I microgreens di Mezzago
Mezzago e l’agricoltura sono un binomio vincente. Anche quando di mezzo ci si mette la tecnologia e l’innovazione. Un articolo di Leila Codecasa apparso su Milanocorriere.it.
Entri in un’ex distilleria del secolo scorso, e sugli scaffali vedi il fucsia della barbabietola, le foglie carnose della borragine, il verde chiaro del coriandolo. E poi il crescione, il cavolo rosso, la senape, il lino. Tutto mignon. Anzi micro. Sono i microgreens: piantine fatte crescere in vaschette di una decina di centimetri e vendute quando sono alte meno di una spanna. A Mezzago Marta e Bill li coltivano da circa un anno, sabato saranno presenti con il loro progetto alla cerimonia di inaugurazione dello spazio civico nell’antico Palazzo Archinti, in centro al paese (www.coopmezzago.it).
Sono i pionieri in Italia, la loro e’ una start up made in Italy, ma l’idea è arrivata via mail, da zia Caroline, che sta a Seattle. William(Bill) Thake, suo nipote, da una decina d’anni vive a Mezzago con la moglie italiana, ha aperto un’azienda agricola con la cognata Marta Crippa e stavano pensando in cosa specializzarsi. “Cercavamo qualcosa di nuovo, su cui fare la differenza”. E zia Caroline ha proposto i microgreens. Micrortaggi, sconosciuti in Italia, ma sulle tavole americane già dalla fine degli anni Ottanta. Piantine giovanissime, stesso sapore di quelle tradizionali, ma più intenso. E anche più ricco di composti biologici attivi, ovvero più nutrienti.
«Agli americani piace per questo – racconta Marta Crippa – ci decori i piatti in modo scenografico. Il gusto è intenso e colpisce, l’odore è evocativo, hanno ottime qualità nutrizionali». Ma agli americani piace anche perché «per coltivarli serve poco, pochissimo spazio. Ed è ideale per l’agricoltura urbana. Non serve un campo, bastano un capannone, un balcone, un davanzale».
E in Brianza, la provincia più urbanizzata d’Italia l’idea è sembrata ottima anche a Marta e Bill, tant’è vero che anche loro li coltivano in un’ala di un’antica fabbrica dismessa, un’ex distilleria del secolo scorso messa a disposizione dalla Coop locale. «Abbiamo parlato con il presidente, Vittorio Pozzati – racconta Marta – ci ha preso sul serio. Ci ha ascoltato, si è informato, e ci ha dato in uso una parte dell’ex distilleria gratuitamente e ci ha messo in rete in paese per far partire questa start up». «Sì – conferma Pozzati – se davvero si vogliono aiutare territorio e giovani con idee e sogni concreti, è fondamentale dare una mano, senza tante carte bollate o procedure estenuanti».
E il sindaco Giorgio Monti concorda: «Stiamo sostenendo vari progetti per sostenere o far nascere progetti di agricoltura sostenibile e innovativa sul territorio. Questo ne è un esempio». Così in 35 metri quadrati producono ventidue varietà di microgreen. Vaschettine variopinte con fondo di fibra di cocco in cui germogliano le piantine, da vendere ancora in vaschette con tanto di zolletta di terra, per resistere più a lungo. «Abbiamo lanciato anche il Mezzago Mix, quattro varietà col nome del paese che di dà la possiblità di realizzare il nostro sogno. Vendiamo ai ristoranti, alla Coop del paese, ai gruppi di acquisto solidale, ci stiamo attrezzando per il commercio on line», spiega Marta. Il sito già c’è (www.coopmezzago.it), mancano i dettagli per vendita e spedizione. «I social ci aiutano tanto, sia per i micrortaggi che per un altro progetto di agricoltura sostenibile con piante rare che abbiamo avviato (www.piantanatura.it). Per i microgreens è così nuovo, ci ritroviamo dalle nostre indagini ad esser gli unici in Italia ad averne fatto una vera professione ma vorremmo metterci in contatto con chi sta iniziando per fare rete, scambiarci idee».
«In effetti a noi arrivano richieste da tutta Italia, di professionisti o gente comune che vuole capire come fare per coltivare i microgreens», rivela Pietro Santamaria, ricercatore dell’Università degli Studi di Bari. Lavora al dipartimento di scienze agro-ambientali, lui insieme ad un team di ricercatori sono oggi il punto di riferimento in Italia per questo tipo di coltivazioni. Hanno ottenuto un finanziamento dal Ministero delle Politiche agricole e hanno pubblicato il primo libro di ricerca scientifica sull’argomento.
«Nato come coltivazione d’elite per ristoranti americani – racconta Santamaria – si è poi sviluppato anche nel Nord Europa, dove le coltivazioni urbane e indoor sono più diffuse. Ma si stanno studiando applicazioni diverse: ad esempio per Paesi dove ci sono carenze alimentari e difficili condizioni per colture sicure, è utile puntare su micrortaggi che crescono in ambienti controllati. E le ricerche mostrano che sono più ricchi di nutrienti rispetto ad ortaggi tradizionali, in più non è necessario utilizzare fitofarmaci nella coltivazione».
In Puglia i due agronomi Francesco Di Gioia e Carlo Mininni han creato tre anni fa un’associazione, Ortinnova (www.gustailbiodiverso.com), «attraverso cui si è sviluppato il progetto “Micro-ortaggi: nuovi alimenti freschi e funzionali per esplorare tutto il valore della biodiversità” che mira a dimostrare e divulgare come sia possibile utilizzare numerose specie di piante spontanee e varietà di ortaggi tipici pugliesi sottoutilizzate ed a rischio di erosione genetica per lo sviluppo di prodotti alimentari innovativi freschi, funzionali e ad alto valore aggiunto».