3 luglio: una giornata per dire basta ai sacchetti di plastica. Un piccolo gesto per un grande cambiamento

Iniziativa a Pordenone Settimana Nazionale Porta la Sporta 2010

La Giornata Internazionale senza Sacchetti di Plastica ci ricorda che la transizione ecologica è un percorso che deve essere compiuto congiuntamente da istituzioni, aziende e cittadini. Ognuno con il proprio ruolo e le proprie responsabilità.

Riprendiamo questo articolo di Economiacircolare.com di Letizia Palmisano che racconta anche gli anni della campagna Porta la Sporta, la campagna dell’associazione attiva dal 2009 al 2014.

Ci sono gesti che entrano nella nostra quotidianità in punta di piedi, quasi senza far rumore, ma che lasciano un’impronta pesantissima sul nostro Pianeta. Uno di questi è afferrare un sacchetto di plastica monouso per raccogliere i prodotti acquistati al supermercato e portali a casa: lo usiamo per una manciata di minuti – il tempo di trasportare la spesa – ma la sua vita è infinitamente più lunga del suo breve utilizzo. Per decomporsi, infatti, può impiegare dai 100 ai 1.000 anni, un lasso di tempo eterno durante il quale rischia di inquinare suolo, mari e oceani. Proprio per accendere un faro su questa emergenza silenziosa, ogni 3 luglio si celebra la Giornata Internazionale senza Sacchetti di Plastica. Seppur tale ricorrenza non rientri tra quelle indette da organismi pubblici, questo appuntamento rappresenta una valida occasione per ricordarci che un mondo con meno plastica monouso non solo è possibile, ma è una necessità che non possiamo più ignorare. Sebbene le leggi in diversi Paesi tentino di contrastarne l’utilizzo, esse continuano ad essere adoperate quotidianamente dalla maggior parte delle persone.

È quindi necessario un invito a riflettere sulle nostre abitudini di consumo e a scoprire le tante, tantissime, alternative che abbiamo a disposizione per fare la nostra parte. Come spesso accade nelle grandi rivoluzioni, anche quella per la salvaguardia del nostro ambiente parte da piccoli gesti individuali che, sommati, possono generare un’onda di cambiamento inarrestabile.

L’insostenibile leggerezza del sacchetto: un’emergenza globale

Vi siete mai chiesti quanta strada percorre un sacchetto di plastica? La risposta è sconcertante. Ogni anno, nel mondo, ne vengono utilizzati circa 500 miliardi. Mettendoli in fila, potrebbero avvolgere il nostro pianeta un numero incalcolabile di volte. Il loro impatto è devastante: sono tra i rifiuti più diffusi e rappresentano il simbolo perfetto della nostra società “usa e getta”. La loro produzione richiede enormi quantità di petrolio, contribuendo alle emissioni di gas serra e al cambiamento climatico.

Una volta gettati, spesso in modo scorretto, iniziano un lungo viaggio che li porta ad inquinare ogni angolo della Terra e, in troppi casi, finiscono nei nostri mari, dove arrivano a formare vere e proprie isole di spazzatura, come il famigerato “Pacific Trash Vortex”. Senza andare troppo lontano, però, va ricordato che mari come il Mediterraneo si stanno riempiendo di rifiuti plastici di ogni misura i quali, frazionandosi, finiscono per diventare le celeberrime microplastiche.

In natura le buste disperse diventano non solo parte del panorama marino, ma anche una trappola mortale per la fauna marina: tartarughe, uccelli e mammiferi li scambiano per cibo, con conseguenze letali. Non è tutto: con il tempo, anziché decomporsi, si frammentano in particelle sempre più piccole – le microplastiche – che entrano nella catena alimentare e finiscono dritte sulle nostre tavole trasformando un problema ambientale in un serio rischio per la nostra salute. La Giornata del 3 luglio nasce nel 2006 proprio da questa consapevolezza, per sensibilizzare l’opinione pubblica su un’emergenza che non possiamo più permetterci di ignorare.

La direttiva SUP non basta per far sparire le buste di plastica

L’Europa, con la direttiva SUP (Single-Use Plastics), ha impresso una direzione chiara, ma non dobbiamo cadere nell’illusione che la battaglia sia vinta e che il problema sia risolto. La guardia, anzi, deve restare altissima: da un lato, persiste il mercato illegale dei sacchetti non a norma, una vera e propria piaga che inganna consumatori (e alcuni commercianti onesti) e che rischia di compromettere la qualità del compost prodotto dagli impianti di riciclo dell’organico.

