Una campagna fa finalmente luce sul fenomeno dell’abbandono degli imballaggi per bevande ma non sulle soluzioni
Partita la nuova campagna di comunicazione di Ichnusa: “Il Nostro Impegno” che l’azienda lancia in vista dell’estate per accendere l’attenzione sul problema dell’abbandono delle bottiglie in vetro raggiungendo tutti i luoghi più affollati dal turismo estivo.
La novità di questa campagna molto apprezzata sui social sta nel suo claim provocatorio “Se deve finire così, non beveteci nemmeno” che accompagna i manifesti in bianco e nero dell’iniziativa raffiguranti bottiglie Ichnusa abbandonate in natura. Si tratta, indubbiamente, di un esempio ben riuscito di Reverse Marketing con l’intento di sensibilizzare i propri clienti rispetto a comportamenti scorretti per sottolineare l’impegno aziendale nel volere ridurre l’impatto delle proprie attività sull’ambiente, anche attraverso il vetro a rendere.
La campagna che vede la collaborazione di Legambiente comprenderà azioni concrete di ripristino e pulizia in aree dell’isola dove l’abbandono è più frequente nelle località di: Cagliari, Quartu Sant’Elena, Villasimius, Olbia, Sassari, Alghero e Oristano Anche i 120 dipendenti del birrificio di Assemini (Cagliari) si mobiliteranno per dare una mano nelle operazioni di clean up.
Qualche numero presentato da Ichnusa sul tema
Da un sondaggio a livello nazionale affidato da Ichnusa ad AstraRicerche emerge che l’abbandono delle bottiglie di vetro per metà degli italiani è un problema diffuso e molto grave e che 6 su 10 (7 su 10 in Sardegna) affermano che se vedono una bottiglia di vetro dispersa nell’ambiente la raccolgono.
Allo stesso tempo emerge anche che un italiano su quattro ammette di avere abbandonato tale imballaggio nell’ambiente una o più volte nell’ultimo anno (1 su 5 in Sardegna).
Altri dati che emergono dalla ricerca sono la maggiore propensione dei sardi a ripulire ( il 68% raccoglie le bottiglie abbandonate, contro una media italiana del 62%) e l’attribuzione del fenomeno dell’abbandono delle bottiglie alla movida e alla fascia di età dai 18 ai 34 anni ( 67% dei rispondenti). Per 8 italiani su 10 questo tema andrebbe approcciato non in maniera punitiva. “Ecco allora la nostra presa di posizione coraggiosa – ha spiegato Michela Filippi, responsabile marketing – Possiamo partire da piccoli gesti per ispirare un movimento“.
Due sondaggi a confronto
Rispetto al sondaggio di Ichnusa il nostro ultimo sondaggio diffuso ad inizio anno ha rilevato un livello di consapevolezza e preoccupazione più alto sul fenomeno del littering da contenitori di bevande. Scopo del sondaggio era indagare sia quale fosse il tipo di materiale che viene percepito come il più dannoso tra vetro, plastica e metallo/alluminio quando disperso nell’ambiente, sia l’esistenza di una eventuale differenza di percezione e giudizio sul fenomeno determinata dall’area politica di appartenenza. Dai risultati è emerso che l’abbandono delle bottiglie di plastica è considerato grave o molto grave dal 91,2% degli elettori di sinistra e dall’89,7% dagli elettori di destra, quello delle lattine rispettivamente dall’87,6% e dall’87,1% e quello delle bottiglie di vetro dall’84,2% e dall’87,1%.
Quanto emerso suggerisce che il fenomeno dell’abbandono e del conseguente spreco di imballaggi susciti reazioni simili, e che la soluzione che la nostra campagna individua nel sistema cauzionale non sia un tema divisivo considerato che oltre l’80% dei rispondenti al nostro sondaggio è favorevole ad una sua implementazione anche in Italia (Fig.2).
Il merito e i limiti della campagna di Ichnusa
La campagna di Ichnusa ha il merito di fare luce su un fenomeno diffuso in modo importante anche nel nostro paese che il mondo della birra – e dei produttori di bevande in genere – non ha mai affrontato apertamente, o dimostrato di volersene prendere carico. Sempre presenti d’altro canto nella comunicazione ambientale del vetro, gli aspetti positivi come la riciclabilità e la riusabilità delle bottiglie, che rischiano però di rimanere sulla carta quando non si creano le condizioni che garantiscono il ritorno dei contenitori in nuovi cicli economici.
Venendo ai limiti dell’iniziativa, che resta pur sempre meritevole in un panorama dove si registra poca attenzione al fenomeno, va detto che si tratta di limiti comuni a tutte le iniziative basate sulla sensibilizzazione e l’educazione del pubblico di riferimento. Le iniziative che promuovono un cambio culturale non supportato dal contesto in cui “fare la cosa giusta” richiede impegno e organizzazione personale richiedono tempo (indeterminato) e capillarità di diffusione. Inoltre il messaggio deve pervenire al cittadino da più fronti e in più occasioni, altrimenti si rischia di “sparare nel mucchio” e di mancare il principale bersaglio, che il sondaggio di Ichnusa parrebbe avere identificato nel pubblico giovanile.
