Villar Focchiardo
Il Comune di Villar Focchiardo fa parte della Comunità Montana Bassa Valle Susa e dista circa 39 km da Torino e attualmente vanta circa 2009 abitanti distribuiti su una superficie di 25.63 kmq.
Villar Focchiardo comprende diverse borgate tra le quali una delle più antiche è certamente quella del Castagneretto, situata nella parte alta del paese a monte della Chiesa Parrocchiale.
Villar Focchiardo è un piccolo centro di circa 2.060 abitanti, collocato nella Media valle di Susa, alla destra orografica del fiume; comprende numerose borgate la maggior parte delle quali in area prevalentemente montana. Il paese si sviluppa nella zona montana per la parte più antica, e le numerose borgate sono situate anche verso il territorio pianeggiante, ove ora sorgono insediamenti artigianali e commerciali e le nuove residenze. Il territorio comunale conserva tracce d’insediamento preistorico forse dell’Età del Bronzo, ma non presenta tuttavia tracce di insediamento romano (come buona parte dei comuni della destra orografica della Dora). Dall’antichità ad oggi la presenza di una strada di comunicazione internazionale come la strada di Francia, ha condizionato molto l’identità dei villaggi valsusini, a causa del continuo passaggio di uomini, merci ed animali, oltre che altre entità impalpabili come virus, idee, papi, imperatori, soldati, carovane di mercanti, pellegrini, giullari. Villar Focchiardo non inglobò la strada e non diventò quindi un borgo, come accadde a S.Antonino e S.Giorio. Agli inizi del XIII secolo, la sua fisionomia è quella di un villaggio aperto, in cui ad un nucleo centrale, la Villa, fanno riferimento una serie di nuclei minori, sparsi in fondovalle e collina. Il centro ospita la chiesa e la domus signorile, dalle quali deriva la sua forza di attrazione. Nuclei abitati minori sono Banda, “Gravia”, Pasquerio, Chiapinetto, Castagneretto e Casellario. Le prime informazioni sul nome risalgono al 1001 con il nome di “Albereti corrispondente, probabilmente, alla località “Albareia”(o “Albareta”) citata più volte nelle documentazioni del comune e nel diploma imperiale di Ottone III, dove viene confermato a Manfredi il dominio sulla valle. La prima menzione con il nome di “Vilare Folcardi” risale al 1029 nel diploma concesso da Manfredi II per la fondazione dell’abbazia di San Giusto di Susa. Il primo nucleo insediativo, forse con il nome di “Albareia”, sorgeva nei pressi della Dora e della via francigena, ma probabilmente a causa dei frequenti straripamenti fu costretto a spostarsi lontano dalla via, verso l’interno. Ma la ragione principale del trasferimento fu probabilmente un’altra. Nei primi decenni dell’XI secolo i nuclei insediativi furono organizzati intorno al centro di una villa, ovvero una piccola azienda agricola signorile: Fulchard è un nome germanico di connotazione aristocratica. La prima famiglia nobile che ebbe diritti sul territorio di Villar Focchiardo furono i Visconti di Baratonia dalla Val Ceronda, che cedettero alcuni beni alla Prevostura di Oulx. La signoria durerà circa due secoli e fu di tipo funzionariale in quanto diretti eredi del potere arduinico. Insieme con la signoria dei Reano, che avevano anche loro dei diritti sulle terre, la signoria dei Baratonia entrerà nell’orbita dei Savoia. In seguito le due signorie persero i diritti acquistati da i “de Clusa”, poi dai Carbonello e dai Giaglione, fino all’arrivo dei funzionari sabaudi come i Bertrandi di Montemelian che possedevano di feudi di Bruzolo, Chianocco e S.Giorio. Il rapporto tra signori e popolazione li vede alleati sul comune fronte di contrasto nei confronti delle continue ingerenze da parte dei certosini. I certosini si erano insediati nel 1205 sulla montagna di Villar Focchiardo sulle terre donate da Enrico di Baratonia a Banda e a Monte Benedetto. La convivenza fu pacifica fino a che i certosini cominciarono ad ampliare le loro terre per il pascolo, i coltivi e i castagneti entrando in concorrenza e quindi in conflitto con la popolazione del borgo. Nel 1653 entrano in possesso dei diritti feudali i Carroccio del canavese che abbandonano il