Smettiamola con il consumo di suolo

La memoria presentata in occasione dell’audizione alla Commissione Agricoltura del Senato dello scorso 14 febbraio, alla quale hanno partecipato il coordinatore nazionale Marco Boschini e Bengasi Battisti, del Comitato Direttivo. Ringraziamo il Prof. Paolo Pileri del Politecnico di Milano per i contributi al testo.

Con la presente ringrazio a nome dell’Associazione Comuni Virtuosi per l’opportunità che viene data per poter esprimere le proprie osservazioni sui disegni di legge sul consumo di suolo. Porto i saluti della nostra Presidente Dott.ssa Elena Carletti e del Comitato direttivo. Vi ringraziamo per averci convocato per avere un nostro parere relativamente ai Disegni di Legge in discussione sul consumo di suolo.

Due parole intanto su di noi. L’Associazione nazionale dei Comuni Virtuosi, nata nel 2005, è una rete di enti locali (ne fanno parte 115 Comuni sparsi su tutto il territorio italiano) che opera per un’armoniosa e sostenibile gestione dei propri territori, diffondendo ai cittadini nuove consapevolezze e stili di vita all’insegna della sostenibilità, sperimentando buone pratiche attraverso l’attuazione di progetti concreti ed economicamente vantaggiosi, legati alla gestione del territorio, all’efficienza e al risparmio energetico, ai nuovi stili di vita e alla partecipazione attiva dei cittadini.

L’idea alla base dell’Associazione è quella di coinvolgere, coordinare e riunire i Comuni italiani intorno alle pratiche di buon governo: riduzione del consumo del suolo e tutela del paesaggio, mobilità sostenibile, rifiuti zero ed economia circolare, nuovi stili di vita, partecipazione attiva della cittadinanza alle scelte di governo, inclusione sociale ed accoglienza.

La diffusione delle buone pratiche avviene tramite una serie di strumenti e appuntamenti: dal “Premio Comuni Virtuosi” alla collana editoriale “L’Italia migliora. Piccole guide per rifare un Paese”, dalla borsa di studio per neo-laureati “Dario Ciapetti” alla Scuola diAltra amministrazione, dal “Festival della Lentezza” fino alle campagne comunicative rivolte ai cittadini legate agli stili di vita (“Meno rifiuti più risorse”, “Porta la sporta” ecc).

 

La questione del consumo di suolo è nel dna del percorso quasi quindicinale della nostra rete. Al momento della richiesta da parte di un Comune di aderire all’Associazione, è al primo punto nel modulo dei requisiti che tutte le amministrazioni devono compilare. La gestione del territorio e la pianificazione urbanistica rappresentano una linea di demarcazione fondamentale per distinguere se un comune è realmente virtuoso.

Siamo tra i co-fondatori del Forum “Salviamo il paesaggio” e da anni lavoriamo per diffondere una cultura della tutela del paesaggio a partire dagli esempi concreti che in questo campo dimostrano da tempo quanto sia non solo necessario ma possibile invertire la rotta, folle, del consumo di suolo.

E qui sta il centro della nostra riflessione. Sono ormai vent’anni che si parla di consumo di suolo (anche di più in realtà). Non c’è piano regolatore, legge regionale, regolamento, in cui non si palesi la più grande ipocrisia dei nostri tempi. In premessa tutti si confessano santiprotettori del territorio e rivendicano atti concreti per la riduzione del cemento. Si organizzano convegni, si realizzano plastici e rendering di fantasmagorici quartieri smart pieni di alberi ed aree verdi, salvo poi smentirsi nelle tavole di piano, nelle bulimiche varianti parziali, modifiche ed eccezioni che diventano regola. Ci si inventa soluzioni e ci si ingegna per mascherare ciò che è sotto i nostri occhi: non esiste crisi che riesca a contenere l’invasione delcemento, l’arroganza di speculazioni edilizie che smembrano i territori e lacerano irreparabilmente l’identità sociale di interi pezzi di comunità.

E allora la risposta a tutto questo non può che essere l’interruzione immediata senza se e senza ma del consumo di suolo. Una moratoria, decisa e imposta dall’alto, senza lasciare all’anarchia della parcellizzazione del governo del territorio le scorciatoie locali. Senza più obbligare sindaci sotto ricatto, senza risorse, a sacrificare il futuro svendendo aree ed edifici pubblici, modificando destinazioni urbanistiche e pregiudicando per sempre terreni fertili. Mortificando il paesaggio, compromettendone illogicamente la resilienza che è la linfa vitale di ogni nazione.

Ma è corretto fare una precisazione, altrimenti rischiamo di cadere nelle ambiguità. Molti termini in questo settore sono stati letteralmente manomessi in alcune leggi urbanistiche, in alcuni manuali e rapporti fino a ottenere risultati dall’apparenza virtuosi, ma che non lo sono affatto. La stessa definizione di consumo di suolo è diversa in tutte le norme regionali approvate. E in tutte si è data da fare per definire le cose in modo tale da garantirsi una quota di consumi di suolo pur affermando l’esatto contrario. Quindi occorre fare un lavoro di restituzione di senso alle parole usate per tutelare il suolo. lo stesso suolo il legislatore definisce in molti modi diversi. Ogni diversità nasconde, in questa materia, la possibilità di un consumo, di un degrado. Senza fissare le parole, rischiamo di girare attorno ai concetti senza tutelare nulla. Anzi, rischiamo ipocrisia e decrescita culturale.