Non si trovano studi in Italia che fotografino il problema del littering mirato ai contenitori di bevande, ma dal sondaggio di Ichnusa sappiamo che almeno un italiano su quattro ha contribuito al fenomeno.
Le cause legate all’abbandono dei rifiuti variano poi probabilmente a seconda dei luoghi in avviene il fenomeno e delle fasce di età coinvolte, e spesso i casi di abbandono riguardano interi sacchi di immondizia non differenziati. Un probabile denominatore comune dietro ai diversi casi di littering è la pigrizia e la comodità del delegare a qualcun altro un compito percepito come “fastidioso”, con la quasi certezza di non incorrere nelle dovute sanzioni.
Chi prova ad interrogare gli amministratori comunali sul problema rileva un impotenza di fondo delle istituzioni che non riescono ad incidere su comportamenti del genere molto diffusi con le risorse a disposizione. I Comuni non dispongono delle risorse finanziarie e personale necessarie per campagne continue che dovrebbero combinare la possibilità di commutare continue sanzioni (bastone) e/o disporre di incentivi morali o monetari da offrire a chi si comporta correttamente (carota). Un aspetto che spieghiamo meglio nel prossimo capitoletto sulle soluzioni.
Un secondo limite dell’iniziativa di Ichnusa nella percezione di un pubblico più informato sui temi della responsabilità di impresa e delle legislazioni sui rifiuti, sta nel fatto che focalizzare l’attenzione esclusivamente sul versante del cambio culturale e della sensibilizzazione degli utenti. Non prendere in considerazione le misure di prevenzione del fenomeno esistenti ed efficacemente applicate in paesi che hanno un sistema di deposito, rischia di passare come un tentativo di greenwashing. Questo al di là delle indiscutibili nobilissime intenzioni che hanno portato alla realizzazione di questa campagna.
L’approccio di imputare al solo consumatore finale la responsabilità del littering e del mancato riciclo, ricorda una strategia già utilizzata dall’industria delle bevande a metà del secolo scorso per giustificare la comparsa del fenomeno, sconosciuto quando i sistemi di riuso con vuoto a rendere erano la norma.
Una strategia che è stata efficace nel breve termine nel proteggere gli interessi dei produttori di bevande che, allettati dagli enormi risparmi conseguenti al delegare la raccolta dei vuoti e relativi costi alle comunità, non si sono impegnati a sostenere i sistemi di deposito cauzionale per diverse decadi. Sul lungo termine, invece, ha contribuito a perpetuare il problema del littering e a rallentare gli sforzi per affrontarlo in modo efficace, considerato che le ricette all’insegna dell’informazione, sensibilizzazione e della moral suasion sono state messe in campo senza successo da ormai mezzo secolo.
La storia delle campagne di pulizia ambientale
Per il settore delle bevande c’è un trascorso di iniziative legate a questo annoso problema che non hanno brillato come fulgidi esempi di responsabilità ambientale e sociale di impresa.
Promuovere l’idea che il littering fosse principalmente colpa dei singoli individui allo scopo di evitare di affrontare seriamente le questioni legate alla produzione e alla gestione dei rifiuti è stata una strategia utilizzata dall’industria delle bevande negli anni ’50 e ’60 definita come “blame-shifting” o “finger-pointing”.
In quegli anni i produttori di bevande negli USA si trovarono nella situazione di dovere giustificare un’esplosione dei livelli di abbandono di contenitori monouso nell’ambiente dovuta alla dismissione dei sistemi di vuoto a rendere in vetro da loro intrapresa. Man mano che venivano chiusi i concessionari locali che imbottigliavano e recuperavano le bottiglie per riempirle nuovamente, la dispersione di bottiglie e lattine aumentava. A quel punto i produttori di lattine e bevande, per distogliere l’attenzione del pubblico dalla principale causa, crearono e finanziarono le prime campagne di pulizia. La storia della nascita della prima campagna Keep America beautiful e la pubblicità del “crying indian“, entrata nella storia del marketing ambientale, sono state raccontate in numerosi articoli e anche in questo breve video.
Un articolo che racconta come è nata e da quali aziende sia stata adottata questa tattica che viene annoverata tra le diverse formule del greenwashing si può leggere qui.
Uno sguardo alle soluzioni che arrivano dal passato
Parlando di soluzioni al problema del littering, se ci fossero stati sistemi basati sulla responsabilizzazione del singolo capaci di garantire un quasi totale ritorno dei contenitori, i rivenditori e produttori di liquidi alimentari non avrebbero iniziato ad inizio novecento ad applicare tale meccanismo.