Palazzo, ovvero la casaforte del Baratonia, per costruire un castello fortificato sull’altura dominante il paese. Solo la posta e albergo della Giaconera era in stretto collegamento con la strada per la Francia e probabilmente ad essa collegata era Cascina Roland: un’antica cascina fortificata. Nel 1642 una discendente dei Felisi, Anna, che aveva sposato un Carroccio, e precisamente Tommaso Carroccio, capitano delle milizie ducali delle Valli di Lanzo, lasciò in eredità ai figli Pietro e Gabriele Filippo Carlo la sua parte del feudo, rendendola proprietà di tale famiglia. Pietro, senatore del Piemonte nel 1637, venne nominato Conte di Villar Focchiardo nel 1653, Presidente della Camera dei Conti nel 1662 e primo presidente Camerale nel 1664 Nel 1655 acquistò la maggior parte dei diritti feudali sul Villar stesso e in quell’epoca fece ristrutturare ed ampliare il Castello. Sposato dal 1935 con Anna Maria Gentile, figlia del conte di Buttigliera, ebbe ben 12 figli. Il primogenito “Bernardino” divenne conte di Villar Focchiardo nel 1667 ed il duca Carlo Emanuele II, alla morte del vassallo conte Claudio Grosso, gli concesse anche due terzi della metà di San Giorio, compreso il castello superiore, così egli divenne pure consignore di San Giorio. Nel 1669 gli venne concesso il titolo di conte Fiochetto e nel 1670 fu investito del feudo di Bussoleno, Castel Borello e Antignasco e quindi assunse la nuova denominazione di “Bernardino Carroccio Fiochetto”. Grazie alla dote portata dalla moglie diventò feudatario di parte di Castellamonte, Barbania, Brosso e Lessolo.
Appartenenti al casato dei Carroccio furono anche alcuni religiosi. I più importanti furono gli abati Carroccio che nei secoli XVII e XVIII onorarono con le loro attività non solo la diocesi di Torino ma anche tutto il Piemonte. Essi furono l’abate Ignazio Carroccio (detto “seniore), fratello del conte Pietro, l’abate Tomaso Carroccio e l’abate Ignazio Filippo Carroccio (detto “juniore” per distinguerlo dall’omonimo zio abate Ignazio) entrambi figli del conte Pietro e l’abate Tomaso Carroccio Fiochetto fratello del conte Pietro Ignazio. L’abate Tomaso Carroccio morì a 85 anni e fu dottore in legge oltre che canonico del Duomo di Torino ed abate di San Giusto di Susa.. L’abate Tomaso Carroccio Fiochetto, figlio di Bernardino, morì all’età di 76 anni e fu dottore in teologia, membro del Collegio di leggi, abate coadiutore del priorato di Santa Maria Maggiore di Susa, terzo componente del casato Carroccio nella carica di preposito del capitolo metropolitano di Torino, amministratore dell’Ospedale S.Giovanni di Torino ed infine nel 1728 fu anche Vicario Generale dell’Abbazia della Sacra di San Michele. L’abate Ignazio Carroccio seniore fu canonico della Chiesa Metropolitana di Torino e ne fu preposito dal 1658 al 1674. Fu investito di ragguardevoli abbadie, le più importanti quelle di San Mauro di Pulcherada e di Santa Maria Maggiore di Susa. Ricusò tre vescovadi per puro sentimento di umiltà. Fu elemosiniere di Madama Reale Maria Cristina di Francia, Cavaliere di Gran Croce, Commendatore e Procancelliere dell’Ordine dei S.S: Maurizio e Lazzaro. Accompagnò a Lisbona Maria Francesca Elisabetta di Savoia, sposa del re di Portogallo e fu inviato ambasciatore presso quella corte. Morì nel maggio del 1674 all’età di 57 anni e fu sepolto nel Duomo di Torino, al lato sinistro della porta minore, presso la cappella della Beata Vergine della Neve. All’abate Ignazio “seniore” subentrò nella prepositura di San Giovanni di Torino suo nipote e discepolo l’abate Ignazio Filippo Carroccio “juniore”. Egli fu eletto due volte vicario della diocesi, nel 1689 e nel 1713, intraprendendo una severa campagna moralizzatrice del clero stesso. Le virtù apostoliche dell’abate Carroccio “juniore” si divulgarono dal Piemonte a Roma. Infatti quando il Pontefice Innocenzo XI accordò, sul finire del secolo XVII, al principe Eugenio di Savoia l’investitura dell’Abbazia della Sacra di San Michele pretese che di tutta la giurisdizione spirituale e vescovile rimanesse perpetuo vicario generale l’abate Carroccio. Fu anch’egli abate di