Design Sistemico per riprogettare il domani

Il momento storico che stiamo vivendo è segnato da una profonda crisi che mina le basi di un sistema sociale ed economico figlio del Positivismo e delle Rivoluzioni Industriali e sviluppatosi secondo un modello di consumo che ha posto al centro il prodotto e soprattutto il profitto. Questa premessa sembra scontata oggi dopo che la comunità internazionale ha maturato e mostrato negli ultimi decenni una significativa presa di coscienza rispetto ai problemi e ai limiti di un modello di sviluppo miope e in disaccordo con le leggi fisiche del nostro pianeta. Sono ormai evidenti gli effetti di questa crisi a livello globale, si susseguono rapporti scientifici sullo stato del pianeta che confermano le ipotesi avanzate dai primi modelli matematici che tentavano di simulare i limiti dello sviluppo.

Non ultimo il Rapporto di Jorgen Randers che a 40 anni dalla pubblicazione dell’ormai celebre Rapporto del MIT sui limiti dello sviluppo estende i calcoli effettuati nel 1972 facendo una previsione non rosea per il 2052. Il presente di oggi ha purtroppo validato le previsioni del primo rapporto che al momento della sua pubblicazione fece molto scalpore e suscitò critiche feroci per via della sua visione pessimistica di un declino economico che sarebbe potuto cominciare entro i primi decenni del ventunesimo secolo.
Con un approccio più vicino al linguaggio degli economisti e dei politici Sir Nicholas Stern ha evidenziato nel 2006 come i cambiamenti climatici e più in generale la crisi ambientale globale, sarebbe costata da un minimo del  5% del PIL mondiale all’anno ad un massimo del 20%. Invece, per ridurre le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera, sarebbe stato sufficiente investire soltanto l’1% annuo del PIL.

Questi sono solo due esempi che confermano una tendenza, ormai in atto da tempo, di fallimento di un sistema sociale ed economico lineare basato sull’irrazionale prelievo di risorse e sulla conseguente produzione di rifiuti. Non è più il momento di discutere sulle effettive cause di questa crisi, e sull’evidenza degli effetti che sono ormai evidenti, ma è il tempo di prendere coscienza del cambiamento e agire per disegnare un nuovo futuro. La situazione di profonda crisi che sta vivendo oggi il tessuto economico europeo, ma non solo, è evidenza della crisi più profonda dell’intero sistema lineare su cui poggia la nostra società. Per superarla non è pensabile adottare lo stesso approccio e le stesse strategie che hanno contribuito alla creazione di questo sistema e dei problemi che da questo sono stati generati, ma è necessario un profondo ripensamento dei bisogni e delle dinamiche sociali ed economiche attraverso nuove prospettive. In questo scenario la figura del progettista è centrale. Al designer è demandato un evidente impegno etico e culturale per trovare soluzioni sostenibili: ruolo che va oltre la semplice figura di ideatore di nuovi prodotti assumendo una visione più strategica e nel ruolo di esploratore del contemporaneo si fa carico di definire nuovi modelli di consumo.

Si parla quindi di Ecodesign o Design for Environment come discipline per la definizione di nuovi scenari socio culturali per la soddisfazione di bisogni reali. Agli albori, l’approccio del Design for Environment era focalizzato sul massimizzare l’efficienza di un sistema economico produttivo ricco di scarti e di sprechi. E’ nato quindi il concetto di “Lean Production” per limitare i cosiddetti “muda”, arrivando a ipotizzare il famoso fattore 4 o 10 secondo cui l’attuale livello di benessere potrebbe essere sostenuto impiegando un decimo delle risorse attualmente utilizzate. L’approccio all’ecoefficienza ha determinato la nascita di metodologie di analisi per valutare l’impatto ambientale dei processi produttivi (es. LCA) e di conseguenza una serie di guidelines per cercare di mitigare questi impatti. Tuttavia, questo approccio è stato spesso applicato con interventi “end-of-pipe” volti a limitare i danni di un sistema produttivo inefficiente, demandando a nuove tecnologie “verdi” l’onere di mitigare gli impatti, senza focalizzarsi realmente sul cuore del problema. Intervenire sull’efficienza energetica di un elettrodomestico o di un’automobile serve a poco se non si ripensa il sistema di utilizzo per cui questi apparecchi sono stati pensati.
In quest’ottica si sono sviluppati approcci alla sostenibilità il cui obiettivo è quello di ripensare il sistema creando un nuovo stato di equilibrio ispirato ai meccanismi che la natura ha sviluppato in 4 miliardi di anni. Si assiste quindi ad uno spostamento di paradigma che l’architetto statunitense
con l’ottica di disegnare sistemi in cui non sia più presente il concetto di “rifiuto”, ma nei quali ogni output di un processo diventa input per nuove attività.

