Consapevolezza globale
La COP22 di Marrakech si è conclusa poco dopo la mezzanotte di venerdì 18, quasi rispettando l’orario del programma. Seguo le conferenze sul clima delle Nazioni Unite dalla COP13 del 2007 e non ricordo una sessione finale così smooth, senza contrasti e lunghe veglie notturne. Anche lo scorso anno a Parigi l’accordo arrivò solo nella mattinata di sabato, dopo una lunga notte in bianco.
La conferenza di Marrakech aveva un mandato importante: individuare le modalità e gli strumenti di attuazione dell’Accordo siglato un anno fa a Parigi. Il risultato è stato in parte raggiunto, tanto da provocare commenti positivi non solo dalle Nazioni Unite e dai 198 parties, le nazioni che fanno parte della Convenzione Quadro sul Cambiamento Climatico. Anche le ONG e la Società Civile tracciano un bilancio con il segno più, anche se molto è ancora da fare. L’immagine che rappresenta meglio la COP22 è la family picture organizzata da Greenpeace alle 12 di venerdì 18, ultimo giorno della conferenza: centinaia di persone raccolte all’ingresso di Bab Ighli attorno alla scritta We Will Move Ahead, Noi Andremo Avanti.
Lunedì 7, quando la COP22 è iniziata, le nazioni che avevano ratificato l’Accordo di Parigi erano 96. Alla fine della conferenza erano salite a 111. La consapevolezza globale sulla necessità di limitare il riscaldamento del pianeta è sempre più condivisa. Una volontà politica irreversibile, come si è ripetuto a Marrrakech. L’ultimo segnale è la dichiarazione di 48 paesi in via di sviluppo, tra i quali Filippine, Etiopia e Bangladesh, di puntare a zero emissioni entro il 2050. E molti hanno sottolineato come siano proprio le economie più povere ad essere in prima lineea, nella consapevolezza della propria fragilità rispetto alle minacce del riscaldamento globale.
Donald Trump è stato eletto presidente degli Stati Uniti martedì 8 novembre, quando i delegati di tutto il mondo erano già al lavoro a Marrakech. L’ombra arancione di Trump ha aleggiato sopra la COP e il suo nome è stato ascoltato anche negli interventi ufficiali. Il Segretario di Stato americano John Kerry non lo ha nominato, ma nel suo appassionato “canto del cigno” ha ripetuto come emergenze globali quali il cambiamento climatico non possono dipendere da egoismi e opinioni personali.
A Marrakech si è insediata la CMA, la commissione permanente che dovrà individuare le modalità e le azioni per attuare l’Accordo di Parigi. Si è deciso un percorso biennale, che si concluderà alla COP24 del 2018, con una revisione di medio termine nel 2017. Come è scritto in uno dei tanti documenti approvati a Marrakech “c’è ancora molto da fare”. Soprattutto in tema di finanziamenti. La nota positiva è che la COP22 ha confermato il fondo annuale di 100 miliardi di dollari destinato a partire dal 2020 ai paesi in via di sviluppo. La nota negativa è che non si è deciso come arrivare a questa somma in così breve tempo, visto che gli stanziamenti dei paesi OCSE ad oggi sono solo di qualche centinaio di milioni. Alcuni paesi dell’Unione Europea (Belgio, Germania, Italia e Svezia) hanno annunciato nuovi finanziamenti per l’Adaptation Fund, che devolve somme ai paesi in via di sviluppo per progetti di adattamento al cambiamento climatico. Ma il fondo è in tutto di soli 81 milioni, una briciola rispetto a quanto necessario.
Per mettere in pratica l’Accordo di Parigi si dovranno realizzare gli obiettivi delle NDC, i contributi nazionali che ogni paese deve redarre. Una sorta di piani di lavoro in cui sono elencate le azioni concrete da attuare. Per valutare e confrontare questi piani è prevista la redazione di un regolamento, un rulebook, che includa standard, metodologie, criteri di valutazione. Sul piano tecnico sarà questo il lavoro che impegnerà l’UNFCCC da qui al 2018.
Sul piano politico la volontà comune sembra consolidata, malgré Trump. L’impressione è che saranno le imprese e i mercati a guidare la cordata, perché il business delle energie rinnovabili, delle nuove tecnologie e delle azioni di resilienza è un volano economico ormai inarrestabile e centrale per l’economia globale. A partire dai grandi paesi emergenti. Cina, India, Brasile, Indonesia, Malaysia, Sud Africa stanno puntando su questi settori per la crescita delle loro dinamiche e aggressive economie. In questo quadro un eventuale disimpegno della nuova amministrazione USA porterebbe conseguenze disastrose per l’economia americana.
Restano sul tavolo le cosiddette orphan issues, i temi cruciali su cui neppure a Marrakech si sono fatti passi avanti. Questi “orfanelli”, che qualcuno chiama anche homeless matters, non hanno soggetti responsabili nè scadenze temporali. Tra queste la definizione di una tempistica comune per le NDC, i piani nazionali di azione. Poi i chiarimenti sulle modalità di elargizione e di controllo sull’utilizzo dei finanziamenti ai paesi in via di sviluppo. I criteri per la revisione biennale dei progressi ottenuti prevista dall’accordo di Parigi. Le linee guida per un processo di educazione, formazione e sensibilizzazione pubblica, anche questo previsto dall’art. 12 dell’Accordo di Parigi. E molte altre questioni irrisolte.
C’è davvero ancora moltissimo da fare. Ma la direzione è intrapresa e, come è stato ripetuto a Marrakech, il processo è irreversibile. Andremo avanti, we will move ahead.
Emilio D’Alessio – Agenda 21 Italia