Santa Maria Maggiore di Susa e rifiutò lui pure due vescovati (Saluzzo e Vercelli) perché non si riteneva degno. Fu confessore della duchessa Anna Maria D’Orleans, moglie di Vittorio Amedeo II, e poi prima regina di Sardegna. Ma l’opera più importante per la quale viene ricordato l’abate Ignazio Filippo Carroccio fu l’impegno e la sollecitudine che egli dimostrò per l’erezione del nuovo Ospedale di San Giovanni di Torino (l’attuale San Giovanni Vecchio), curandone i lavori per oltre venti anni. Egli contribuì alla sua costruzione anche con le sue sostanze personali e dando il suo consiglio per la formulazione del regolamento a vantaggio degli infermi ed al buon ordine degli assistenti sanitari. Alla sua morte, avvenuta nel 1716, all’età di 69 anni, egli lasciò la somma di £. 8.000 per l’onorario di un maestro a Villar Focchiardo, la medesima somma la donò per la costruzione della nuova Chiesa Parrocchiale a patto che essa venisse terminata entro venti/trenta anni dal suo decesso, in caso contrario la somma sarebbe stata devoluta a beneficio dei poveri dell’Ospedale San Giovanni. Altre 5.000 £. vennero donate al parroco di Villar Focchiardo per distribuire alimenti ai poveri del paese ogni primavera dell’anno o dei vestiti all’inizio dell’inverno. Al Seminario di Torino donò £. 6.300 per mantenere gli studi perpetuamente ad un ragazzo di Villar Focchiardo, in mancanza di questi ad uno di Bussoleno, o di San Giorio o delle Valli di Lanzo. Dopo la sua morte vennero realizzati due busti, uno posto sopra la porta minore del Duomo di Torino e l’altro sul pianerottolo del primo scalone del “Vecchio Ospedale di San Giovanni”.
Di epoche successive sono altre due famiglie: i Rumiano delle quali facevano parte il dottor Biagio Rumiano e “Giuvàn d’Rumian”.
Biagio Rumiano, figlio primogenito del Notaio Carlo Giuseppe Rumiano, si laureò dottore in medicina, chirurgia ed ostetricia nel 1853 e nel 1854 ottenne il diploma per l’esercizio della professione. Come benemerito della salute pubblica venne insignito della “medaglia d’argento dorato” dal Ministero della Sanità. Arruolato volontario nel Corpo sanitario dell’Esercito Sardo Piemontese partì per come medico per la Crimea nel 1855. Nel 1859 partecipò ad alcune battaglie della II^ guerra d’Indipendenza. Tra la seconda e la terza guerra d’Indipendenza il dottor Rumiano, oltre a fare il medico, si dedicò ai suoi studi ed alla ricerca di paleontologia, alle opere benefiche e filantropiche. Partecipò come garibaldino, direttamente al fianco di Garibaldi e del figlio Ricciotti alla terza guerra d’indipendenza e al ritorno fu fregiato della Medaglia dei Valorosi e con il grado di Tenente Medico. Dal 1867 tenne interrottamente la condotta medica del Villar rinunciando sovente ad una parte dello stipendio annuo per devolverlo ad opere filantropiche. Partecipò alla difesa della 3^ Repubblica Francese, portando, come volontario, i soccorsi a Parigi durante il suo assedio nel 1870-71 ed in Bosnia Erzegovina nel 1873. Dotato di una fibra d’acciaio e di animo ardito fu un fiero e provetto alpinista. Scalò il Monte Bianco, il Cervino, il Monviso e le altre punte più eccelse delle Alpi e dei monti della Savoia e della Svizzera. Ricoprì mansioni pubbliche quale sovrintendente scolastico e consigliere comunale. Intraprese viaggi in Oriente e fece costruire una delle più belle ville con parco della Valle di Susa del periodo, l’attuale “Palazzo Perone”. Nel 1899 cessò la sua professione di medico. Alla sua morte, il 12 giugno del 1900, nel suo testamento egli lasciò delle rendite al Circondario di Susa per l’istituzione di borse di studio a favore dei giovani poveri o di ristretta fortuna per il conseguimento di diplomi professionali, al Municipio per la Congregazione di Carità locale per la concessione di sussidi annuali ai poveri, per l’assunzione di una ostetrica con l’obbligo dell’assistenza gratuita alle partorienti povere, per l’attivazione di una condotta veterinaria, per le scuole, le strade, l’acqua ed i boschi del paese. Inoltre lasciò un contributo, il terreno ed il progetto per la costruzione di un Asilo Infantile.
