Saranno il business e le persone che determineranno la velocità della transizione verso un’Europa più verde?
Recentemente abbiamo pubblicato notizia sugli esiti dello studio Global Compact Paper delle Nazioni Unite che ha intervistato mille Ceo a livello internazionale per avere la misura dell’impegno delle aziende nell’affrontare le sfide della sostenibilità globale.
Nonostante il fatto che le questioni socio-ambientali siano ritenute importanti per il futuro delle loro attività dal 93% dei Ceo, risultano pochi i progressi fatti rispetto al precedente rilevamento avvenuto nel 2010. Oltre due terzi dei Ceo intervistati ammette che le aziende non stiano facendo abbastanza.
Per avere un commento autorevole sullo scenario che è emerso dallo studio abbiamo cercato il Professore Marco Frey che, oltre ad essere presidente della Fondazione Global Compact Italia é Professore ordinario di Economia e gestione delle imprese, direttore del gruppo di ricerca sulla sostenibilità (SuM) della Scuola Sant’Anna e Direttore di Ricerca allo IEFE (Istituto di economia e politica dell’energia e dell’ambiente).
1) Professore quale è il suo commento sugli esiti del GC paper ? Che cosa può spingere i CEO a passare all’azione e superare gli ostacoli interni?
E’ evidente che dall’indagine di Accenture emerge che i CEO sentono di trovarsi in una situazione di stallo: largamente consapevoli dell’importanza di valorizzare strategicamente i temi della sostenibilità, ma anche frenati dalla mancanza di un supporto sistematico da parte delle istituzioni. Per qualcuno un importante vincolo è costituito anche dalla limitata spinta ricevuta dai consumatori verso soluzioni più sostenibili.
Eppure se guardiamo all’Europa un recente studio di Eurobarometer ci mostra che i cittadini sono consapevoli che il primo attore che può spingere le imprese ad essere più socialmente responsabili sono loro stessi, con particolare riferimento ai comportamenti di acquisto. Le istituzioni, un tempo al primo posto in questo ruolo di stimolo, sono ora scivolate al terzo posto, precedute anche dai manager che possono spingere le proprie imprese ad innovare nella prospettiva della sostenibilità. Questo accresciuto ruolo dei cittadini/consumatori e dei manager è coerente con quanto recentemente dichiarato da Janez Potočnik, che “Saranno il business e le persone che determineranno la velocità della transizione verso un’Europa più verde”. In questa occasione neppure dal Commissario all’ambiente viene citata l’azione dei governi che invece l’industria spesso invoca come priorità. Per quanto riguarda il superamento degli ostacoli interni, la modalità più efficace è quella di far sì che la sostenibilità sia un driver dell’innovazione di prodotto, di processo e di sistema. Le imprese sulla frontiera dell’innovazione, che guardano ai mercati globali, sono perfettamente consapevoli che l’orientamento alla sostenibilità è un elemento di potenziamento delle loro capacità. Ciò necessariamente richiede una buona dose di proattività per incontrarsi in una logica di partnership con quegli altri attori che saranno a loro volta in movimento.
2) Quanto seriamente verranno presi in Italia gli scenari che l’IPCC prospetta nel Sommario per i Decisori Politici (SPM) per il nostro paese?
Purtroppo in Italia non siamo molto attenti alle segnalazioni che provengono dall’IPCC. In parte forse questo dipende dalla scarsa accoglienza che ormai caratterizza le comunicazioni in materia di riscaldamento globale, in parte necessariamente ripetitive, in parte percepite come lontane nello spazio e nel tempo. Eppure ciò che l’IPCC ci dice ha una grande rilevanza per il nostro futuro: si pensi solo all’inserimento dell’Italia e dei Paesi del Mediterraneo tra le zone in cui nei prossimi decenni si ridurrà la piovosità ed aumenterà la siccità. E’ quindi è necessario che nei prossimi mesi ci si impegni per riprendere tutta una serie di elementi presenti non solo nel Sommario per i Decisore Politici, ma anche nella parte di analisi del rapporto.
Silvia Ricci
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