Minimizzare il consumo di shopper è possibile: manca la volontà politica

LA SPINTA GENTILE PER AIUTARE IL PIANETA
Riassumendo se non si vuole perdere la battaglia della salvaguardia delle risorse (finite) che buttiamo via insieme ai nostri rifiuti, va creato un sistema (o un’architettura delle scelte)  che spinga i cittadini (tutti o quasi)  a fare la cosa giusta (teoria del Nudge o della spinta gentile). La scelta giusta deve essere facile ed intuitiva da intraprendere, gratificante e contenere elementi di premialità di tipo economico, anche se non necessariamente o esclusivamente. In questo caso fare pagare sempre e comunque gli shopper monouso e non solamente pochi centesimi, è l’unica ricetta win win che funziona nel lungo periodo per esercenti e clienti.
Se il negoziante gestisce i sacchetti come un prodotto da vendere, invece che un costo a suo carico sul quale risparmiare, sarà meno tentato a cercare scorciatoie e rischiare sanzioni. Se i consumatori troveranno a disposizione solamente sacchetti legali a pagamento non dovranno giocare a Sherlock Holmes per individuare i sacchetti illegali ma abituarsi a portare la sporta. Elementare Watson?

LA BATTAGLIA NEGLI USA
Negli Stati Uniti continua invece ad imperversare la battaglia ingaggiata dell’industria della plastica per impedire qualunque tipo di tassa o bando che ne limiti il consumo. Le lobby del settore foraggiate da generose “donazioni” da parte dell’American Chemistry Council e attraverso il loro braccio armato l’American Progressive Bag Alliance sono costantemente  in causa contro città o contee che hanno votato legislazioni per bandire o tassare i sacchetti di plastica per garantire ai cittadini “la libertà di poterne usufruire liberamente“. Ora parrebbe che (inaspettatamente ??) il settore abbia una nuova freccia al loro arco. Sta infatti succedendo che siano gli stessi politici ad attivarsi a livello statale per approvare legislazioni che impediscano a città o contee di fare passare tali restrizioni per gli shopper. Esempi recenti sono lo Stato di New York con il probabile scopo di bloccare nella capitale l’entrata in vigore di una tassa di 5 cent sugli shopper e la Georgia. In California invece ci sarà un referendum a Novembre a seguito della causa intentata allo stato dell’American Progressive Bag Alliance per impedire l’entrata in vigore del California Senate Bill 270 — una legge passsta nel 2014 per vietare i sacchetti di plastica e far pagare 10 cent i sacchetti di carta o plastica compostabile.
I cittadini sono chiamati al voto sia, per esprimere il loro parere sull’entrata in vigore o meno della legge, che per decidere se la tassa può essere trattenuta dai negozianti o essere devoluta per finanziare progetti ambientali.
Lo stesso copione avviene negli USA per i contenitori per l’asporto del cibo di strada (o bevande) in polisterolo. L’industria interpreta principi come l’Epr responsabilità estesa del produttore sul ciclo di vita dei propri prodotti in modo riduttivo, per non dire strumentale. La responsabilità del produttore, secondo larga parte del mondo industriale, parrebbe esaurirsi nel momento in cui immettono al consumo un materiale/bene teoricamente/tecnicamente riciclabile. Come se tutti i requisiti necessari a livello di progettazione (ecodesign) e l’esistenza di un sistema di raccolta e riciclo economicamente sostenibile -per far si che un prodotto possa essere realmente riciclato- fossero di secondaria importanza. E questo senza considerare il fatto che debba esistere uno sbocco economico per le materie prime seconda da riciclo senza dover subire la concorrenza da parte delle materie prime vergini quando i prezzi scendono. Questa situazione è stata concausa per la chiusura di diversi impianti di riciclo della plastica negli USA. Anche di grandi dimensioni come la recente chiusura di Entropex.
Un esempio da manuale è la contesa tra il sindaco di New York e Dart produttore di contenitori di polisterolo per asporto di cibo e bevande. Dart ha proposto al sindaco di assumersi i costi per la costruzione di un impianto per il riciclo dei contenitori e contribuire ad assicurare un mercato per il prodotto riciclato. L’offerta parrebbe generosa ma purtroppo non è così, in quanto gli investimenti più ingenti rimangono pur sempre a carico del pubblico. Anche ammesso che i consumatori differenzino i contenitori invece di buttarli nel primo cestino dell’indifferenziato (quando va bene) quanto costa raccogliere i contenitori e l’avvio a riciclo ? Se Dart gestisse tutto il ciclo closed loop e cioè se (con un deposito su cauzione o altro tipo di premialità) recuperasse e avviasse a riciclo i contenitori per crearne di nuovi l’operazione avrebbe un seppur minimo “senso” ambientale. Minimo perchè è proprio il consumo usa e getta che non è compatibile con lo stato del pianeta. La migliore opzione per l’ambiente è sempre la prevenzione del consumo di risorse (e del rifiuto) che si traduce in questo caso con l’impiego di tazze riutilizzabili per le bevande e stoviglie e contenitori lavabili e riutilizzabili per il cibo da asporto.

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