Pietralunga la bella
La bella storia del Comune di Pietralunga (PG) nell’articolo di Michela Marchi.
«Pietralunga è immersa nell’incanto di fitti boschi di cerro e roverella che rivestono le pendici appenniniche e il fondovalle, e danno l’impressione di vivere in un mondo primordiale. Con la piazza del borgo centrale dove i bambini giocano a pallone, liberi dal controllo ossessivo degli adulti, le generazioni si incontrano e la comunità trova se stessa. Possiamo dire che sì, Pietralunga è un’oasi felice». Avete ragione, forse questa è un’espressione troppo abusata. Eppure in questo caso è difficile non essere d’accordo con il sindaco di questo bel borgo (e nostro anfitrione nel viaggio che stiamo per cominciare). Siamo nell’Appennino umbro-marchigiano, nell’Alta Valle del Tevere o meglio ancora nella Valle del Carpina. Un paesino di pietra, un sistema abitativo a “case sparse” che risale addirittura all’Età del Bronzo, quando i pastori nomadi della Comunità appenninica eressero sulla cima dei colli le primitive roccaforti, i castellieri, che potete ammirare ancora oggi. Negli anni Sessanta del ‘900 il paese vive un feroce spopolamento. La popolazione si dimezza, ma non si arrende, e la vita ricomincia dal centro, che si anima e popola di attività ricettive e artigianali, mentre i poderi abbandonati confluiscono in una grandiosa Foresta demaniale che ora supera i 10.000 ettari.
Quando identità diventa sinonimo di benessere
A guidare questa laboriosa e piuttosto gioiosa comunità c’è Mirko Ceci, sindaco alla seconda legislatura che con una certa soddisfazione ci racconta come i 2300 abitanti di Pietralunga lavorano per (far) vivere la fiaba.
«Abitiamo un territorio di 140 km quadrati e abbiamo la minore densità di popolazione di tutta la regione: 16 km quadrati a testa. Metà dei pietralunghesi vive in centro, l’altra metà nelle varie frazioni», racconta Mirko ben conscio del valore di tutto quello spazio. «Abbiamo capito l’importanza di risorse quali la bellezza del paesaggio e la gastronomia tradizionale, quella vera, espressione del territorio. E ora viviamo un felice ritorno all’agricoltura e alla trasformazione dei suoi prodotti. Un settore che dà lavoro e produce una ricchezza vera, pulita. Le aziende più valide sono quelle che trasformano il tartufo: in due impiegano 90 dipendenti». Con questa piccola introduzione, oltre che l’acquolina in bocca, Mirko ci ha già fatto venire voglia di scappare qualche giorno a Pietralunga. E non avremmo certo difficoltà considerate le strutture ricettive, che possono accogliere fino a 600 persone: «Anche l’attività turistica diventa una fonte di lavoro e reddito sempre più importante. La stagione va da marzo a dicembre con picchi da maggio a settembre. Raggiungiamo le 35mila presenze dichiarate». Ceci non si fa pregare e ci svela subito il segreto dell’impresa: «La nostra amministrazione ha lavorato moltissimo sulla costruzione dell’identità del territorio, sulla valorizzazione delle nostre risorse, sul rispetto del bello. Qualche anno fa abbiamo aderito all’associazione Borghi Autentici e abbiamo iniziato un percorso di promozione che ci ha portato ad aderire anche a Comunità Ospitali, un progetto che mette in rete diverse realtà in tutta Italia e che da noi coinvolge una quarantina di attività produttive». Tra cui quelle che aderiscono a un consorzio, anche questo nato su iniziativa dell’amministrazione comunale: «Anche se si tratta di un prodotto povero, abbiamo voluto scommettere su una varietà di patate coltivate nelle nostre montagne. La patata bianca di Pietralunga. Abbiamo costituito la denominazione comunale del prodotto (De.Co) con certificazione annessa». Ha funzionato: all’epoca della fondazione, nel 2010, al consorzio aderivano 4/5 attività. Oggi sono una ventina: «La produzione è aumentata così come il numero dei ristoranti che la propongono, un modo sia per allocare il prodotto sia per promuovere il nostro territorio fuori dai confini. Siamo pronti anche per avviare imprese di trasformazione: puntare su questo prodotto è stata una scelta vincente». Attorno alla patata di Pietralunga è nata anche la Comunità del cibo dei produttori di patate bianche di montagna: «Ci piacerebbe aprire un Presidio Slow Food».
I servizi sociali
Oltre a stimolare l’occupazione, Ceci ha pensato anche a rendere più gradevole e semplice la vita a Pietralunga: «Per tenere a Pietralunga i giovani il lavoro non basta. Dovevamo offrire servizi. Per questo ho molto insistito e collaborato all’apertura dell’asilo nido». Anche in questo caso ha avuto ragione, molti ragazzi grazie a questa possibilità meno onerosa hanno evitato di affidare i bambini a personale non qualificato e cercato all’occorrenza. Un investimento che tra l’altro non ha impedito la necessaria messa in sicurezza delle scuole che hanno giovato di una ristrutturazione antisismica. Ma Ceci non si è dimenticato dei suoi concittadini più avanti con l’età, favorendo un sistema di trasporti che potesse conciliare la morfologia del borgo: «Molti dei nostri anziani non vivono in centro. Allora abbiamo pensato a un taxi sociale, gestito da un’associazione di volontari, che potesse accompagnarli dal medico, o a fare la spesa». Per onor di cronaca aggiungiamo che sotto una certa soglia di reddito, il servizio è gratuito. Gli altri godono di una tariffa convenzionata.
La gestione pubblica dei terreni confiscati
Come nelle fiabe, a un certo punto si presenta l’antagonista, e anche Pietralunga ha dovuto confrontarsi con i cattivi di turno. Di quelli veri. «Non potevamo certo immaginare che la mafia avesse interessi anche nel nostro territorio. Ma una volta superati stupore e amarezza ci siamo dati da fare per scrivere il lieto fine su questa brutta storia. Ci siamo rivolti all’associazione Libera contro le mafie e abbiamo chiesto l’affidamento dei terreni confiscati alle cosche. Abbiamo siglato un accordo e destinato, per un uso temporaneo, questi beni a campi estivi. Sono arrivati ragazzi da tutta Italia che hanno ripulito i terreni che, incolti da decenni, erano in uno stato di totale abbandono. Poi, lo scorso anno abbiamo avviato la coltivazione del primo prodotto: non poteva che essere la patata bianca. A maggio l’amministrazione ha ottenuto l’assegnazione definitiva e abbiamo intenzione, insieme a Libera, Regione Umbria e Camera di Commercio di Perugia, di sottoscrivere un protocollo e dare il via a un tavolo di regia per un progetto di sviluppo. Vorremmo costituire una cooperativa di comunità (ne abbiamo parlato qui). Stiamo già organizzando un’iniziativa pubblica proprio per presentare il progetto e coinvolgere più persone possibile. Per l’Umbria sarebbe il primo esempio di gestione pubblica di un bene confiscato».
Articolo di Michela Marchi, tratto da Slowfoof.it