Bene comune inalienabile

Commissione VIII (Ambiente, territorio e lavori pubblici) della Camera dei Deputati.

Intervento dell’Associazione nazionale dei Comuni Virtuosi nell’ambito dell’esame in sede referente delle proposte di legge C. 52 Daga e C. 773 Braga recanti “Disposizioni in materia di gestione pubblica e partecipativa del ciclo integrale delle acque”.

L’Associazione nazionale dei Comuni Virtuosi – una rete di enti locali nata nel 2005 che opera a favore di una armoniosa e sostenibile gestione dei propri territori con l’obiettivo di diffondere nuove consapevolezze e di sperimentare buone pratiche attraverso l’attuazione di progetti concreti ed economicamente vantaggiosi legati alla gestione del territorio, alla tutela dell’ambiente e del paesaggio, all’efficienza e al risparmio energetico e alla partecipazione attiva dei cittadini – interviene oggi in questa audizione della Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei Deputati con il proposito di fornire un contributo alla discussione in merito alla delicata e strategica gestione del servizio idrico. I Comuni Virtuosi, anche in considerazione delle premesse, considerano l’acqua un bene comune, un bene indispensabile e irrinunciabile che non può non appartenere a tutti, e il suo accesso un diritto umano inalienabile. Le Nazioni Unite nel 2002 dichiarano l’accesso all’acqua potabile un diritto fondamentale. E lo fanno per consentire agli uomini di poter condurre una vita dignitosa. Sulla stessa linea anche papa Francesco, il quale, nella sua Lettera enciclica Laudato si’, sente l’esigenza di scrivere: «Mentre la qualità dell’acqua disponibile peggiora costantemente, in alcuni luoghi avanza la tendenza a privatizzare questa risorsa scarsa, trasformata in merce soggetta alle leggi del mercato. In realtà, l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani» (2015: cap. 1, II, 30). Infatti, essendo il diritto di accesso all’acqua un prerequisito per l’attuazione degli altri diritti, in particolare di quelli relativi alla salute, alla casa e al cibo, esso deve essere garantito dalla dimensione pubblica. L’acqua, dunque, non dovrebbe essere proprietà di nessuno, ma, al contrario, un bene condiviso equamente da tutti. La situazione mondiale in realtà è molto diversa rispetto ai princìpi o ad alcune prospettive di natura etica e politico-sociale: sul pianeta più di un miliardo e trecento milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile e le previsioni sono che nel giro di pochi anni il numero possa raggiungere i tre miliardi.

In Italia l’importanza della questione acqua e della sua gestione raggiunge nel tempo una forte consapevolezza sociale e una capillare diffusione territoriale, aggregando enti locali, culture ed esperienze differenti. Questo percorso inizia nel 2003, in particolare da quando a Firenze si svolge il Forum mondiale alternativo dell’acqua che, ispirandosi al concetto di acqua bene comune necessario alla vita, respinge le politiche fondate sulla trasformazione dell’acqua in una merce, anche con l’introduzione del cosiddetto partenariato pubblico-privato, chiedendone con forza la proprietà e la gestione pubblica come garanzia di libero accesso per tutti. Da allora si aprono nei territori numerose vertenze contro la privatizzazione della gestione delle risorse idriche. La necessità di collegare fra loro le diverse esperienze, unita alla consapevolezza che per produrre un cambiamento effettivo occorra una dimensione nazionale, porta nel 2006 alla nascita del Forum italiano dei movimenti per l’acqua, cui partecipano centinaia di realtà territoriali e decine di reti nazionali, associative, sindacali e politiche. L’obiettivo del Forum è quello di imprimere una svolta rispetto alle politiche di liberalizzazione e privatizzazione degli ultimi vent’anni: degrado e spreco della risorsa, precarizzazione del lavoro, peggioramento della qualità del servizio, aumento delle tariffe, riduzione dei finanziamenti per gli investimenti, diseconomicità della gestione, mancanza di trasparenza e democrazia. Nel 2007 il Forum decide di fornire al Paese uno strumento normativo che ridefinisca il quadro della governance del bene acqua attraverso una proposta di legge di iniziativa popolare. È doveroso ricordare che questo testo rappresenterà la fonte dei quesiti referendari sui quali i cittadini italiani saranno chiamati a esprimersi solo qualche anno più tardi. In poco tempo essa raccoglie oltre 400mila firme, approdando in Commissione per la discussione. I suoi obiettivi sono la ripubblicizzazione del servizio idrico, oltre che la tutela della risorsa e della sua qualità. Nel 2008 nasce, sempre all’interno del Forum, il Coordinamento nazionale Enti locali per l’acqua bene comune, iniziativa da subito sostenuta dalla nostra associazione. Tutte queste esperienze troveranno poi uno sbocco nel referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011: ben 27 milioni di cittadini voteranno Sì ai due quesiti per l’acqua. In particolare, oltre il 95% dei votanti si esprimerà in favore della fuoriuscita dell’acqua da una logica di mercato e di profitto. Così le urne consegnano un quadro normativo che rende necessaria la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato. Infatti, come sancito nella sentenza della Corte costituzionale sulla ammissibilità del primo quesito, l’abrogazione del Decreto Ronchi rimanda direttamente alla disciplina comunitaria, la quale prevede anche la gestione pubblica (tramite enti di diritto pubblico) dell’acqua, mentre l’abrogazione della parte del c. 1 dell’art. 154 (D.lgs. 152/2006)