Sempre appartenente alla famiglia fu Giovanni Rumiano detto “Giouva ‘n d’Rumian”, figlio di Giuseppe Antonio. Egli fu al servizio del re Carlo Alberto a Oporto e quando morì il re egli continuò a prestare servizio presso la Casa Reale come servitore di camera anche del re Vittorio Emanuele II°. Quando lasciò il servizio, in occasione del trasferimento della capitale d’Italia da Firenze a Roma, egli ritornò a Villar Focchiardo e dal 1874 ricoprì diverse volte l’a carica di consigliere comunale e di consigliere della Congregazione di Carità. Fu nominato Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia dal re Vittorio Emanuele II.
COSA VISITARE
Vero gioiello d’architettura è la Chiesa Parrocchiale, dedicata a Maria Vergine Assunta: costruita negli anni dal 1718 al 1731, merita attenzione per la concezione “d’armoniosa genuinità” che ne hanno ispirato la creazione su probabile disegno della scuola dello Juvarra.
Fu eretta alla sommità del paese per evitare il pericolo delle ricorrenti alluvioni che avevano danneggiato irreparabilmente, nel 1473, l’antica chiesa situata nei pressi dell’attuale piazza Abegg.
Edificata per l’interessamento del conte Pietro Ignazio Carroccio, è un esempio notevole di barocco settecentesco; la facciata, solenne ed elegante, in cui spicca il bel portale ligneo intagliato, ha carattere rustico per l’assenza d’intonaco di rifinitura.
Degno di nota, oltre alle decorazioni risalenti al 1885, è l’imponente organo di cui è dotata.
Il territorio di Villar Focchiardo è cosparso di piloni e cappelle votivi. Di queste ultime, se ne possono contare ben 14, in parte disseminate sulle pendici della montagna e le altre presenti in paese.
A pochi passi dalla Chiesa Parrocchiale, si può incontrare la Cappella di Loreto, cappella privata dei conti Carroccio. E’, infatti, localizzata non lontano dal loro Castello, utilizzato quale dimora estiva e per questo abbellito in stile barocco dal conte Pietro, senatore, che acquistò nel 1655, la maggior parte di Villar Focchiardo. La facciata della cappella dei Carroccio era, in origine, decorata con affreschi, in parte cancellati nel 1700, durante l’occupazione francese.
Fu utilizzata come parrocchiale durante gli anni d’edificazione della stessa, come pure il Santuario Madonna delle Grazie, conosciuto in paese come Cappella delle Vigne, poiché, prima delle alluvioni, sorgeva su un declivio coltivato a vigneti.
Il castello dei conti Carroccio fu costruito nello XV secolo, in seguito alla famosa devastazione di parte del Palais provocata dallo straripamento del Gravio nell’anno 1473, sui resti di una precedente casaforte citata nei documenti più antichi, ma mai localizzata con precisione E’ stato chiamato “castello”, anche se di tali caratteristiche ha ben poco, perché il progetto iniziale concordato tra i diversi feudatari, consignori di Villar Focchiardo, sarà stato senz’altro di costruirlo con quell’intento. Ma poi le cose sono cambiate man mano che il feudalesimo stava modificandosi Si tratta di una massiccia costruzione a pianta rettangolare, destinata in origine a sede giurisdizionale del feudo, nonché a dimora temporanea del feudatario. Dal secolo XVIII l’edificio fu ulteriormente ingentilito, con la realizzazione di una facciata barocca e la sua funzione diventò esclusivamente quella di dimora temporanea legata alla presenza della famiglia nella stagione estiva. L’ultima famiglia ad avere giurisdizione e feudo in Villar Focchiardo furono i conti Carroccio che provenivano dal canavesano. Quando, però, le proprietà del feudo e del Castello furono investite unicamente ai Carroccio nel 1653, essi ne fecero una signorile dimora estiva. Venne abbellito e trasformato in villa signorile, e la facciata a mezzogiorno, ossia verso la montagna, artisticamente sistemata in stile barocco. L’interno fu adeguatamente adattato, specialmente il salone al piano terreno, con artistiche vetrate, pavimenti in mosaico, stucchi e decorazioni ai soffitti ed alle pareti. Il parco-giardino era sistemato a sud-est dell’edificio, il terrapieno era sostenuto da alti muraglioni coperti con grossi lastroni di pietra scalpellinata, in parte tutt’ora esistente, ove ci sono attualmente degli orti e degli edifici privati.