Tornando al fenomeno del consumo di suolo, noi sosteniamo da tempo che occorre fermarsi, subito. Riteniamo che prima di ogni iniziativa vada anteposta un capillare censimento dei piani regolatori di tutti gli 8000 comuni italiani. Prima di toccare un solo metro quadrato di terra fertile con la motivazione di rispondere a un bisogno abitativo, occorre responsabilmente capire quale è l’offerta potenziale abitativa in ogni comune. Quindi occorre censire il costruito incompiuto, inutilizzato e sottoutilizzato ancor prima delle aree dismesse. Di tutto ciò non esiste banca dati italiana e questo ci relega nelle ultime posizioni internazionali. Tutte queste disponibilità, più o meno ‘pronto uso’, vanno poi incrociate con le reali esigenze delle famiglie che necessitano di un alloggio o delle aziende in cerca di una sede operativa e produttiva. Mettendo in cima alle priorità la salvaguardia del creato e non il suo contrario. Superando l’idea perversa che basta adottare qualche palliativo sotto forma di pannello solare per rendere una nuova edificazione sostenibile.

Sono anni che lo diciamo. Meglio ancora, che lo sperimentiamo. Sono decine le esperienze consolidate di comuni che hanno de-classificato e de-cementificato intere porzioni di territorio. Sindaci coraggiosi, che hanno pure subito l’onta delle denunce e dei processi uscendone assolti completamente, ma non accendendo nel legislatore il desiderio di raccogliere quegli atti per farne norma, mettendo fine all’inutile spreco si suolo. La prima richiesta/proposta è questa: mettiamo nelle condizioni di agire con lungimiranza quelle amministrazioni che scelgono la strada, ben più complicata, del riuso e della rigenerazione in specie della scorciatoia cementizia. Vengano premiati quei sindaci che rinunciano al drenaggio di risorse immediate per mettere toppe a bilanci colabrodo, ipotecando un futuro di improbabili miglioramenti e di sicuri debiti (economici, sociali ed ambientali). Si imponga una visione di insieme, non più frazionata nei mille rivoli degli interessi di parte, dei piccoli feudi municipali. La pianificazione deve garantire una visione di area vasta, non il diametro dell’ombelico di un sindaco megalomane.

A gennaio 2018 il Forum nazionale dei Movimenti per la Terra e il Paesaggio “Salviamo il Paesaggio – Difendiamo i territori” licenziò una proposta di legge di iniziativa popolare denominata “Norme per l’arresto del consumo di suolo e per il riuso dei suoli urbanizzati”. Il primo comma dell’Art. 3 (Arresto del consumo di suolo) parla chiaro: “Dalla data di entrata in vigore della presente legge e nel rispetto di quanto previsto al comma 1 dell’articolo 9, non è consentito consumo di suolo per qualsivoglia destinazione; le esigenze insediative e infrastrutturali sono soddisfatte tramite il riuso, la rigenerazione e la riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti secondo quanto indicato all’articolo 4. Il semplice criterio economico, anche se configurato come di pubblico interesse, non può essere motivo per consentire il consumo di nessun suolo. Se si continua a parlare di rigenerazione tenendo aperto il rubinetto del consumo di suolo su aree di fatto agricole, la rigenerazione e il recupero non partiranno mai. Mai come un legislatore attento spererebbe. Rigenerazione e recupero troveranno il loro mercato quando non ci saranno falle e scorciatoie più redditizie per chi vuole fare affari.

Ripartire da quei dieci articoli è la nostra proposta e piattaforma. Basta con i fraintendimenti, con le formule che dichiarano un principio contraddetto dalle azioni successive. Il consumo di suolo va fermato, e va fatto adesso, senza codicilli, deroghe, se e ma, senza parole ambigue che cambiano il nome alle cose per assicurarsi di non cambiare le cose. Ogni metro quadrato di suolo asfaltato è un metro quadrato che non torna più indietro, un metro quadrato in meno per produrre cibo, un metro quadrato in meno che assorbe acqua del nostro paese fragile, un metro quadrato strappato alla ricerca scientifica farmacologica che là scopre rimedi medicali ancora inediti e, anche, un metro quadrato che aumenta la spesa pubblica che è dovere delle istituzioni ridurre. L’ultima cosa che possiamo fare con il suolo è consumarlo.

Ringraziandovi ancora per la sensibilità e disponibilità dimostrate, l’occasione mi è gradita per porgere i miei più

Distinti saluti Il Coordinatore, Marco Boschini

IL VIDEO DELL’INTERVENTO (dal minuto 40)