Prodotto interno bicicletta
Una ricerca di Legambiente dimostra quanto sia sostenibile da un punto di vista ambientale, economico, occupazionale e di salute, un’economia della bicicletta. Si chiama PIB, prodotto interno bicicletta, e i risultati sono davvero sorprendenti.
“Il Pil comprende anche l’inquinamento dell’aria, la pubblicità per le sigarette e le ambulanze per sgomberare le nostre autostrade dalle carneficine del fine settimana…Non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago“. E’ il 18 marzo del 1968 e Bob Kennedy, nel pieno della campagna elettorale e pochi giorni prima dell’attentato di Los Angeles che gli spezzerà la vita, si lancia in un’appassionante intemerata contro il Prodotto interno lordo.
Un discorso visionario che decenni dopo ispirerà Barack Obama alla ricerca del “Pil della felicità”. E che, fatte le dovute proporzioni (ci perdonino cotanti precursori), sembra rivivere nel Pib, il “Prodotto interno bici”, ovvero il valore economico della bicicletta misurato per la prima volta in Italia anche con la “distinta” territoriale. Oltre 4 miliardi di euro complessivi all’anno (per l’esattezza 4,156 miliardi), stimati attraverso dieci parametri relativi alla mobilità urbana nelle varie regioni: il mercato bici, componentistica, accessori, riparazioni (1,161 miliardi); i benefici sanitari legati ad attività fisica e conseguente riduzione sedentarietà (1,054 miliardi); i benefici sociali e sanitari per i bambini (960 milioni); i benefici derivanti dalla riduzione dell’assenteismo sui luoghi di lavoro (193,180 milioni); la riduzione dei costi ambientali dei gas serra (94,390 milioni); la riduzione dei costi sociali dei gas serra (428 milioni); il miglioramento della qualità dell’aria (18,266 milioni); il contenimento dei danni sanitari causati dal rumore (12,840 milioni); il risparmio di carburante (127, 309 milioni); il contenimento costi delle infrastrutture e dell'”artificializzazione” del territorio.
La misurazione del Pib – realizzata in un rapporto di Legambiente presentato a Pesaro in occasione degli Stati Generali della Mobilità Nuova durante i quali è stato chiesto a molti sindaci di sottoscrivere la “Dichiarazione dei diritti del ciclista urbano” – non comprende oltretutto il settore del cicloturismo che, da solo, nel nostro Paese movimenta più di due miliardi di euro all’anno, ma che è rappresentativo solo di alcune zone del Paese (Conteggiando anche questa voce, il Pib totale italiano supererebbe i 6 miliardi). E prende le mosse da alcuni dati di insieme (incrociati con statistiche Istat) per arrivare poi a tracciare la mappa regionale della ricchezza prodotta dalla “pedalatori spa”. In numeri assoluti in Italia usano sistematicamente la bicicletta per motivi di studio o di lavoro 1.012.00 persone che salgono a 1.729.696 se si considera la totalità dei residenti che sceglie le due ruote human powered come mezzo di trasporto. Si tratta del 3,5% degli occupati per il percorso casa-lavoro e il 2,4% dei bambini e degli studenti fino a 34 anni per il collegamento con la scuola o l’università.
Nel confronto con gli altri Paesi comunitari (la media dei cittadini europei che usano questo stile di mobilità è a quota 8%), il nostro accusa un evidente ritardo, ma per alcune regioni (Emilia-Romagna, Trentino-Alto Adige e Veneto in primis) la media di lavoratori e studenti “pedalatori” è più o meno in linea con quella della Ue. Passando al Pib vero e proprio, la distribuzione territoriale vede in testa (in termini assoluti) la Lombardia con 977,537 milioni di euro, seguita da Emilia-Romagna (887,176), Veneto (883,069), Toscana (328,584), Piemonte (225,901), Trentino-Alto Adige (201,257); in coda troviamo Umbria (28,751), Sardegna (20,536), Basilicata (12,321), Calabria (12, 321), Valle d’Aosta (4,107). Ma considerando il numero di abitanti e di “pedalatori”, è più indicativo il Pib pro-capite che vede guidare la graduatoria l’Emilia-Romagna (199,44 euro per abitante) seguita da Trentino-Alto Adige (190,02), Veneto (179,66), Friuli-Venezia Giulia (114,35) e Lombardia (97,67); in fondo alla classifica la Campania (12,63), la Sardegna (12,38), il Lazio (9,76), Sicilia (7,28) e Calabria (6,25).
Naturalmente su questa mappa pesano fattori culturali, infrastrutturali e geografici. Così se, da un lato, rimangono lontani anni luce i modelli di città come Amsterdam e Copenaghen, il nostro Paese continua ad accumulare distanze abissali anche da realtà meno scontate, come ad esempio Parigi con i suoi 700 chilometri di percorsi ciclabili e con i 150 milioni di investimento che li faranno salire entro il 2020 a 1400 chilometri; gli oltre 1000 chilometri di rete di Berlino; o l’80% di crescita negli ultimi 5 anni degli utenti della bicicletta addirittura a New York.
La risposta italiana è quella di Bolzano, con il suo anello ciclabile che collega scuole, impianti sportivi e zone ricreative della città; di Milano, con il 6% dei residenti che si posta in bicicletta anche grazie a limitazioni del traffico, organizzazione dei trasporti pubblici e sharing; Pesaro con la sua “Bicipolitana”, una sorta di metro di superficie, 85 chilometri complessivi dove al posto delle rotaie ci sono percorsi metropolitani e al posto dei vagoni le biciclette; infine Roma che, nonostante una quota di appena lo 0,5% di residenti ciclisti, prova a sfidare il futuro con il progetto Grab, i 45 chilometri del “Grande raccordo anulare delle bici” ideato da Velo Love, Legambiente e Touring club italiano e finanziato dalla Legge di Stabilità 2016. “Quello della ciclabilità – dice Alberto Fiorillo, responsabile aree urbane di Legambiente – è un asset sul quale Regioni e governo devono investire con sempre maggiore decisione, per i vantaggi che produce da un punto di vista ambientale, sociale, sanitario e economico“. Scommettere sul Pib, dunque, perché a dirla ancora con Bob Kennedy “il Pil misura tutto, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta“.
Di Marco Patucchi – Repubblica.it