Ancora poco distante dalla Chiesa parrocchiale, nella borgata Castagneretto, la Cappella di Sant’Anna, dedicata ai Santi Anna e Gioacchino, genitori della Madonna, raffigurati sulla facciata con dipinto risalente al 1841, poi rifatto, negli anni ’70, da un villarfocchiardese.
Scendendo verso la parte bassa del paese, si trova la Cappella di San Rocco, ora completamente circondata d’abitazioni, mentre, al momento della costruzione, era situata fuori dell’abitato.
Si presume che, durante le epidemie di peste e colera, qui si curassero gli ammalati: San Rocco è, infatti, il Santo che dedicò la vita agli incurabili, morendo lui stesso di peste.
La Cappella della Comba, dal nome dell’omonima borgata, è, invece, dedicata a San Barnaba apostolo ed è stata benedetta nel 1714.
All’interno un crocefisso che, si racconta, sia stato donato dal re Carlo Alberto al “suo fido Rumiano”, gentiluomo di corte.
E’ l’unica cappella dotata di un campanile con orologio, che risuona scandendo il tempo, facendo eco alle campane della parrocchiale.
In un angolo di paese apparentemente uscito da una fiaba, benché la località sia denominata Inferno, sorge la Cappella di Santa Lucia.
Si tratta di una cappella votiva, ad oggi privata, dedicata alla patrona degli scalpellini.
Costruita nei primi anni dell’800, al momento dell’espansione dell’arte dei “pica-pera”, gli scalpellini appunto, che estraevano e lavoravano la pietra.
Tornando nella parte centrale del paese, di fronte alla Cappella delle Vigne, si può osservare Palazzo Perron, ora residenza privata, costruita intorno al 1810, già utilizzata quale convento delle Suore Orsoline. L’originaria tenuta, oltre all’attuale parco, comprendeva anche l’intera piazza Abegg.
All’interno del parco è conservata la “ghiacciaia”, una costruzione esterna al Palazzo, utilizzata per la conservazione del ghiaccio.
L’attuale struttura ad igloo in pietra, oltre al corpo centrale d’origine, si avvale d’ampliamenti successivi, richiesti dal commendator Poccardi.
Nel Palazzo la cosiddetta “stanza del principe”, che ha ospitato Umberto di Savoia in visita a Villar Focchiardo.
Localizzata poco lontano, ma con un salto temporale che riporta ai visconti di Baratonia, divenuti anche visconti di Villar Focchiardo, l’antica “Casaforte”, oggi detta “il Palais”.
La costruzione risale probabilmente a non prima del 1090, anno in cui il visconte Bruno di Baratonia cessò l’incarico di vice-conte di Torino e fu investito del feudo di Villar Focchiardo. Il “palais” è stato certamente edificato nel XII secolo, pare a ridosso di una preesistente “torre di segnalazione”, come ve ne erano molte altre in Valle di Susa: Mattie, Meana, Bussoleno, Borgone, Condove, Sant’Ambrogio, Torre del Colle, Avigliana, ecc. Nel 1342 la casaforte fu restaurata dal suo proprietario di allora, Giovanni Bertrandi “domicello”, figlio di Giovanni Bertrandi, il successore dei Baratonia, utilizzando orditura in legno d’abete venduta dal priore della Certosa di Montebendetto, Francesco Bertrandi, suo cugino.
La casaforte si affaccia all’interno di un cortile nella zona centrale di Villar Focchiardo. Il prospetto verso la strada risulta attualmente irriconoscibile, a seguito di un’operazione di ristrutturazione che ne ha alterato l’identità, ma la facciata interna, seppur anch’essa molto compromessa a causa di un incendio avvenuto nel corso del XIX secolo, presenta ancora alcuni elementi dell’antica fortificazione nel muro perimetrale, pericolante. L’edificio, che nei secoli fu abitato da numerose famiglie e attualmente viene utilizzato come deposito, era composto da tre piani fuori terra, solai lignei e pareti interne intonacate. I merli a coda di rondine, con fori tondi, oggi murati, appaiono molto degradati. All’interno della costruzione si trova un secondo muro interamente in cotto, ad esso adiacente, realizzato per consolidare quello esterno. In sostituzione delle feritoie, sono state inserite alcune finestre con serramenti in legno.
