Indifferenza vs comunità

Il segreto della piccola esperienza dei comuni virtuosi risiede nella contrapposizione tra due parole che rappresentano altrettanti atteggiamenti presenti in quasi tutte le nostre comunità locali. Nella capacità, da parte della classe dirigente locale, di indirizzarne l’esito relativamente al senso comune di appartenenza, alla forza di una di vincere sconfiggendo l’altra.

Da una parte c’è l’indifferenza. Parola democratica, che non fa distinzioni di sesso, credo religioso, ceto sociale, convinzioni politiche, collocazione geografica e livello culturale. Colpisce tutti, indistintamente. L’indifferenza è una parola che si accomoda e adatta ad ogni occorrenza. Si sposa e si accompagna ad altre parole, altri atteggiamenti, che si fan forza l’un l’altro: la rassegnazione, l’intolleranza, qualche volta l’omertà, quasi sempre il silenzio. L’indignazione, che si fa ignavia e inazione. L’indifferenza alimenta e fa crescere quella politica che, almeno a parole, diciamo tutti di odiare. Quella che spreca, che corrompe, che complotta. La politica da archiviare, insomma. Ma che proprio grazie alle praterie lasciate dalla nostra rinuncia all’azione, trova spazio per reiterare se stessa all’infinito. Riciclandosi e degenerando come un cancro incurabile per la democrazia.

Dall’altra parte c’è la comunità. Parola altrettanto democratica, più timida della prima. Che si alimenta e vive nella somma di tanti io, in grado di sciogliersi e amalgamarsi in un noi collettivo. Laddove esiste una comunità forte, coesa, identitaria, vince la buona politica. Le migliori esperienze in campo ambientale (e non solo) dei comuni virtuosi vivono nella misura in cui al sindaco curioso e volenteroso si affiancano sacche di resistenza civica e civile in grado di supportare ed affiancare l’azione positiva degli enti locali di prossimità: i municipi.

Indifferenza versus comunità. E’ questa la chiave di volta che fa sempre la differenza, laddove si percepisce che a questo modello di sviluppo fallito è fondamentale contrapporre non l’odio e la paura della crescita infinta e dell’esclusione sociale, ma l’entusiasmo e il coraggio di aprirsi a un mondo nuovo, aperto, sostenibile e solidale. Quando partimmo ormai dieci anni fa, non avevamo ancora ben chiara la direzione che avremmo intrapreso nel tempo. Oggi, quella direzione, è evidente. Ed è tracciata dalla somma di decine e centinaia di esperienze locali che hanno dimostrato, concretamente, come sia possibile e non solo necessario invertire la rotta mettendo in discussione un modello la cui crisi non è e non sarà passeggerà, ma di sistema. Per la cui uscita occorre quindi, banalmente, ripensare il modello, costruendone uno nuovo.

L’Italia vista dal livello delle comunità locali è, da questo punto di vista, all’avanguardia. Mentre sconta un ritardo quasi ventennale nelle politiche e nei programmi nazionali in campo ambientale dei vari governi che si susseguono alla guida del Paese, nelle miriadi di sperimentazioni locali assistiamo ad una vitalità e ad una capacità progettuale che fanno del nostro Paese una meta ambita per amministratori e funzionari che da mezza Europa arrivano per studiare il caso Italia (i tanti casi italiani virtuosi). Dal governo del territorio a una gestione efficace dei rifiuti, dalle politiche per una mobilità sostenibile a scelte lungimiranti nella riduzione dei consumi energetici: ci sono progetti e azioni sul campo che fanno la differenza, per il benessere dei cittadini e per la salvaguardia del pianeta. A patto che tutto questo venga portato avanti da una visione a 360 gradi del comune. Non basta più agire su singole progettualità, serve una politica virtuosa degna di questo nome. Non un singolo assessorato dedicato alle politiche ambientali, ma una giunta intera ed una macchina comunale che fanno fronte comune per la sostenibilità, usando il parametro della sobrietà come paradigma attraverso cui declinare ogni azione e scelta quotidiane.

L’esperienza dei comuni virtuosi insegna che cambiare si può. Lo hanno fatto e lo stanno facendo decine di amministratori locali che nell’indifferenza generale dei media nazionali e della politica altolocata sono riusciti nell’impresa di essere virtuosi nonostante tutto. Nonostante leggi sbagliate e burocrazia asfissiante. Nonostante demagogia strisciante che ha visto vomitare addosso all’opinione pubblica il mantra che tutto ciò che è pubblico e politica è marciume e casta, sprechi e inefficienze di ogni genere.

La rivoluzione dolce delle buone pratiche sarà più incisiva e rapida nel momento in cui si riuscirà a influenzare come un virus salvifico il livello nazionale partendo dal basso, costringendo le istituzioni romane a fungere da facilitatori del cambiamento comunque in essere. Che, tradotto, significa poter contare su uno Stato che tuteli e incentivi i comuni virtuosi. Quei sindaci che non svendono il territorio rinunciando agli oneri di urbanizzazione e non consento la realizzazione di una cosiddetta grande opera per avere in cambio qualche opera compensativa.

Avere cioè leggi e risorse in grado di supportare e ancor di più premiare chi fa del proprio meglio (e bene) per i cittadini della propria comunità. Questo è anche l’obiettivo che ci poniamo come Associazione per i nostri prossimi dieci anni di vita. Smettere di essere semplicemente l’eccezione che conferma la regola. Diventando invece lo stravolgimento della regola stessa.

Marco Boschini, coordinatore Associazione Comuni Virtuosi