Dall’altro lato, però, la nostra attenzione sul sacchetto per la spesa, rischia di far dimenticare un intero universo di plastica che continua ad invadere le nostre case in modo del tutto legale. Si tratta, ad esempio, dei sacchetti più spessi, quelli riutilizzabili a norma di legge che, di fatto, troppo spesso vengono trattati come monouso e finiscono nella spazzatura dopo pochi utilizzi (e che potremmo invece sostituire portando con noi delle sportine di stoffa). C’è poi l’imballaggio primario che avvolge i prodotti che acquistiamo ogni giorno come la busta della pasta, l’involucro delle patatine, le confezioni dei biscotti, le vaschette degli affettati e della carne. La direttiva SUP è un passo cruciale, ma la vera sfida è ripensare il packaging nella sua interezza, spingendo le aziende a trovare soluzioni innovative e noi consumatori a premiare, con le nostre scelte, chi si impegna davvero a ridurre questo fiume di plastica.

La via italiana al sacchetto compostabile: una normativa da capire bene

L’Italia, su questo fronte, ha cercato di giocare d’anticipo, introducendo già da diversi anni normative volte a ridurre l’uso dei sacchetti di plastica tradizionali. Una delle tappe fondamentali è stata l’introduzione dell’obbligo di utilizzare sacchetti biodegradabili e compostabili per l’asporto di merci, in particolare per frutta e verdura. Cosa significa esattamente? Questi sacchetti, per essere a norma, devono rispettare lo standard europeo UNI EN 13432 che ne certifica la capacità di compostarsi in un determinato lasso di tempo in impianti di compostaggio industriale.

Devono inoltre riportare diciture chiare come “biodegradabile e compostabile” e possono essere riutilizzati per la raccolta della frazione umida dei rifiuti. Questa misura, che ha anticipato un analogo obbligo a livello europeo, ha l’obiettivo di aumentare la qualità della raccolta differenziata dell’organico e di produrre compost di migliore qualità. Tuttavia, la strada non è priva di ostacoli: il mercato dei sacchetti non conformi alle normative è purtroppo ancora una realtà che, oltre a rappresentare una frode, rischia di vanificare gli sforzi dei cittadini e di inquinare la filiera del compostaggio. È fondamentale, quindi, che i consumatori imparino a riconoscere i sacchetti a norma e a segnalare eventuali irregolarità, diventando parte attiva di questo processo di transizione ecologica.

Oltre l’usa e getta: un mondo di alternative a portata di mano

La vera rivoluzione, però, non sta nel sostituire un “usa e getta” con un altro, seppur compostabile, ma nell’abbracciare la cultura del riutilizzo e della riduzione degli imballaggi. Le alternative ai sacchetti monouso sono infinite, pratiche e, diciamocelo, anche più belle. La più classica e intramontabile è la borsa in cotone, canapa o juta: ce n’è per tutti i gusti.

Resistenti, lavabili e riutilizzabili centinaia di volte, sono le alleate perfette per la spesa di ogni giorno. Basta tenerne una sempre con sé, in borsa o in auto, per evitare di ricorrere ai sacchetti del negozio. Per frutta e verdura sfusa, esistono sacchetti in rete di cotone, leggeri e trasparenti, che permettono di pesare i prodotti senza doverli togliere.

Un’altra opzione sono le borse in plastica riciclata, robuste e durevoli, che danno una seconda vita a un materiale che, altrimenti, finirebbe in discarica.

Ogni scelta a favore del riutilizzo è un piccolo seme piantato per un futuro più sostenibile. È un cambio di mentalità che ci porta a dare più valore agli oggetti e a considerare l’impatto di ogni nostro acquisto.

Dopo 15 anni di Porta la Sporta

Silvia Ricci, nota oggi come coordinatrice della campagna “A buon Rendere” per un sistema di deposito cauzionale per bevande, già oltre dieci anni fa (2009-2014) provò a convincere gli italiani a fare a meno dell’usa e getta durante gli acquisti con la campagna nazionale Porta la Sporta. Per questo l’abbiamo raggiunta chiedendole una dichiarazione.

