La resistenza è morta?

E’ ormai da qualche tempo morto l’ultimo combattente a Malegno. La domanda sorge spontanea: è morta con lui anche la Resistenza?

E’ una domanda insidiosa, a cui non basta più, come risposta, la “solita” retorica da 25 aprile, spesso troppo verbosa e senza più cuore. Se non è morta, la Resistenza, è certamente gravemente malata.

Quale Resistenza mettere in campo, 71 anni dopo?

– Dobbiamo recuperare la capacità di riconoscere nell’altro una persona piena di valori. Quale somiglianza avevano Cattolici, Comunisti, Liberali, Azionisti, perfino Monarchici, se non la capacità di vedere nell’altra persona una possibilità e un pregio, anche e soprattutto nella diversità. Vent’anni di dittatura “a luce soffusa da salotto” ci hanno trasformato in piccoli dittatori con il telecomando in mano e squadristi da tastiera. I nipoti di quegli uomini (badate bene, non i nipoti dei fascisti, ma i nostri, i nipoti dei cattolici/comunisti/Etc etc) arrivano a teorizzare che la vita umana vale più della proprietà privata, che è giusto riportare in auge la legge del taglione, abbattendo più di duemila anni di diritto. Invochiamo e costruiamo muri, senza imparare, dopo millenni di storia, che non sono mai serviti a niente. Una nazione che ha saputo ricostruirsi dopo la Guerra, dopo il terrorismo, dopo catastrofi naturali ha PAURA di accogliere centomila persone (CENTOMILA: l’un per mille della popolazione italiana!) in fuga dal massacro, o dalla fame, che è poi solamente un massacro più lento.

– Dobbiamo dire basta a questa illogica visione del mondo da opposte tifoserie, che divide (“Diabolos”: colui che divide) i continenti, le nazioni, i paesi, persino le famiglie al proprio interno. Dobbiamo uscire da questa orrenda semplificazione che ci mette in continuazione gli uni contro gli altri, dall’attacco personale, dal non rispetto reciproco. Dobbiamo ricordarci che il fascismo è stata una teoria condivisa nella cultura della popolazione italiana prima che diventasse una occupazione militare.

E’ morta la Resistenza? Forse no, ma certamente è malata grave. Quale terapia prescrivere? Quale insegnamento attuale dobbiamo trarre dai “Ribelli per amore”?

– La risposta è piena di parole declinate al femminile: Speranza, Solidarietà, Pace, Libertà, Passione, Politica. La risposta è femminile. In una grammatica terribilmente maschilista (pensate: se ci fosse una piazza piena di donne ed un solo uomo, dovremmo rivolgerci a loro utilizzando il maschile) come la nostra, è un segno. E’ necessario, vitale, indispensabile, urgente rileggere le nostre azioni con una logica femminile. Sostituire comunità a individualismo, solidarietà a egoismo, accoglienza a muro, Noi a Io (oggi ero a Messa per la cerimonia del 25 aprile. Cantavano il PaterNoster in latino. Su 12 righe, in 8 c’è il termine Noi, declinato in diverse maniere. Queste sono le radici della nostra cultura europea: dove sono queste radici nelle nostre azioni concrete? Dov’è il Noi davanti all’Io?)

Europa. Se fossero vivi oggi, i nostri nonni Partigiani, lotterebbero per una Europa unita, politica, viva, sognata e fortissimamente voluta da sempre dall’Italia. Ci salveremo solo così, o moriremo nelle nostre vigliacche e sterili rivendicazioni da cortile.

Passione e speranza. Ricordare è etimologicamente “riportare al cuore”. Serve passione, più che calcolo, slancio utopico, visionario e creativo, invece che lamentazione e indignazione. Lo dobbiamo ai nostri nonni, ribelli per amore. Lo dobbiamo ai nostri figli, che devono tornare a innamorarsi e vibrare per la nostra Italia e della nostra Europa. Ce l’hanno scritto nel Dna italico da secoli. A noi il compito di squarciare il velo deposto sopra i loro occhi negli ultimi decenni.

Paolo Erba, sindaco di Malegno (BS), membro del direttivo nazionale dell’Associazione Comuni Virtuosi