A rendere più complessa la situazione va detto che, ad oggi, le conseguenze a livello economico dell’abbandono dei rifiuti non ricadono direttamente sul singolo, ma vengono spalmate e dilazionate nel tempo sulle bollette dei rifiuti di un’intera comunità. Infatti, nel sistema attuale di raccolta differenziata degli imballaggi, in cui è la qualità dell’imballaggio raccolto a determinare un corrispettivo, più o meno alto, da parte dei consorzi Conai, chi differenzia poco e male non viene colpito.
Lo stesso accade nel caso di chi non differenzia per nulla e conferisce gli imballaggi nei cestini stradali o nel rifiuto indifferenziato creando così un costo che è al 100% al carico del Comune e dei suoi contribuenti. Questo perché le compensazione sui costi di avvio a riciclo da parte dei consorzi del Conai sono previsti solamente per gli imballaggi conferiti nei flussi della raccolta differenziata del vetro, carta, plastica e metalli. Meno corrispettivi che compensano una parte ( già minoritaria) dei costi sostenuti dai Comuni per la gestione dei rifiuti, si riflette in bollette più alte.
Tutto ciò considerato, assolvere alla responsabilità estesa del produttore sul ciclo di vita dei propri prodotti nei termini previsti dalla legge, dovrebbe significare per i produttori di bevande, non solamente sostenere i costi del fine vita dei propri imballaggi, ma proporre e sostenere quei sistemi consolidati che ne prevengono gli effetti collaterali negativi come la dispersione e il mancato riciclo che ne consegue.
Produttori di bevande europei a favore dei DRS, in Italia tutto tace
La associazioni europee che riuniscono i produttori di acque minerali (NMWE), bibite (UNESDA), dei succhi di frutta (AIJN) hanno tutte supportato presso la commissione europea e durante l’iter legislativo del regolamento europeo Imballaggi e rifiuti da imballaggio PPWR, l’introduzione di sistemi di deposito cauzionale. Anche se non è stato introdotto nel regolamento l’obbligo di istituire sistemi di deposito per le bottiglie in vetro esiste un problema nel nostro paese per la birra in particolare legato alla dispersione e alla criticità che il vetro monouso incontra nel raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione.
Nell’esigenza di raggiungere gli obiettivi di Carbon neutrality al 2050, scrive infatti su Linkedin Enrico Galasso Presidente e AD di Peroni, “credo sia opportuno un approfondimento a parte per il tema del vetro in quanto, nel contesto degli obiettivi di Carbon neutrality 2050, il vetro a perdere rappresenta una criticità fortissima (circa il 30-35% di tutta la CO2 emessa dalla filiera della birra in Italia, ad esempio). Il vuoto a rendere è già realtà in diversi paesi, anche nella GDO, tra cui la Germania. Ovviamente andrebbero ricercate soluzioni comuni, implementabili e nel rispetto di cittadini, fornitori, clienti ed istituzioni (e del pianeta. ).“
C’è solamente una misura che funziona spingendo l’intercettazione vicina al 100%, che è quella del sistema di deposito cauzionale finalizzato al riciclo (per bottiglie monouso o lattine) oppure del vetro a rendere finalizzato al riuso, sempre grazie al potente incentivo del deposito.
L’Italia è costretta ad importare vetro dall’estero, e anche da paesi come Malta che hanno avviato nel 2022 un sistema di deposito cauzionale, con circa 300.000 tonnellate di vetro che finiscono smaltite, invece che intercettate per il riciclo.
L’appello fatto dall’associazione leccese “Galatonesi a raccolta” partner della campagna per un DRS nazionale chiede, non a caso, di dare un valore al rifiuto.
Lettonia e Slovacchia due paesi che hanno risolto il problema
In Lettonia è stato introdotto un DRS nel febbraio del 2022 e in Slovacchia il mese prima. Entrambi i paesi registrano una quasi sparizione dei contenitori per bevande nell’ambiente.
Durante il clean up avvenuto in Lettonia nel weekend della giornata della terra in alcune aree nel tratto del canale Zunda che costeggia l’isola di Kipsala, sono state ritrovate nel folto tappeto di bottiglie intrappolate dalla vegetazione sugli argini, quasi solamente bottiglie immesse prima che il DRS entrasse in vigore.
Entrambi i paesi, oltre a beneficiare di una quasi sparizione dei contenitori soggetti al deposito dall’ambiente, hanno in comune un’importante quota del consumo di birra commercializzata in vuoto a rendere con ricarica, al contrario dell’Italia dove il 70% del mercato della birra utilizza bottiglie monouso.
Nel sistema cauzionale slovacco, come avviene in quasi tutti i DRS, le birre in vuoto a rendere, che sono parte di un sistema volontario organizzato dai singoli produttori, condividono gli stessi punti di raccolta dei vuoti presso i rivenditori con le altre tipologie di bevande in contenitori monouso. La particolarità del sistema in Lettonia sta nel fatto che è lo stesso amministratore del DRS per i contenitori monouso che gestisce anche il sistema di riuso con l’impiego di bottiglie standarizzate condivise da più produttori.