Il giardino delle mele antiche
Cinquanta ettari di meleto a Castel del Giudice (IS), simbolo di rinascita delle aree interne dell’Appennino, dove il meleto biologico Melise, attraverso la differenziazione delle produzioni, ha dato linfa ad una nuova agricoltura.
Sono diventate il simbolo della rinascita di un borgo che non vuole cedere allo spopolamento delle aree interne dell’Appennino. Sono le mele biologiche di Castel del Giudice, paese dell’Alto Molise ad 800 metri di altitudine al confine con l’Abruzzo, in Provincia di Isernia, ma ad un passo da Castel di Sangro e Roccaraso (AQ), affacciato su boschi rigogliosi, attraversati per lunghi tratti dal fiume Sangro. I filari delle mele, che si differenziano per eclettiche varietà, occupano circa 50 ettari di terreni, un tempo in stato di abbandono ed esposti a rischio idrogeologico, e poi recuperati grazie ad un progetto pubblico-privato, che ha visto in prima linea il Comune di Castel del Giudice e alcuni imprenditori della zona, in collaborazione con circa cinquanta soci del luogo. Il meleto biologico Melise è stato alla base della creazione di una nuova agricoltura, fonte di sviluppo per quest’area di montagna e di lavoro per giovani del posto. È nato nel 2003, riqualificando circa venti ettari di meli Golden Lasa, con l’idea di produrre rispettando l’integrità del territorio, le sue valenze paesaggistiche e di dare vita ad una produzione sostenibile. È diventato così un regno di biodiversità, una piccola arca di Noè delle mele, luogo in cui trovarne di diverse tipologie autoctone dell’Appennino, frutti quasi scomparsi e recuperati grazie a studi agronomici.
Il 14 ottobre 2018, in occasione della prima festa della mela di Castel del Giudice, omaggio al tempo della raccolta dei succosi frutti, è stato inaugurato il “Giardino delle Mele antiche”, dove sono state piantate circa 50 varietà di queste mele locali, che rischiavano l’estinzione. Tra i promotori, l’agronomo Michele Tanno che con la sua associazione, Arca Sannita, ha recuperato 64 varietà di mele dell’Appennino molisano-abruzzese e di tante altre varietà di frutta, salvandone le produzioni. Tra queste ci sono mele che già da tempo fanno parte del panorama agricolo della rinata Castel del Giudice. Mele dalle cultivar resistenti alla ticchiolatura ed ideali per le temperature di montagna. Come la mela Limoncella, la più antica del meleto, citata già nel Medioevo e somigliante ad un piccolo limone, una mela dalla buccia gialla con lenticelle rugginose emerse e dalla polpa bianca, croccante e profumata, che si adatta alle zone con gelate tardive. Fa sorridere il nome della mela Zitella dal sapore dolce e il colore giallo con sfumature rosa. Quando arriva a maturazione, ad ottobre, sulla superficie esterna presenta una patina, una protezione naturale contro umidità ed infezioni. Quando si raccoglie, restano le impronte delle mani. C’è chi racconta che si chiami “zitella” perché anticamente le donne nubili ne usavano la polpa come cosmetico, probabilmente il nome deriva dalla tarda maturazione del frutto. La sua forma è leggermente appiattita, la polpa croccante. Si conserva bene per tutta la stagione invernale. Autoctona è anche la mela Gelata, la quale presenta al suo interno la “vitrescenza”: alcune zone sono alla vista vetrose, quasi come se fossero ghiacciate. Il colore della buccia è verde, ha una consistenza soda e un sapore fruttato, particolarmente aromatico. Molto piccola e piatta con la facciata rosa, la mela Tinella, altra varietà antica, resta sull’albero fin quando sono cadute tutte le foglie. Cresce con abbondanza e dopo la raccolta si conserva molto bene, la sua polpa soda e croccante ha un sapore leggermente acidulo. Oltre alle autoctone, tra i filari di Castel del Giudice c’è la mela Florina, dal colore rosso, molto resistente alla ticchiolatura e ad altre potenziali malattie, ma sensibile alla variabilità climatica. Si conserva a lungo dopo la raccolta e ha buone caratteristiche organolettiche. La mela Dolorina ha la forma più allungata e il colore rosso brillante, croccante e succosa. Poi c’è la Primiera, che matura a settembre, il suo albero è molto produttivo e il sapore è dolce. Ci sono inoltre, tra le altre, le Golden Lasa, Golden Delicus, Golden Orange, Gala Sansa, Gala Galaxi, Fuji kuku, RedChief, Red Canada e Renette Canada. «Quest’anno la previsione di produzione – spiega Simone Gentile, responsabile del meleto Melise – è di 2.500 quintali». Le mele arrivano sulle tavole di tutta Italia e in alcuni ristoranti come quello di Borgotufi, l’albergo diffuso di Castel del Giudice frutto del recupero di stalle abbandonate, esempio di rinascita, proprio come il meleto. Altre sono vendute in azienda e poi tramite gruppi d’acquisto e cooperative. Altre ancora vengono trasformate per creare succhi di frutta e composte biologiche. Con un’altra parte si fa la purea per alimenti per la prima infanzia.
L’inaugurazione del Giardino delle Mele Antiche è stata l’occasione per discutere sul “Ruolo della biodiversità agricola nelle aree interne”. Il meleto biologico è infatti un modello di come si possa creare sviluppo attraverso il recupero della vocazione agricola del territorio appenninico, puntando sulla differenziazione delle produzioni e conferendo loro il valore aggiunto dato dall’identità ambientale e culturale locale. Il convegno ha visto tra i partecipanti il sindaco di Castel del Giudice Lino Gentile, motore della rinascita del borgo, l’agronomo Michele Tanno, presidente dell’associazione Arca Sannita, Paolo Di Luzio, presidente Aiab Molise, Mario Di Lorenzo, direttore del Gal Alto Molise, che ha parlato di biodiversità agricola nel Piano di sviluppo locale, misura del Psr, e il professore dell’Università del Molise Angelo Belliggiano. Conclusioni affidate al consigliere regionale Andrea Di Lucente.
Articolo tratto da “Terra e vita“.