Camera a gas
Ecco un argomento serio di cui discutere in campagna elettorale. Succederà? Lasciateli il dubbio di dubitarne… Articolo di Luca Mercalli, tratto da “La Stampa“.
Tra automobili, riscaldamenti domestici accesi nonostante il caldo tardivo e disastrosi incendi boschivi nelle valli alpine, in ottobre l’intera pianura Padana si è trasformata in una camera a gas. Con la bassa ventosità, in un «catino» chiuso su tre lati da Alpi e Appennini polveri sottili, ossidi di azoto, benzene, monossido di carbonio e altri composti tossici si accumulano giorno dopo giorno. L’inquinamento c’è anche a Roma o a Napoli, ma sulle coste o in altre situazioni geografiche più favorevoli basta una brezza marittima a disperderlo, mentre la Valle Padana per la sua conformazione conquista il primato di una delle aree con l’atmosfera più malsana d’Europa.
Abbiamo trasformato in discarica il sottile strato d’aria in cui viviamo e respiriamo, come d’altra parte tutti gli altri ambienti terrestri fino agli oceani e ai ghiacciai polari. Pioggia e vento possono dar temporaneo sollievo, ma spostano soltanto il problema altrove, e al ritorno di condizioni meteo calme e stabili lo smog si ripresenta puntuale.
Ne sentiamo parlare tutti gli anni, almeno dal 1950. È un sintomo di un grave malanno che ci si ostina a voler curare con palliativi: blocchi del traffico di qualche giorno, consigli di utilizzo dei mezzi pubblici, un grado in meno nella temperatura delle case. La grave patologia che lo smog manifesta per tutti i venti milioni di abitanti della Megalopoli padana è invece il raggiungimento dei limiti fisici del nostro operare. Con lo smog, che non è solo fuori di noi, ma entra dentro di noi e ci avvelena, l’ambiente ci avverte che lo stiamo sovrasfruttando, compromettendone i processi fondamentali per la nostra vita, dal clima alla biodiversità.
Il segnale che ci porta il fumo padano è forte e chiaro: non possiamo più aggiungere, crescere, produrre, consumare e scaricare a oltranza, costruire case, autostrade, capannoni e viaggiare compulsivamente su mezzi alimentati a combustibili fossili. Abbiamo raggiunto la saturazione, dobbiamo al più presto rallentare la corsa e stabilizzarci in una condizione sostenibile. Occorre rivedere il modello economico dei consumi e dei trasporti, e domandarci intanto perché viaggiamo così tanto.
E’ davvero indispensabile tutto questo nostro formicolare per migliaia di chilometri? Possiamo rinunciarvi, almeno in parte? A cominciare dal superfluo, come la logica del low-cost che ci porta a volare per un caffè a Londra con la stessa disinvoltura di un giro in bici al parco. Poi, ci sono soluzioni come il telelavoro, applicato anche solo un paio di giorni alla settimana laddove possibile tra gli impiegati nel terziario, così come la mobilità elettrica, basata su energia prodotta il più possibile da fonti rinnovabili, che produrrebbero miglioramenti tangibili della qualità dell’aria. Ma se la tecnologia può dare una mano a risolvere qualche problema, ricordiamoci che il nostro orizzonte segnato da una cappa brunastra ci indica da oltre mezzo secolo che quella della crescita infinita non è una direzione sicura verso la quale dirigerci.