Tangenti a Malegno
Ci vuole spirito per costruire bellezza e ci vuole una cassetta degli attrezzi che contenga tutti gli utensili necessari: visione del futuro, memoria del passato, capacità di spremere il succo degli errori compiuti, voglia di mettersi in discussione e soprattutto la consapevolezza che i problemi, no, non si superano da soli, i problemi si superano insieme.
Arrivo in Val Camonica intorno alle 15 di un giorno di fine estate. La scenografia è quella solita che mi accompagna ormai da vent’anni in giro per questo Paese meravigliosamente pieno di contraddizioni che è l’Italia. Dove la terra è piana l’uomo copre e devasta, quando la terra inizia a salire abbandona e rinuncia. Vale per l’Appennino, vale per le Alpi.
Ma per ogni regola che si rispetti esistono delle eccezioni a confermarla, e Malegno è il senso di questa eccezione. Duemila anime per un borgo di gente fiera e concreta. Qui il tempo della vita è da sempre scandito dal lavoro e dai sacrifici. Dall’agire, anche. Sembra non esserci spazio per il sogno e per le emozioni. Basta scavare un po’, però, e come altrove c’è una comunità che batte con un cuore forse stanco, sicuramente vivo.
Sono qui per presentare i due progetti culturali che avevamo pensato ad inizio 2020 per celebrare i primi 15 anni della nostra rete: la mostra fotografica di Marcello Ginelli “L’Italia che ci guarda” e il monologo teatrale “Se si insegnasse la bellezza” di e con Giulio Cavalli. E’ il primo giorno di un Festival importante, che mette al centro i bambini, che è poi tutto il contrario di quanto è avvenuto in questi mesi drammatici che abbiamo vissuto. Le foto sono appese come panni stesi sotto al porticato del centro di comunità, e nelle vetrine dei negozi sfitti. Lo spettacolo, invece, andrà in scena alla sera, nella piazzetta principale del paese, che ospita “Mites terram possident”, la struggente opera di Gonzalo Borondo che ha dipinto nel 2018 una parete lunga quindici metri per sei.
Girare il borgo in compagnia del sindaco Paolo Erba è uno spettacolo. Un corso di formazione. Una lezione di come dovrebbe essere, sempre, la politica. Il nostro dialogo è continuamente interrotto dalle persone che si fermano per una chiacchiera, un problema, una proposta. Paolo ha una parola per tutti, un sorriso, e cambia mille volte ruolo a seconda della richiesta sollevata. E’ sindaco. Ma pure operaio. Tecnico. Insegnante. Vigile… E cittadino. E’ il compagno di viaggio, la guida, di una comunità in cammino.
In questa valle dove l’orientamento politico non è certo quello che sposa integrazione e porti aperti, si pratica con successo da diversi anni e senza particolari tensioni la micro-accoglienza diffusa, a dimostrazione che fuori dagli slogan ci sono le persone con un nome e un cognome, ed è lì l’intuizione che fa cambiare tutto.
Dicevamo dei bambini, però, e di un festival che nasce intorno ad un investimento forte (progettuale, umano ed economico) per farne diventare il perno delle azioni politiche di un intero territorio.
“Sono tre i sogni nel cassetto che parlano di educazione e rilancio sostenibile del centro storico – mi confida durante la camminata Paolo -. L’obiettivo prioritario è completare il Centro di Comunità e i suoi 2.000 mq. completamente dedicati all’educazione e ai nostri ragazzi. Grazie ad un contributo della Fondazione Cariplo e ai fondi dei comuni confinanti iniziamo i lavori per ristrutturare la parte storica di questo ex-convento, che ospiterà al proprio interno il doposcuola, la biblioteca e un innovativo parco didattico per le energie rinnovabili”.
Proprio questa settimana è nato un bambino, e per un borgo che come altri rischia lo spopolamento è un giorno di festa che vale tantissimo.
“Il secondo obiettivo è la ristrutturazione di Casa Borondo, che ci è stata donata da un cittadino: il progetto è quello di realizzare un piccolo ristorante sociale, che verrà gestito da una cooperativa sociale finalizzandolo all’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati. Sarà anche una casa dell’Europa, che potrà ospitare i ragazzi e le ragazze europei provenienti dagli scambi organizzati da una realtà molto attiva nel territorio, Camoneurope”. Una casa dell’Europa in un borgo di duemila anime, capite quanto è largo il respiro di certi visionari?
“Il terzo progetto si pone l’obiettivo di recuperare un grande edificio storico, oggi abbandonato, per farne una sperimentazione di abitare collaborativo. Un housing sociale per dare casa a giovani coppie, a uomini separati con difficoltà economiche, a persone con lievi disabilità per percorsi di autonomia. Vorremmo mettere insieme una comunità di persone che abitano assieme questa parte di centro storico, per condividere progetti, vita comune, visioni di come rendere più bello, e felice, il nostro piccolo paese”.
Paolo è un indigeno di questa terra. E quindi forse non vede ciò che a un forestiero come me è ben chiaro. Che questo voler mettere insieme una comunità di persone per condividere progetti per rendere più bello e felice un paese qui non è più, solo, visione. Ma cantiere in lento e ostinato movimento. Strada calpestata. Mani e pensieri e sguardi e azioni che si stringono e intersecano. Sono come una tangente, che tange, e quindi tocca. Ma non in un punto solo, in tanti punti diversi.
Ed è una tangente che chiedo al Governo, affinché i sogni di questo popolo camuno possano trovare scampo e ristoro. Ricoprite d’oro questa comunità! Per far sì che le cose si facciano bene, e in fretta, le cose che vi ho solo accennato, e le tante altre che Paolo sognerà stanotte e domani notte, e l’altra ancora.
Perché è da queste parti che “torna la voglia di fare”, come recita il finale del monologo di Cavalli. “Fa bene al cuore. Rischiara la mente. Che hai fatto ieri sera, vi chiedono domani in ufficio: ho affilato la coscienza da usare con chi ci dice no non è possibile perché ha paura di dover cambiare”.