La relazione tra uomo e agricoltura
L’Associazione Comuni Virtuosi si è espressa più di una volta contro l’utilizzo dei pesticidi in agricoltura e in special modo per l’uso del glifosato. Ecco un articolo molto interessante apparso sul sito di Slow Food, che ci sentiamo di rilanciare e sottoscrivere in pieno, parola per parola.
Il glifosato è il principio attivo più usato in agricoltura; è un disseccante, e ci racconta bene la relazione che il mondo “sviluppato” ha con l’agricoltura e, più in generale, con la natura.
Infatti non viene impiegato solo dagli agricoltori, ma anche da tante pubbliche e private amministrazioni per “tenere sotto controllo” le erbe indesiderate: si usa per il verde pubblico (una normativa europea ha stabilito che non si possa più fare, ma gli Stati membri hanno tempo fino al 2020 per adeguarsi), per “pulire” i bordi delle strade, i vialetti d’accesso delle case private, quelli di alberghi e ristoranti, per “punire” quei fili d’erba che si azzardano a comparire tra una mattonella e l’altra dei cortili pavimentati. Si spande glifosato sulle scarpate di fianco ai binari, qualche volta anche tra i binari stessi, lungo le autostrade, insomma in tutte quelle situazioni non agricole in cui si sceglie di risparmiare tempo, fatica, e denaro (non necessariamente in questo ordine di priorità) per la manutenzione.
Per quanto riguarda il mondo agricolo, il glifosato dovrebbe servire a combattere le erbe infestanti.
Una delle ragioni del suo uso massiccio nelle aree in cui si coltivano grandi estensioni e nelle quali è consentita la coltivazione di Ogm sta nel fatto che una delle modifiche genetiche che sono state ottenute dall’ingegneria genetica è la resistenza di un tipo di mais e un tipo di soia al RoundUp, ovvero a un diserbante che ha il glifosato tra i suoi ingredienti principali. I campi di soia e mais RR (RoundUp Ready) possono essere serenamente irrorati con l’erbicida senza che l’agricoltore debba temere il disseccamento della coltura target.
Purtroppo però, l’uso prolungato seleziona specie e ceppi di erbacce resistenti, che vengono combattuti alzando i dosaggi, cosa che avviene in tanta parte di America Latina, Usa e non solo, determinando un accumulo progressivo nell’ambiente e nella catena alimentare.
Ma anche alle nostre latitudini se ne usa parecchio, perchè, Ogm a parte, ci siamo messi in testa che anche l’agricoltura, come il vialetto pavimentato che porta al nostro garage, debba essere pulita, ordinata e non debba prendere iniziative.
Se impiantiamo un frutteto ci devono stare solo gli alberi, qualunque altra presenza non è autorizzata e dunque la combattiamo come fosse una questione di legittima difesa. Se impiantiamo un vigneto ci comportiamo come se quel vigneto fosse completamente scollegato dal resto dell’universo, come se il suolo, anziché essere un organismo vivente, che ha proprie logiche e dinamiche di reazione, e ospita altri abitanti oltre a quelli che noi stiamo coltivando, fosse invece solo un substrato inerte e così si deve comportare. Se potessimo coltivare un vigneto su una spianata di cemento, allora sì che sarebbe tutto più semplice. Ma non possiamo, e allora facciamo quanto in nostro potere per rendere il suolo delle vigne quanto più simile a una spianata di cemento.
Ovviamente tutto questo lo fa solo un determinato tipo di agricoltura, così come la parte relativa al verde pubblico e privato è gestita in quel modo solo da un determinato tipo di cittadini e di amministrazioni.
Per fortuna, infatti, esistono agricoltori e cittadini che cercano di disturbare il meno possibile l’universo, e per farlo sono disposti a qualche fatica e a un po’ di studio. Addirittura: sono disposti a dedicare parte dei loro bilanci alla cura dell’universo in cui mangiano, bevono, respirano.
Ci sono sistemi agricoli, praticabili anche sulle grandi superfici, che consentono di controllare l’inerbimento senza utilizzare la chimica. Le false semine per quel che riguarda i cereali, per esempio, la rotazione delle colture, la pacciamatura o il sovescio. O ancora l’impiego di tecniche meccaniche, senza dimenticare la cara e vecchia zappa, soprattutto nei frutteti e nei vigneti, che richiede tempo e fatica che però poi vanno pagati.
Certo, ci va più cura, più tempo, più lavoro e più attenzione. E ci andrebbe anche un pochino di tecnologia. Perchè, restando ai cereali, molto si potrebbe risolvere con delle mietitrebbia capaci di selezionare meglio i semi desiderati escludendo gli altri.
C’è poi la scelta di quel che si coltiva. I grani antichi, per esempio, sono più alti di quelli “moderni”. Questo li rende un pochino meno redditizi (allettano più facilmente), ma anche meno interessati alla questione delle erbacce, perché fanno sì che il terreno prenda meno luce, per cui si sviluppano meno erbe. Inoltre, essendo più alti, al momento della mietitura sarà più semplice escludere il livello delle erbe. Ricordiamoci anche questo quando decidiamo quale pane, pasta o farina comprare. I grani antichi, oltre ad avere naturalmente meno glutine di quelli moderni, sono anche meno bisognosi di chimica nella fase di produzione.
In più crescono bene solo in luoghi con un clima sufficientemente asciutto e una quantità di ore di luce adeguata. Luoghi dove non c’è bisogno di quelle irrorazioni di glifosato che in alcuni Paesi sono lecite, per esempio il Canada (…avete presente il Ceta?): prima del raccolto si nebulizza un po’ di glifosato sui campi, così si è sicuri che tutto secca per bene e non si creeranno muffe indesiderate nel grano stoccato o nelle farine, che si manterranno per un sacco di tempo, potranno fare il giro del mondo e arrivare da noi a costi bassissimi rispetto a quelli delle farine da grani antichi. Evviva.
Così torniamo da capo: vogliamo cibo a costi ridicoli? Lo possiamo avere, ma dobbiamo sapere cosa implica la semina su sodo (che fa risparmiare tempo e denaro, protegge il suolo dall’erosione, ma spesso è abbinata all’utilizzo di erbicidi), dobbiamo sapere che tutto quel residuo chimico non “sparisce”, solo perché nei prodotti non lo ritroveremo (ammesso e non concesso), ma va a finire nel sottosuolo e dunque nelle acque e dunque nei fiumi, nei mari, nei pesci. Che noi mangiamo. E li mangiano anche quelli che diserbano a mano e non inquinano il vialetto del garage. Li mangiano anche quelli che vivono dall’altra parte del globo, non hanno né campi da coltivare, né vialetti, né garage, ma solo un villaggio su un’isola dove cercano di vivere in pace pescando e crescendo i propri figli.
Un recente studio ci racconta della presenza di glifosato nelle nostre urine: lì proprio non ci dovrebbe essere. Vogliamo aspettare che i governi ci indichino un limite legale di glifosato anche nei nostri fluidi corporei? Dopodiché, vedendo qualcuno accostare l’auto nella piazzola di emergenza e scendere slacciandosi la cintura potremo dire: “gli scappa da diserbare”.
Fonte: Slow Food