Lungo la ex ss 24, Cascina Roland, Posta di Roland, Giaconera.
Sembra che tutti e tre i fabbricati fossero in origine delle “casforti”, ossia delle modeste fortificazioni, sia per il tipo di costruzione, sia per la posizione del luogo in cui sorsero, sia per l’uso a cui erano destinati. Nei documenti si riscontrano denominazioni indifferentemente applicate le une alle altre, come Giaconera, Cassaforte Giaconera, Colombaro, Cascina Giaconera, Posta della Giaconera, Posta di Roland, Giaconera superiore, Cassaforte di Roland, Cascina di Roland. E’ possibile azzardare l’ipotesi che nei tempi antichi tutta la zona, nella quale sorgono queste tre modeste fortificazioni, a cavlallo dell’asse stradale, in corrispondenza di un incrocio e presso un ponte, fosse denominata “Jaconeriam” (La Giaconera) e che comprendesse le attuali Giaconera, Posta di Roland e Cascina Roland.
Per Cascina Roland la presenza di una prima casaforte è probabilmente collegata ai Visconti di Baratonia, a cui nel XIII secolo si unirono in co-signoria i Reano, i de Clusa e i de Iallono.
La casaforte è situata, in corrispondenza del 40° chilometro della SS.25 lungo l’antica via Francigena .la denominazione di Cascina Roland è dovuta forse alla sua vocazione agricola prima ancora che di fortificazione.
La “casa Roland” è attualmente diventato un centro polifunzionale dove le parti laterali sono costituite da alloggi ristrutturati, area museale. Le facciate sono caratterizzate da finestre ogivali con cornici in mattoni sagomati ed inoltre riportano alcune tracce di antichi affreschi. Al di sopra del cancello di ingresso e sul lato orientale del recinto si riconoscono i resti della cinta merlata, che testimonia il carattere difensivo della cascina. Di tutto il complesso, le parti conservatesi dell’antica fortificazione sono solamente quelle costituenti la cinta muraria esterna. All’esterno il famoso e leggendario “masso di Roland”.
La Giaconera, benché l’attuale aspetto esterno non lo dimostri, è da considerare il più antico del gruppo dei tre fabbricati in questione, per lo meno in riferimento allo spazio chiuso e fortificato su cui venne costruito inizialmente e ricostruito ed ampliato in seguito. E’ probabile che la parte della Giaconera definita “cassaforte” fosse abbinata al cosiddetto “Feudo dei Palais”. In un documento del 1696 si rileva che la parte est della Giaconera era di proprietà dei conti Cauda di caselette, e la parte ad ovest dei conti Carroccio-Fiochetto. Nel tempo la denominazione “Giaconera” scompare e subentra quella di “Colombaro”, perché nella parte adibita a “Cassaforte” era stata certamente installata una colombaia, privilegio gelosissimo dei feudatari. Più tardi la denominazione “Colombaro” era data ai terreni circostanti, mentre invece il fabbricato riprese il nome di “Giaconera”.
Fuori dal paese si trova invece la Cappella del Pian dell’Orso.
Il Pian dell’Orso è un pianoro a 1850 m di quota, all’interno del Parco Orsiera, dominato dalla pittoresca cappella della Trasfigurazione di Gesù sul Tabor. La cappella venne costruita per adempiere ad un voto fatto da un abitante di Villar Focchiardo intorno al 1842. Si attribuisce la costruzione della cappella di Pian dell’Orso all’iniziativa di Antonio Montabone che avrebbe edificato la cappella per assolvere a due voti fatti in particolare necessità quando il suo bestiame, unica fonte di sostentamento, fu colpito dal male del carbone e quasi completamente distrutto. Nello stesso periodo gli morì anche la moglie e rimase solo con nove figli a cui badare. Abbattuto da simili calamità promise che se la moria del bestiame si fosse fermata e se avesse trovato un’altra madre per i suoi figli avrebbe costruito una cappella a Pian dell’Orso per ringraziare il Signore della grazia ricevuta. Tutto andò come suo desiderio e, con l’aiuto della popolazione, mantenne fede al voto.
