Conferenza bagnata conferenza fortunata
La ventiduesima Conference of the Parties (COP22) dei 197 paesi che fanno parte della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) si è aperta lunedì a Marrakesh sotto una pioggia battente. Secondo molti è stato un buon segno, visto l’avanzare della siccità in Africa. Dopo poche ore però il sole è tornato a splendere sopra la “Città Rossa”.
La conferenza ha avuto inizio tre giorni dopo l’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi, avvenuta venerdì scorso, 30 giorni dopo avere raggiunto le quote minime del 55 per cento di paesi sottoscrittori e del 55 per cento di emissioni globali di gas climalteranti. Ad oggi, dei 197 paesi membri della Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, 103 hanno ratificato il trattato che, conviene ricordarlo, è un documento vincolante. A Marrakesh nel corso delle due settimane dei lavori sono attesi circa ventimila delegati tra paesi membri, rappresentanti della società civile e stampa. Per ospitare la conferenza il Marocco ha realizzato una struttura ex novo, il villaggio di Bab Ighl, che si sviluppa su una superficie di 300.000 metri quadrati.
A 11 mesi di distanza dalla COP 21 di Parigi, dove è stato siglato il nuovo accordo globale sul clima, il meeting di Marrakesh dovrebbe essere molto meno politico e più tecnico. Una COP “del fare”, l’ha battezzata qualcuno, in cui approfondire le modalità di attuazione dell’accordo, che saranno poi implementate su scala nazionale. Il tema centrale sono le Nationally Determined Contributions (NDC, le Nazioni Unite sono una giungla di acronimi), cioè i piani che ogni paese deve predisporre per raggiungere i risultati previsti dall’Accordo di Parigi, ovvero un contenimento del riscaldamento globale “ben al di sotto” dei 2° C.
L’Accordo di Parigi è entrato in vigore in tempi molto rapidi, a meno di un anno dalla COP 21 di dicembre 2015. Evidentemente c’è una volontà politica comune di agire in fretta. Il Protocollo di Kyoto, approvato nel 1997, entrò in vigore solo nel 2005, otto anni dopo, con l’adesione della Russia che permise di raggiungere il tetto minimo del 55 per cento di emissioni globali di CO2.
La data di inizio dell’Accordo di Parigi è il 2020 e molti ritengono che sarebbe necessario predisporre una roadmap anche per i tre anni prima di quella data. A oggi 94 paesi hanno predisposto il primo piano nazionale (NDC), alcuni con obiettivo 2025, altri con obiettivo 2030. L’Europa lo ha fatto con un documento comune, che indica l’obiettivo vincolante di una riduzione delle emissioni del 40 per cento entro il 2030, sempre rispetto al dato iniziale del 1990 che funge da indicatore di base fin dal Protocollo di Kyoto. A Marrakesh si discuterà delle strategie e degli strumenti per raggiungere questi obiettivi, del coinvolgimento necessario delle città e dei governi locali, del contributo della società civile, sperando sia davvero “la COP del fare”.
Di Emilio D’Alessio, Architetto – Agenda 21 – Campagna delle Città Sostenibili d’Europa