Da queste basi nasce la “circular economy” che prevede di valorizzare gli scarti trattandoli come risorse per nuove attività attraverso il riciclo materico e l’ottimizzazione della vita utile dei prodotti contrastando l’obsolescenza programmata figlia di un sistema economico lineare basato sulla necessità di introdurre in continuazione nuovi prodotti sul mercato per mantenere se stesso.
Un approccio ancora più interessante, a nostro avviso, è quello della Blue Economy proposto dalla Fondazione Zeri, che ispiratosi alla scienza della complessità, alla teorie dei sistemi dinamici e ai meccanismi presenti in natura propone un sistema produttivo innovativo assolutamente integrato nella biosfera in grado di generare attività emergenti dagli output dei singoli processi.
Le relazioni output-input, che si creano all’interno di un sistema complesso, rappresentano le fondamenta della metodologia sistemica. Proprio dalla collaborazione tra la Fondazione Zeri e il Politecnico di Torino è nata la metodologia del Design Sistemico sviluppata negli ultimi 20 anni dal Gruppo di Ricerca coordinato dal prof. Arch. Luigi Bistagnino*.
Il Design Sistemico è una metodologia progettuale che può essere applicata a differenti settori produttivi: dall’industria manifatturiera, alle filiere agroalimentari, ai servizi. Questa metodologia è volta a ridurre l’impatto ambientale generando al contempo un notevole flusso economico attraverso l’analisi, la conoscenza e la riprogettazione dei flussi di materia e di energia. Il Design Sistemico ha la capacità di coinvolgere i soggetti di un sistema, generando una rete di relazioni che porta vantaggi al singolo e all’intero sistema. Le singole parti si intrecciano formando una rete tra i flussi di materia, energia e informazione che la rende robusta e capace di assorbire le variazioni impreviste. In questo modo è possibile creare il sistema complesso che annulla il concetto di “rifiuto”. La realizzazione del sistema è solo l’ultimo tassello della metodologia, che si raggiunge solo dopo aver analizzato il contesto e le risorse nascoste del territorio, utili ad innescare nuove relazioni. Questo approccio progettuale è adottato dal gruppo torinese di ecodesigner che prende il nome di Officine Sistemiche.

Dario Toso – Officine Sistemiche

Officine Sistemiche è formata da un team di ecodesigner torinesi. Il gruppo, formatosi culturalmente e metodologicamente al dAD – Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino all’interno del Gruppo di Design Sistemico con il quale tuttora collabora, affianca realtà aziendali ed imprenditoriali con l’obiettivo di migliorarne le performance ambientali, economiche e sociali, in accordo con l’approccio del Design Sistemico. La tematica ambientale sempre più urgente per le realtà aziendali necessità di competenze solide e di una visione innovativa e lungimirante per adottare una visione strategica incisiva che sappia andare al di là di azioni di comunicazione spesso al limite del greenwashing. Lo stretto dialogo con il mondo della ricerca consente ad Officine Sistemiche di confrontarsi costantemente con l’innovazione nel settore ambientale sviluppando una visione strategica in tal senso.
Il progetto sviluppati da Officine Sistemiche testimoniano come un design orientato al territorio ed allo sviluppo locale, sia in grado di creare connessioni e legami tra risorse e saperi prima scollegati fra di loro. Infatti, è proprio grazie alla creazione di un sistema, in cui i suoi componenti sono legati tra loro da un reciproco scambio di risorse, che si genera un processo virtuoso sostenibile sia da un punto di vista economico, sociale ed ovviamente ambientale.
Le connessioni che si formano tra i vari nodi si basano su un legame di interdipendenza, che autoregolano il sistema stesso, capace di generare un senso di responsabilità condivisa. In questo scenario, il concetto di prodotto smette di essere un’entità singola, ma diventa espressione di una rete di relazioni.

* Luigi Bistagnino, Design Sistemico. Progettare la sostenibilità produttiva e ambientale, 2ª ed.  Slow Food Editore, 2011.

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