L’alfabeto speciale
Settembre 2013. Un bambino di cinque anni si perde sulla spiaggia di Cattolica. Lo trova una famiglia che gli chiede come si chiama, dove sono i suoi genitori. Il piccolo li guarda. Non risponde. Come se capisse quello che gli dicono. E gli altri non riescono a intuire quello che lui, silenzioso, vorrebbe comunicare. È straniero? Autistico? Sordo? Leonardo ha una grave sindrome genetica che gli blocca pensieri e parole. Ma quanti sono come lui, stretti nell’impossibilità — o difficoltà — di raccontare storie, bisogni, emozioni? «Sono bambini che non parlano la nostra lingua, dobbiamo metterci in contatto con loro per altre vie», spiega il suo papà, Mario Taddei. Che è un eclettico scienziato, docente che spazia dal design all’informatica fino all’ingegneria rinascimentale, ed è anche uno dei maggiori esperti internazionali di Leonardo da Vinci.
Il Codice atlantico
Nei disegni del Codice atlantico, tanto per dire, Taddei ha scoperto tre automi progettati dal genio, tra cui il famoso robot. Ma la sua conquista più grande è quella ispirata dal figlio. Ed è avvenuta a casa, di notte, nei ritagli di tempo dal lavoro, durante gli ultimi otto anni. Quest’uomo ha inventato un linguaggio logico-simbolico per interagire con il figlioletto. Una sorta di alfabeto semplice, universale, con cui tutti possono esprimere infinite sequenze. L’hanno usato prima in famiglia. Perché il bimbo potesse comunicare con i genitori e il fratello. Poi, spinto dal desiderio «incontenibile» che potesse esprimersi anche con i compagni e le sue maestre, Taddei ha creato uno «Scrigno magico» con quattrocento carte e altri strumenti ludico-didattici per insegnare il Codice segreto. E lo ha regalato alla classe di Leonardo.
Intelligenza nuova
«Gli studenti, italiani e stranieri, tutti, l’hanno imparato subito, velocissimi, allenando i processi logici e intuitivi — afferma lo scienziato sulla base dei suoi studi —. La geometria e la matematica supportano la lingua. È una forma di intelligenza nuova, anche sociale». Ma il papà non si è fermato qui. Con la moglie Cristina Caramori, avvocato, e alcuni professionisti amici — Chiara Conti, neuropsichiatra, Elisabetta Rosa, logopedista, Giulia Santagata, interprete Lis-Lingua italiana dei segni e tanti altri — ha fondato la onlus «Le parole di Leonardo». Obiettivo: diffondere nelle scuole lo Scrigno, chiave d’accesso per «rendere democratica la comunicazione». Ebbene, insieme hanno vinto un concorso del Miur e appena avviato una sperimentazione in dieci classi di Cassina de Pecchi, vicino a Milano. Si cimentano allievi dai 5 agli 11 anni (materna, primaria e medie), mentre i volontari spiegano con semplicità i simboli. Il metodo funziona. «Ho solo mescolato la Lis, lingua dei segni per i sordi, e il Bliss, noto in Canada e sconosciuto da noi. Un insieme di ideogrammi che rimandano a quelli egiziani, basati sulla scomposizione logica e visuale dei concetti», sminuisce lui. La pioggia diventa un’onda tagliata da righe verticali e la donna è una linea dritta che termina con un triangolo, nelle religioni antiche simbolo della creazione.
Il papà
Taddei ha semplificato un linguaggio che fino a un attimo prima di averlo imparato sembra ostico. E lo Scrigno ha attirato l’interesse di due case editrici che vorrebbero comprare l’idea. Niente da fare. Il papà non la vende. «Non voglio farla entrare nel mondo dei prodotti su cui si lucra — dice —. Intendo invece trovare chi la può produrre su larga scala e distribuirla gratis a tutti». Lui, in cambio, non vuole proprio niente. Cosa sarebbe il mondo, se le persone parlassero un linguaggio universale, segreto, accessibile a tutti, nessuno escluso? Lui ora sta elaborando una App, anche quella da regalare, per raggiungere anche i ragazzini un po’ più grandi. «Per mio figlio, tra medici, logopedia e altre terapie, spendo ogni mese metà dello stipendio. E chi non se lo può permettere?», chiede. Il mondo ha sempre più bisogno di inclusione: «Vorrei che tra dieci anni, quando un bambino alzerà il dito come ET, quel dito si illumini, e tutti capiscano di cosa ha bisogno». Perché nessuno mai più sia isolato e «si senta alieno».
Di Elisabetta Andreis – Fonte: Corriere.it