La festa della cappella si tiene sempre ogni anno ad inizio agosto.
Ed infine, le certose.
La certosa di Monte Benedetto
La Valle di Susa, una delle più importanti vie di transito dell’Europa medioevale, e, come tale, incrocio di grandi correnti di comunicazione, fin dall’alto medioevo aveva contenuto diversi modelli di esperienza monastico-religiosa. L’aspirazione a una vita appartata, propria dell’ordine religioso, in cui la componente eremitica ha forte rilievo, fa sì che la prima sede scelta come dimora dai certosini sia Losa, zona impervia posta sopra Susa. Sebbene non ci sia l’atto formale di fondazione della certosa, la documentazione pervenutaci basta ad informarci che l’iniziativa di dar vita a questo nuovo ente religioso in valle fu di Tommaso I di Savoia che, tra il 1189 e il 1191, donò a una comunità certosina alcune terre sopra Susa. I monaci di Losa nel 1197 chiesero ed ottennero di poter trasferire la propria sede nella zona di Monte Benedetto, nei pressi di Villarfocchiardo. Nel suo complesso la Certosa di Monte Benedetto è vissuta poco più di due secoli e mezzo, dal 1198-1200, data dalla quale vi entrarono i certosini provenienti da Losa, fino al 1468-1473, quando i certosini l’abbandonarono a causa di drammatiche condizioni ambientali, causate da inondazioni e smottamenti provocati dal rio della Sega e dal rio delle Fontanelle. Solo nel 1498 i monaci di Monte Benedetto furono autorizzati ad abbandonare l’antica dimora e recarsi a Banda nelle celle già esistenti. Lo spostamento a Banda segna l’inizio di un periodo di crisi finanziaria per la Certosa, né la sua ripresa è facilitata dalle vicende belliche che coinvolgono la Valle di Susa nel corso del XVI secolo con scontri tra eserciti spagnoli e francesi, a cui i Savoia partecipano come alleati ora dell’una, ora dell’altra parte. Il monastero certosino deve affrontare nel giro di un secolo e mezzo vari mutamenti di sede: da Avigliana,a Banda nel 1630, al monastero di Novalesa. Grazie all’intervento della duchessa Cristina di Savoia, i monaci di Montebenedetto ottengono infine di collocare la propria residenza a Collegno dove conoscono un nuovo periodo di splendore spirituale ed economico. Nel 1829 re Carlo Felice affida loro il compito di provare a rivitalizzare il monastero di S. Michele della Chiusa, tentativo abbandonato già tre anni dopo per l’incapacità di porre freno alla crisi dell’antica e famosa abbazia. A Collegno i certosini rimangono fino al 1855, anno in cui viene decretata per volere regio la soppressione di varie comunità religiose.
Secondo la tipologia certosina, la certosa o “casa alta”, era accompagnata dalla correria o “casa bassa”, i cui resti si trovano più in basso, a circa 1 km dalla conca della Certosa, lungo la mulattiera che parte da Villar Focchiardo e che era la strada antica; proseguendo oltre la correria, si incontra anche un piccolo edificio, che poteva essere abitato un tempo da un converso, guardiano della strada di accesso alla Certosa, come il guardiano-fatte le debite proporzioni- sulla strada della Grande Chartreuse , casa madre e riferimento di tutte le certose. La chiesa si presenta a navata unica, orientata, illuminata da tre finestre per lato, a profonda strombatura e arco a sesto pieno. L’abside è piatta, come usava più frequentemente nel mondo certosino rispetto all’abside semicircolare; la facciata è forata da una grande finestra romanica e da una massiccia porta con stipiti di pietra e un monolito per architrave; in origine l’ingresso era preceduto da un portico, come indicano le mensole a rostro.
