La terra risarcita
Non è affatto la prima volta, come riporta il giornalista del Corriere Claudio del Frate. Ma è senz’altro una buona notizia la decisione dell’amministrazione comunale di Reggio Emilia di fare un passo indietro (dopo anni di devastanti passi in avanti…) rispetto alle classificazioni urbanistiche previste da PSC (piano strutturale comunale).
E’ un prendere atto di una crisi che proprio una politica di cementificazione meschina ha in parte aggravato e appesantito. E’ un venire incontro a proprietari di terreni che si vedono così ridurre le tasse su appezzamenti che non rendono. Ed è forse l’occasione per risarcire il territorio degli scempi del passato (e del presente), restituendo alla funzione agricola un pezzo di città. Ecco l’articolo apparso su Corriere.it.
«Là dove c’era l’erba ora c’è una città…» cantava nel 1966 Adriano Celentano e sembrava una profezia nefasta e irreversibile. A distanza di 49 anni il comune di Reggio Emilia sfata la «sindrome della via Gluck» e inverte la tendenza alla cementificazione. Per la prima volta dal dopoguerra una città italiana ha deciso di riconvertire a uso agricolo vaste aree del suo territorio destinate a costruire case e fabbriche: è un’idea di futuro e di evoluzione, quella che ha accompagnato l’Italia del boom economico, ad essere messa in discussione mentre si aprono scenari fino a ieri impensabili.
Una delibera di giunta di tre settimane fa ha proposto di cancellare a Reggio Emilia una serie di aree classificate dal piano regolatore come edificabili ma rimaste da anni inutilizzate, riclassificandole a uso rurale; ai proprietari toccava aderire o meno a questo invito, un passaggio necessario anche per evitare decisioni calate dall’alto e mettere il riparo l’ente pubblico da una pioggia di ricorsi. La risposta arrivata negli uffici del municipio è stata sorprendente: i titolari di ben 32 ettari di terreno (20 a uso residenziale, 12 a uso industriale) hanno già dato l’ok affinché le loro proprietà tornino a essere campi e pascoli. Tutto questo nel perimetro di un capoluogo di 170mila abitanti. È una virata di 180 gradi, come è facile immaginare, rispetto al processo di urbanizzazione che ha accompagnato la crescita delle città italiane nell’ultimo mezzo secolo almeno.
«La nostra decisione – racconta Alex Perassoli, assessore all’urbanistica di Reggio Emilia – non fa altro che assecondare una tendenza del mercato già in atto: la crescita demografica della città è ferma da anni, l’industrializzazione anche e comunque non sarà quella che abbiamo conosciuto nei decenni passati. Oltre a questo reputiamo un valore non incoraggiare il consumo del suolo ma al contrario valorizzare il patrimonio edilizio già esistente». Tutto vero, ma un cambio di marcia così deciso, tale da togliere anche valore economico a una vasta area del territorio, non si era mai vista…«Anche a noi risulta così in effetti – conferma Perassoli – eccezion fatta per il, tentativo di alcune città di abbassare gli indici di edificazione ma non di cambiare la destinazione d’uso delle aree, strappandole all’edilizia e all’industria e riconsegnandole all’agricoltura».
La «sindrome della via Gluck» aveva intrappolato molte altre città italiane che si ritrovano oggi nella stessa situazione di Reggio Emilia: tanto per fare l’esempio di due centri non distanti da Reggio, negli anni ‘80 il piano regolatore di Mantova e Lodi immaginava per la prima una crescita fino a 110mila abitanti e a 75mila per la seconda; oggi entrambe sono sotto la soglia dei 50mila. Ma davvero è ipotizzabile un futuro di granoturco, stalle e orti che si alternano a palazzi e tangenziali? «Il nostro è prima di tutto un tentativo di riconoscere valore al lavoro agricolo – spiega ancora l’assessore – anche perché ci troviamo al centro di una regione che produce eccellenze in campo alimentare . Il cambiamento da noi introdotto non vuole rappresentare solo un vincolo di tutela paesaggistico ma vuole al contrario sostenere un mondo per noi di assoluta importanza».