relativa alla remunerazione adeguata del capitale investito elimina la possibilità per il gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, in quanto essa deve prevedere la sola copertura dei costi. Non da ultima, poi, l’esperienza della Regione Lazio, dove una proposta di legge di iniziativa popolare, promossa dai comitati e sostenuta nel 2012 attraverso le deliberazioni di diversi consigli comunali diventa legge (n. 5/2014) con il voto unanime dell’assemblea regionale. La legge regionale definisce l’acqua un diritto umano universale, individuanuovi ambiti territoriali ottimaliattraverso ambitidi bacino idrografico sulla base delle conformazioni idrografiche e infrastrutture idrauliche già presenti sul territorio, considera le richieste di salvaguardia delle gestioni da parte dei Comuni e dei Consorzi nel rispetto dei princìpi di sussidiarietà e integrazione dei servizi di captazione, distribuzione, fognatura e depurazione, prevede la ripubblicizzazione del servizio idrico in tutto il territorio regionale, favorendo l’adozione di un piano di riassetto idrogeologico e idraulico del territorio per il riammodernamento di tutte le reti idriche e dei depuratori sul territorio regionale.

Ora, venendo alla questione della governance, il dibattito in corso offre un ricco panorama di opinioni e di spunti, taluni anche interessanti e utili alla riflessione. Spesso si sente dire che la gestione del servizio idrico in Italia è per il 97% fatto da aziende a controllo pubblico. Tuttavia, il controllo pubblico di per sé non equivale a dire gestione pubblica del servizio. Dal Blue Book di Utilitalia apprendiamo infatti che la popolazione nazionale è servita per il 48% da aziende in house, il 15% da gestioni in economia, ossia direttamente condotte dai Comuni, il 19% da società quotate in borsa e il 12% da società miste. Insomma, la realtà si mostra ben diversa rispetto a quanto affermano i promotori delle gestioni privatistiche, poiché le gestioni sono imperniate proprio su società di diritto privato. Inoltre, chi critica l’impianto della proposta di legge che vede come prima firmataria l’on. Daga, sostiene che gli enti locali non avranno più la libertà di scelta. In realtà è dall’approvazione del Decreto Sblocca Italia che gli enti locali non possono più avere la libertà e l’autonomia decisionale di definire la gestione del servizio poiché obbligati ad affidarlo al gestore più grande nell’ambito territoriale ottimale, senza possibilità di opporsi pena il commissariamento e l’obbligo di cedere le reti. Al contrario, noi dei Comuni Virtuosi riteniamo che con la proposta Daga, che si richiama in modo esplicito al testo referendario del 2011, gli enti locali potranno tornare con senso di responsabilità e con adeguati strumenti e risorse i veri protagonisti nell’ambito del governo dell’acqua, il bene naturale più prezioso delle comunità.

