In particolare, in questo periodo la capitale è riuscita a consumare 54 nuovi ettari di territorio, mentre Torino è seconda tra le città sopra i 150mila abitanti, con 23 ettari utilizzati: il capoluogo piemontese è arrivato a 8548,5 ettari totali consumati, che ammontano al 65,7% del suo territorio totale, mentre Roma è a 31mila 563, che sono “solo” il 24,5% della sua estensione e Milano a 10mila 424 ettari, che sono il 57,3% del suo suolo disponibile.
A livello regionale, è proprio la Lombardia la regione con più suolo utilizzato, con quasi 309mila ettari pari al 12,9% del totale, seguita dal Veneto col 12,2% (quasi 224mila ettari) e dalla Campania col 10,7% (145mila ettari): da questo punto di vista, le zone più virtuose sono Sardegna, col 3,7% e 90mila ettari consumati, la Basilicata col 3,4% e la Valle d’Aosta col 2,9%, anche il Piemonte come regione fa molto meglio di Torino, con il 6,9% di territorio sfruttato. A livello provinciale, l’incremento maggiore di suolo consumato si è avuto nei sei mesi interessati a Treviso, con 180 ettari, seguita da Salerno, Roma, Viterbo e Vicenza, mentre in termini assoluti Monza e Brianza risulta la provincia con la percentuale più alta di consumo di suolo rispetto al territorio amministrato (oltre il 40%), seguita da Napoli e Milano (oltre il 30%), Trieste, Varese e Padova.
Ma come è stato consumato questo ulteriore suolo? in primo luogo sono state costruite o ampliate aree urbane “a bassa densità”, vale a dire dove si trovano centri abitati ma con ancora molti spazi non utilizzati, che è quindi più facile “inglobare” nella città: questo dato corrisponde al 23,1% del totale tra 2015 e 2016, incluse le strade locali e urbane. Il 22,3% dei cambiamenti nelle grandi aree urbane riguarda proprio l’aumento di densità delle popolazione, mentre il 27,9% del territorio utilizzato ha visto sorgere nuove aree industriali e commerciali.
Grave la situazione anche si guarda alla qualità del suolo perduto, visto che in generale il 23,2% si trova nella fascia costiera entro i 300 metri dal mare, mentre l’11,8% è in aree classificate come pericolose per quanto riguarda le frane e un altro 11,2% in zona a rischio idraulico. Ma il territorio è una ricchezza anche economica, non solo per l’uso che se ne può fare ma per i servizi ecosistemici che offre: secondo gli esperti di ISPRA e SNPA (Sistema nazionale per la protezione ambientale), infatti, tra i 630 e i 910 milioni di euro l’anno è il costo determinato dal venir meno di funzioni che il suolo impermeabilizzato non può più svolgere, in primo luogo la produzione agricola (oltre la metà del totale), la protezione dall’erosione, l’infiltrazione dell’acqua, lo stoccaggio del carbonio e la qualità degli habitat.