Norme per l’arresto del consumo di suolo

Il 24 gennaio 2009 nevicava, a Cassinetta di Lugagnano (MI). Me lo ricordo perché ero venuto in macchina, da Colorno, con il terrore di rimanere bloccato da qualche parte lungo il tragitto. Ma l’occasione era troppo importante per mancare. Quel giorno rappresentava l’atto fondativo, simbolico e concreto, della nascita di un movimento inedito, intorno al quale conversero da vari territori e da vari ambienti tutta una serie di realtà istituzionali e associative che da anni elaboravano proposte mettendo in atto azioni di ribellione ed elaborazione sul tema del consumo di suolo. Nell’articolo di Chiara Spadaro per Altreconomia salutiamo quindi una gran bella notizia. Tra le cose che in questa legislatura non hanno visto la luce c’è senz’altro una legge sul consumo di suolo, ecco quindi una proposta organica che arriva dal basso. Vuole essere uno stimolo e una moral suasion per chi tra poche settimane sarà protagonista del nuovo quinquennio parlamentare.

Fermare il consumo di suolo e recuperare il patrimonio edilizio esistente, riconvertire le aree abbandonate e valorizzare i centri storici e le periferie da un punto di vista urbanistico, socioeconomico e culturale. Da oggi una proposta di legge costruita dal basso raccoglie questi obiettivi e li consegna al prossimo Parlamento: il testo è curato dal Forum Salviamo il Paesaggio, grazie al quale in 13 mesi un gruppo di lavoro multidisciplinare, composto da 75 persone di diverse formazioni e provenienze, è riuscito a scrivere la proposta di legge popolare. “È stato un lavoro collettivo capace di far dialogare professionalità che spesso non riescono a comunicare tra loro”, racconta Alessandro Mortarino del Forum italiano dei movimenti per la terra e il paesaggio (www.salviamoilpaesaggio.it). Il testo elaborato dal gruppo di lavoro, “è stato poi consegnato a tutti gli aderenti al Forum (oggi oltre un migliaio di associazioni, ndr), perché ciascuno potesse fare le proprie osservazioni”, che sono state recepite dal gruppo fino ad arrivare alla stesura definitiva del testo.

Era il gennaio 2009 quando a Cassinetta di Lugagnano (MI) si promuoveva il manifesto della campagna “Stop al consumo di territorio”, per fermare la “minaccia, l’attacco e l’invasione di betoniere, trivelle, ruspe e mostri di asfalto” sui suoli italiani e lanciare l’allarme di “un impoverimento senza ritorno” dei nostri suoli e del patrimonio culturale. “C’era allora un’attenzione crescente sul tema da parte dei cittadini -osserva Mortarino-, ma ancora un grave disinteresse da parte del mondo politico”. Due anni più tardi, nel 2011, si è costituito il Forum e allora, “sei mesi dopo la grande assemblea fondativa con oltre 600 persone da tutta Italia, il tema del consumo di suolo entrò nell’agenda dell’allora Governo Monti”. Il disegno di legge (mai approvato) presentato nel 2012 dal ministro delle Politiche agricole, Mario Catania, parlava di “contenimento del consumo di suolo agricolo”. “Era stato un salto in avanti da parte del Governo, con alcuni contenuti condivisibili, ma ancora molte debolezze, mentre l’Italia ha bisogno di norme stringenti in materia”, sottolinea Mortarino.

Basti un dato (dell’Ispra): nel 2018 continuiamo a divorare terra al ritmo di quattro metri quadrati al secondo. Un dato più basso rispetto al picco del 2000 (8 mq/s) e anche alla media degli ultimi 50 anni (tra i 6 e i 7 mq/s), ma ancora allarmante: “Perdiamo suolo e con esso perdiamo biodiversità, bellezza, paesaggio, qualità della vita, salute, storia, agricoltura”, sottolinea il Forum.“Il nostro Paese è in grado, oggi, di produrre appena l’80-85% del proprio fabbisogno primario alimentare, contro il 92% del 1991”.

La proposta di legge popolare intitolata “Norme per l’arresto del consumo di suolo e per il riuso dei suoli urbanizzati” si compone di 10 articoli. Il primo illustra finalità e obiettivi, quali “contrastare in modo deciso il consumo di suolo” (definito nel secondo articolo) e “salvaguardare gli spazi vitali per il benessere dei cittadini e delle loro comunità”; tutelare la biodiversità per “la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici”. Nella stessa direzione vanno “il riuso e la rigenerazione dei suoli già urbanizzati” e “il risanamento del costruito” attraverso ristrutturazioni, restauri e riconversioni (regolati dall’articolo 4).

“Nella proposta di legge abbiamo voluto inserire un richiamo forte all’articolo 42 della Costituzione” (nell’articolo 8), spiega Mortarino, secondo il quale “la proprietà è pubblica e privata” e “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge (…) allo scopo di assicurarne la funzione sociale”. “Il venir meno di quest’ultima fa venir meno la stessa tutela giuridica, con la conseguenza che i suoli tornano nella proprietà collettiva della popolazione del Comune interessato, come sta già facendo il Comune di Terre Roveresche (Pu)”.
Dalla data di entrata in vigore della legge, quindi, non sarebbe consentito nuovo consumo di suolo “per qualsivoglia destinazione” (articolo 3), rispondendo alle esigenze insediative e infrastrutturali “esclusivamente con il riuso, la rigenerazione dell’esistente patrimonio insediativo e infrastrutturale esistente”. I Comuni dovrebbero quindi “provvedere ad approvare specifiche varianti ai propri strumenti di pianificazione, al fine di eliminare le previsioni di edificabilità che comportino consumo di suolo in aree agricole e in aree naturali e seminaturali”.

“Con questa proposta di legge popolare si afferma in modo ancora più chiaro che il ‘Parlamento del suolo’ sta oggi fuori dal Parlamento italiano”, aggiunge Paolo Pileri, professore ordinario di Progettazione urbanistica al Politecnico di Milano. “Questa proposta, infatti, non arriva dalla politica delle istituzioni, ma dal basso, dal territorio e credo che il Forum stia consegnando un materiale prezioso che i futuri rappresentanti del Governo non potranno ignorare”.
Si tratta di una proposta di legge che “non può cancellare la cementificazione del suolo già avvenuta, ma può fermare quella futura e impedire l’apertura di nuovi cantieri che divorano la terra, aiutandoci a fare dei passi importanti anche in termini culturali -aggiunge Pileri-. Lo stato di salute del suolo, infatti, è oggi preoccupante, ma il suo stato di salute culturale versa in condizioni se possibile peggiori: questo tema non è ancora nelle agende politiche e le Regioni affrontano soggettivamente il problema. Non sprechiamo questa occasione per agire”.