Poi è possibile mai che un servizio pubblico essenziale come quello dell’acqua debba sottostare al controllo delle autorità, le quali devono garantire secondo la normativa vigente la promozione della concorrenza e l’efficienza nel settore con adeguati livelli di qualità nei servizi medesimi in condizioni di economicità e redditività? Concorrenza e redditività, che di sicuro hanno un senso in un regime di libera impresa, a nostro avviso non possono trovare spazio quando si tratta della gestione di un diritto umano universale, di un monopolio naturale e di servizio pubblico essenziale. Come non può trovare spazio una autorità come l’Arera nella definizione di un sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti per garantire e promuovere la tutela degli interessi dei cittadini, non di utenti e consumatori. Ruolo che invece dovrebbe spettare all’unico garante esistente, lo Stato.

Sul tema delle dimensioni degli ambiti territoriali, riteniamo valido quanto riportato nell’art. 4, c. 6, l. b) della proposta Daga: «Al fine di conseguire una maggiore efficienza gestionale e una migliore qualità del servizio all’utenza, è consentito l’affidamento del servizio idrico integrato in ambiti di bacino idrografico non superiori agli ambiti territoriali corrispondenti alle province o alle città metropolitane». Questo significa rendere il sistema più efficiente al fine di garantire un servizio idrico integrato di buona qualità, investendo su nuovi servizi e manutenzione della rete. Sotto questo particolare aspetto, le audizioni dei gestori riuniti nella Water Alliance e di quelli di Novara, di Pavia e di Emilia Ambiente sono davvero illuminanti, poiché testimoniano quanto la dimensione ridotta a livello provinciale sia quella più adeguata alla gestione di un servizio idrico integrato pubblico, efficiente e vicino al territorio.

Un ambito territoriale ristretto, basato su caratteristiche di bacino idrografico, tenderebbe a un maggiore coinvolgimento dei Comuni nella gestione del servizio e a garantire una risoluzione efficace e celere delle eventuali problematiche.

Sulla ripartizione degli ambiti di bacino idrografico, si levano voci preoccupate, non ultime quelle dei sindacati. Secondo CGIL, CISL e UIL la proposta Daga potrebbe comportare il blocco degli investimenti, circa 2,5 miliardi di euro, e il rallentamento del Pil. Non solo. Potrebbe impattare sui circa 40.000 addetti del settore, per i quali non è prevista nessuna tutela occupazionale. Le preoccupazioni sindacali sono dettate da logiche di mercato, come quando ad esempio parlano e si parla in generale di gestione industriale del servizio idrico e delle conseguenti economie di scala che solo gli ambiti di grandi dimensioni potrebbero garantire. Anche in questo caso, sarebbe opportuno riportare le cose al loro posto, in quanto la cosiddetta gestione industriale non presuppone necessariamente la presenza del privato. Industria non è sinonimo di privatizzazione. Anche le aziende di diritto pubblico se adeguatamente finanziate e dotate di personale possono garantire un servizio efficace ed efficiente. E ancora, cosa non meno importante, tutelare e creare occupazione. La posizione dei Comuni Virtuosi è che la gestione di questo bene comune indispensabile per la vita dei singoli e delle comunità debba essere pubblica senza concedere la possibilità di partecipazione ai soggetti privati. L’esperienza insegna che i privati con la loro politica del profitto mirano ad aumentare i dividendi, svalutare i patrimoni e diminuire gli investimenti. Elemento necessario, esauribile e non riproducibile, l’acqua deve essere curata, tutelata e amata perché sul dovere di restituirla ai nostri figli si fonda il patto tra le generazioni. Le comunità hanno il diritto-dovere di mantenere la sua gestione perché solo così il governo dell’acqua resta e resterà nelle mani dei cittadini, i soli legittimati a decidere del suo futuro al fine di assicurare a tutti il bene comune primario.

Per queste ragioni riteniamo che la proposta Daga vada nella giusta direzione. Una proposta che mira al bene dei cittadini e della comunità, cosi come delle aziende idriche e di chi vi lavora, corroborata dalla previsione all’art. 14 di un fondo per gli investimenti nel servizio idrico integrato, nel rispetto dell’art. 9 della direttiva comunitaria 2000/60, e dal fondamentale ricorso alla fiscalità generale. Senza di essa, infatti, non potremmo parlare di un vero e proprio servizio pubblico essenziale.

Dott. Bengasi Battisti, Comitato Direttivo

Qui, dal minuto 54.00, l’intervento del Dott. Battisti.