Non c’è un tubo da perdere

Ciò che è accaduto a Firenze nei giorni scorsi ha messo in evidenza un dato che ciclicamente ritorna, e che dovrebbe far riflettere la classe dirigente italiana. Nell’articolo tratto da Repubblica.it di Tommaso Tetro una delle tante opportunità che il Paese avrebbe per creare occupazione, ridurre gli sprechi, mettere in circolo un’economia virtuosa.

L’Italia degli acquedotti è ridotta male. Le reti sono un colabrodo: la media di perdite del nostro Paese è del 40% di acqua anche se, scendendo nello specifico, si trovano punte di eccellenza e picchi di cattive pratiche. Utilitalia (la federazione delle imprese di acqua, energia, ambiente) è chiara nel dire che servirebbero investimenti di almeno 5 miliardi all’anno per una rigenerazione, riparazione e manutenzione della rete, e per opere ormai necessarie.

La voragine del Lungarno è anche un modo per disegnare un quadro dello stato dell’arte e per capire il resto del Paese: “Firenze, come succede alla parte più preziosa dell’Italia, soffre la delicatezza di tutte le città storiche – afferma il presidente di Utilitalia Giovanni Valotti – posso dire però che la Toscana è una delle Regioni avanzate rispetto al resto del Paese, sia per le condizioni delle strutture idriche che per gli investimenti in manutenzione delle reti. Servono almeno 5 miliardi di investimenti realizzati e non solo programmati all’anno, tutti gli anni. Invece siamo a meno di un terzo, 1,5-1,6 miliardi”.

Secondo i gestori idrici oltre un terzo dell’acqua erogata si perde nei tubi: ogni 100 litri se ne perdono circa 40; ma il livello di efficienza della rete cambia in base all’area geografica. Ed infatti, secondo un recente report di Cittadinanzattiva – in cui si fa presente che in Toscana le tariffe sono tra le più alte d’Italia – la dispersione di rete più alta che arriva fino al 60% si ha in Calabria e nel Lazio; le migliori sono Valle d’Aosta (20%) e Trentino Alto Adige (26%).

La media di investimento, osserva Utilitalia, è di 34 euro per abitante all’anno, contro una media europea che viaggia tra gli 80 e i 130 euro. Investimenti che però si abbassano quando a gestire le aree sono direttamente gli enti locali, con la media che scende a 12 euro. Il 95,6% della popolazione è collegata ad acquedotti, il 78,5% è collegata a un depuratore (ma oltre il 30%, specie al Sud, ha problemi sotto questo aspetto), il 7% non è collegata al servizio di depurazione; per quanto riguarda i livelli di continuità del servizio, sono circa il 9% le famiglie che dichiarano di subire irregolarità nell’erogazione. Per il presidente di Utilitalia “si tratta di una situazione gravissima che necessiterebbe un ‘recovery plan’; tra l’altro, spesso le nostre aziende programmano gli interventi ma non riescono a portarli a termine in tempi brevi a causa di iter burocratici”.