.
“Un grave danno alla biodiversità del Parco, in uno dei settori più belli e di pregio. Un vero e proprio attacco alla politiche di conservazione del Parco e i quali danni saranno visibili per anni” si legge in una nota del direttore del Parco, Oremo Di Nino. Il fuoco non ha sfregiato solamente il patrimonio floristico del Parco, che con oltre duemila specie vegetali può vantare circa un terzo dell’intera flora italiana. A farne le spese è anche la fauna, come osserva lo zoologo Marco Carafa “Le specie più in pericolo sono quelle che si spostano lentamente o che non si spostano affatto, come orbettini e lucertole che si rifugiano sotto le pietre”. Ma anche l’elusivo colubro di Riccioli (Coronella girondica), specie di serpente innocua e comune ma di difficilissima osservazione, segnalata a bassa quota sul Monte Morrone. “Questo non significa che gli animali di grossa taglia siano immuni: lupo e capriolo sono territoriali, per loro l’incendio rappresenta un vero e proprio sfratto” prosegue Carafa.
La consueta aridità che caratterizza la zona in questa stagione, resa eccezionale da questo 2017 particolarmente asciutto, ha fornito ai piromani abbondante vegetazione secca per innescare la scintilla. Il fuoco guadagna le cime degli alberi e salta di chioma in chioma, rendendo complessi e pericolosi gli interventi di spegnimento da terra. “Lo stesso personale del parco, che conosce il territorio, si è attivato per evitare che gli incendi scavallassero la cresta e raggiungessero il versante orientale” ricorda Nicola Scalzitti, responsabile dell’ufficio stampa del Parco. Un’operazione normalmente coordinata dal Corpo forestale dello stato, la cui assenza si è fatta sentire una volta di più in questa prima estate dalla sua soppressione. Nelle scorse settimane il Parco aveva già messo a disposizione della Sala Operativa Regionale i mezzi e i gruppi antincendio provenienti dal disciolto Corpo forestale; ciò che più è mancato è l’esperienza e la competenza della gestione a terra degli incendi, come nell’approntare le linee tagliafuoco.
Il tutto mentre a livello politico infuriano le polemiche sui presunti gravi ritardi con cui si è cominciato a intervenire per spegnere i primi focolai e accuse di inadempienza come quella del coordinatore della Federazione Nazionale dei Verdi Angelo Bonelli verso il Ministero dell’Ambiente.
Fonte: Nationalgeographic