Dopo i sacchetti, le bio-bottiglie compostabili. Ma gli impianti sono attrezzati?
Ha cominciato la S.Anna, ma potrebbero arrivarne altre: sebbene nessun decreto (né comunicato stampa) lo imponga, anche le bottiglie seguono la via dei sacchetti, e inaugurano la bioplastica. E ricomincia il tormentone: dove si buttano? Nell’organico, ma spesso di lì tornano in discarica
Bottiglia biodegradabile del marchio S. Anna: “L’unica al mondo che sparisce in soli 80 giorni”. Dove però, bisogna ancora capirlo bene.
La Bio Bottle è realizzata in Plastica vegetale Ingeo (PLA, acido poli-lattico), e i produttori assicurano che si biodegrada completamente – o almeno al 90% – in 80 giorni negli appositi siti di compostaggio, rispettando dunque gli standard previsti dalla norma UNI EN 13:432, l’incubo di tutti i produttori di sacchetti additivati. “Può essere conferita nella raccolta differenziata dell’organico” scrivono sul sito della S. Anna, informazione che ci viene confermata anche dal servizio qualità dell’azienda, interpellato telefonicamente. “Può”. E perché non “deve”?
E infatti la faccenda è più complicata. “Queste bottiglie hanno superato gli standard previsti, e dunque ottenuto il marchio CIC – ci spiega Massimo Centemero, Direttore tecnico del Consorzio Italiano Compostatori – ma questo purtroppo non significa che vengano realmente riciclate nel compost. Non tutti gli impianti sono attrezzati per riconoscere il nuovo materiale, che finisce spesso per essere scartato assieme al sovvallo. Bisogna ricordare che la selezione non è manuale, ma avviene in modo automatico. Gli impianti di compostaggio sono stati progettati per smaltire l’umido, non le bottiglie, e dunque è logico che questi oggetti vengano riconosciuti come frazioni estranee dai rilevatori: e come tali vanno a finire in discarica”.
Qualcosa devono aver fiutato anche in S.Anna, e infatti nella scheda tecnica del nuovo prodotto si legge anche Per maggiori chiarimenti rivolgiti al locale gestore della raccolta rifiuti.
“Che è la stessa risposta che do io quando mi viene chiesto – commenta Centemero – Dipende dagli impianti. Purtroppo compostabile non significa automaticamente “Ok, conferitela nell’umido”.
Insomma, ecco che la bottiglia più verde del mondo rischia di finire in discarica per il resto dei suoi giorni, che saranno anche solo ottanta, ma certo non è una fine eco-gloriosa.
Un dubbio risolto
Qualche settimana fa ci aveva incuriosito un articolo pubblicato da Revet S.p.a. in cui si accennava ad una conferma scritta di Corepla ad una ditta toscana che aveva richiesto chiarimenti sul corretto conferimento delle bottiglie in PLA. “Plastica” rispondeva Corepla, secondo l’articolo. (La ditta era Publiambiente, che ci ha poi gentilmente mostrato la risposta del consorzio, specificando oltretutto la propria neutralità sulla questione).
In data 21 giugno il Presidente del Consorzio Giuseppe Rossi dichiarava invece a Repubblica che “Se si diffondesse l’uso di bottiglie in bioplastiche (Pla) si rischierebbe di inquinare il flusso della raccolta differenziata della plastica (non sono compatibili con il riciclo del Pet) e occorrerebbe prevedere una selezione specifica a valle della raccolta”.
Perplessi e confusi abbiamo chiesto spiegazioni al direttore Comunicazione di Corepla, Gianluca Bertazzoli, che ci ha confermato quanto dichiarato dal Presidente. “Il flusso di PLA all’interno del riciclo del PET è un problema serio – afferma Bertazzoli – come quello dei sacchetti di plastica. Quando la normativa è lacunosa si rischia di creare danni gravi, e sul concetto di biodegradabile c’è sempre più confusione. E’ vero che queste bottiglie pagano il contributo a Conai ma non si possono determinare i conferimenti solo su base fiscale”.
Insomma, le biobottiglie sono una novità che ha creato una certa confusione nell’aria, soprattutto a causa dell’aspetto contributivo, ma il contrordine compagni è arrivato: non buttare le bottiglie in Pla nella plastica.
In conclusione…
“Il corretto conferimento dei materiali biodegradabili è una questione di grande importanza commenta Centemero – Per questo CONAI e il CIC hanno istituito un gruppo di lavoro comune per arrivare ad una soluzione. Se oggi i prodotti in plastica biodegradabile sono ancora in percentuali minime rispetto all’immesso al consumo, è facile prevedere un’impennata nei prossimi anni, e dovremo essere preparati ad affrontarla. Purtroppo in assenza di regole chiare si assisterà ad un proliferare di falsi, come è già capitato anche per i sacchetti, e il rischio è che si crei una nuova categoria di rifiuti, che non sono riciclabili in nessun modo”.
Tratto da Eco dalle città
22 giugno, 2011