Lo Stato sfiduciato
Il consiglio comunale di Licata ha approvato una mozione con la quale ha sfiduciato il sindaco della città, Angelo Cambiano.
Le motivazioni a supporto della discutibile decisione che hanno accompagnato il dibattito precedente la votazione, riguardano la scarsa capacità dell’amministrazione in carica ad attrarre risorse e mettere in campo progettualità in grado di stimolare l’occupazione.
Stando a quanto ci riporta la cronaca e le dichiarazioni del primo cittadino, invece, parrebbe proprio che l’azione risoluta nel fare rispettare la legge rispetto alle numerose costruzioni abusive presenti nel territorio, sia stata decisiva nel convincere la maggioranza trasversale a togliersi di torno un sindaco davvero scomodo.
Ora, non conoscendo da vicino l’azione politica e amministrativa del sindaco e della sua giunta, e non volendo in nessun modo idolatrare un uomo che, nell’espletamento della sua funzione istituzionale temporanea altro non stava facendo che il proprio dovere, ci preme sottolineare una questione importante.
Che fine ha fatto la politica della tolleranza zero, quella che servirebbe sul serio al di là dei fiumi di retorica e dell’asfissiante solidarietà postuma, utile solo a nascondere le macchie della propria sporca coscienza? Perché, oggi, a Licata, non c’è il Presidente del Consiglio a difendere un uomo delle istituzioni minacciato più volte e oggi sfiduciato da una politica che ancora una volta ha perso una ghiotta occasione per fare bella figura? Perché mai in questo Paese sembra la regola essere forti, fortissimi con i deboli, e infinitamente laschi con i forti e con i furbi?
Tra pochi mesi, in Sicilia, si voterà per rinnovare il consiglio regionale. Molti segretari di partito, in queste settimane, fanno avanti e indietro sull’isola a caccia di consenso, alleanze e voti. Questo importa, e nulla più. L’immagine, vista da fuori, è quella di un gruppo affamatissimo di avvoltoi, in attesa dell’ultimo sospiro del moribondo disperso.
Ma voltare le spalle a chi amministra le comunità mettendo in cima alle priorità del proprio agire l’interesse collettivo e la cura del territorio, significa perdere quel poco di credibilità che ancora rimane appiccicata, nonostante tutto, alle donne e uomini dello Stato che operano con onestà nello Stato, per lo Stato.