“Porta la Sporta fu la prima campagna nazionale che – coinvolgendo associazioni ambientaliste nazionali e locali, Enti locali dai Comuni alle Province e la Grande distribuzione – raccontò dell’inquinamento causato dall’abuso dei sacchetti e delle conseguenze dovute alla dispersione nell’ambiente di plastica monouso, un tema ai tempi ancora sconosciuto in Italia. In particolare quali fossero le conseguenze della degradazione della plastica nell’ambiente e della caratteristica del materiale di concentrare in sé, quando disperso nelle acque, sostanze chimiche tossiche diventando un ulteriore vettore dell’inquinamento. E soprattutto riferì delle preoccupazioni già condivise dai ricercatori americani che le microplastiche attraverso la catena alimentare arrivassero nei nostri piatti. Un rischio che si è purtroppo concretizzato”.

Il bilancio di Ricci ad oggi è negativoSe posso fare un bilancio l’Italia non ha fatto scuola sul tema della riduzione dei sacchetti monouso, nonostante la massiccia e diffusa sensibilizzazione dei tempi e le centinaia di migliaia di borse di tela regalate. Principalmente perché non vi è stato un approccio sistemico al problema che è quello che tutte le iniziative legate ad un cambio di abitudini, dal monouso all’opzione riutilizzabile, necessitano. 

Invece di affrontare il primo problema e cioè quali misure incentivanti e disincentivanti per convincere gli italiani a fare a meno del monouso si è scelta da un lato la strada più facile senza pensare agli effetti collaterali.

Si è vietato per legge i sacchetti in plastica che avrebbero dovuto essere sostituiti da quelli in bioplastica senza tenere conto delle importazioni di sacchetti non conformi, del mercato dei sacchetti in nero che prolifera nei mercati rionali e alcuni circuiti dei vendita al pubblico, e che ancora oggi non si è riusciti ad eliminare.

La soluzione sarebbe stata invece molto semplice come quella adottata quasi 10 anni fa in Olanda: e cioè vietare la cessione gratuita obbligando i rivenditori per legge ad applicare un prezzo disincentivante al sacchetto monouso, sia in plastica che bioplastica compostabile, di non meno di 25 cent, e di batterlo a scontrino.

Quello che abbiamo conseguito è che – nonostante la legge del 2018 – i sacchetti biodegradabili non sempre vengono battuti a scontrino ma spesso ceduti gratuitamente. Anche la querelle nata ai tempi in cui si tentò di fare pagare il reale costo dei sacchetti ortofrutta ora simbolico non fu gestita bene in quanto non fu permesso ai supermercati di mettere a disposizione sacchetti ortofrutta riutilizzabili, un’altra rivoluzione mancata.

Di conseguenza quando si prendono troppi sacchetti, troppi per l’umido prodotto dalle famiglie di oggi, una parte finisce come sacchetto per l’indifferenziato con destinazione inceneritore o discarica, e una parte viene conferita nel sacco della plastica fossile che deve essere rimossa in quanto materiale estraneo che ne contamina il riciclo”.

Un impegno che parte dalla spesa e arriva lontano

Dire no ai sacchetti di plastica ma in generale monouso è un gesto potente, un messaggio chiaro che inviamo al mondo della produzione e della grande distribuzione. È la nostra personale dichiarazione di intenti a favore di un’economia più circolare, dove nulla si spreca e tutto si trasforma. Il nostro impegno, però, non deve fermarsi alla spesa alimentare: possiamo estendere questa filosofia a tanti altri ambiti della nostra vita. Scegliere prodotti con meno imballaggi, preferire gli articoli sfusi, portare con noi una borraccia riutilizzabile invece di acquistare bottigliette di plastica, sono tutte azioni che vanno nella stessa direzione.

La Giornata Internazionale senza Sacchetti di Plastica ci ricorda che la transizione ecologica è un percorso che deve essere compiuto congiuntamente da istituzioni, aziende e cittadini. Ognuno con il proprio ruolo e le proprie responsabilità. Iniziare ad eliminare il superfluo, a partire da quel sacchetto leggero ma così dannoso, è il primo, fondamentale, passo per alleggerire il peso che grava sul nostro Pianeta e per costruire, un gesto alla volta, un futuro più pulito e sano per le generazioni che verranno.