La certosa di Banda
La certosa di Banda fu fondata da Enrico II di Baratonia nel 1206, ma il suo massimo splendore lo visse quando i certosini si trasferirono da Monte Benedetto a seguito delle difficili condizioni di vita a causa dei frequenti straripamenti del rio della Sega e del rio delle Fontanelle che scorrevano ai lati della Certosa stessa. Il priore di Montebenedetto, non molto tempo prima del trasferimento, aveva infatti fatto costruire cinque celle e qualche edificio accessorio, ma già in precedenza, essendo Banda diventata molto importante ai fini produttivi e di servizio, si costruirono camere per i conversi, un chiostro (dal 1435) e una piccola foresteria. Senza dubbio la chiesa doveva essere adatta alle pratiche religiose dei conversi presenti, del priore e del procuratore quando vi si recavano. Con il trasferimento a Banda, altre costruzioni furono adattate agli usi certosini, ma Banda non assunse mai l’aspetto di una Certosa ben definita, rimanendo molto simile alla configurazione di una Certosa primitiva e di una grangia. La particolare morfologia di questa grangia-Certosa la rende unica nel suo genere. La chiesa orientata è ad aula unica con volta a botte, presenta un’ abside piana aperta da una bella finestra trilobata ed è coperta da una volta a crociera gotica, con costoloni poggianti su colonne addossate, i cui capitelli portano decorazioni antropomorfe fortemente espressionistiche. La facciata della chiesa è aperta da una finestra quadrata, molto rimaneggiata; e non presenta portale d’ingresso. L’interno della navata è occupato da un coro ligneo semplicissimo, con stalli chiusi da baldacchini profondi, appoggiato sulle pareti, di cui è stata ipotizzata la provenienza di Monte Benedetto.
L’agricoltura
L’attività agricola è sempre stata ed in parte lo ancora oggi una delle principali componenti dell’economia villarfocchiardese. Nei tempi passati le esistevano tre tipi di agricoltori. I primi erano coloro che possedevano un capo o due di bestiame minuto (una capra, una pecora, ecc.). I secondi erano costituiti dai cosiddetti “particolari”, cioè coloro che possedevano un podere formato da un piccolo campo, un prtao, un orto e poco altro di più per mantenere una mucca. I terzi erano i “ricchi particolari” che possedevano prati, vigne, castagni, campi ed altri beni sufficienti per mantenere quattro o cinque mucche, nonché un cavallo con carri, e, qualcuno, anche un calessino. Erano quest’ultimi, a dirla come si diceva allora anche ai fini elettorali, i “migliori registranti” del paese, i”capi di casa” che facevano parte di diritto del Consiglio Generale del Comune. Da alcuni documenti dell’archivio comunale si evince che nel 1610 il raccolto più importante era ancora la castagna, seguivano la produzione dei formaggi, del burro, della frutta, la coltivazione del grano, granoturco e segala, la produzione di legna da ardere e da costruzione.
Lavorazione della pietra
Una delle attività tradizionali di Villar Focchiardo è la lavorazione della pietra. Alcuni anni fa era anche molto sviluppata l’estrazione. Molto rinomate erano le pietre da taglio del Villar; particolarmente quelle del granito cosparso di anfibola nera, con cui fu costruito anche il ponte sulla Dora Riparia nei pressi della Giaconera. Le cave di pietra da taglio erano quasi tutte a conduzione familiare; rare le società giuridiche, con il tempo furono costituite delle cooperative. Scalpellino (“pica péra”) è chiamato chi professa il mestiere dell’estrazione e lavorazione della pietra, sia in proprio che alle dipendenze altrui. Il proprietario della cava, che la gestiva direttamente, era denominato “coltivatore di cava”. Nel 1864 erano “coltivatori di cave i fratelli Marra Giuseppe e Maurizio. Esisteva anche una società costituita da Bosina Francesco, Pognante Angelo e Chiaberto Gioanni. Un’altra importante attività era l’industria estrattiva della pietra calcare per la fabbricazione della calce. Le fornaci più importanti erano quelle di Pianverso e del Malpasso. La produzione della calce viva era effettuata mediante forni, o fornaci, a fuoco intermittente, in muratura, a forma cilindrica o tronco conica appoggiati o incassati nel terreno. Nella parte inferiore vi era una camera per l’accatastamento della legna e per l’introduzione del materiale, scelto in pezzature non inferiori ai 15-20 cm., per ottenere le cosiddette “zolle”. Chi era addetto ai lavori per il funzionamento della fornace era chiamato “fornaciaio”.
Attualmente l’unica attività rimasta è la lavorazione della pietra, svolta con nuove tecnologie, dagli eredi di quelle famiglie (Versino, Cavezzale, Perino) che in passato sono state protagoniste in questo caratteristico settore artigianale.
Indirizzo
Via C. Carroccio, 30
Provincia
TO
CAP
10050
Referente
Eugenio Di Gaetano, sindaco
Telefono
011 9645025