Pubblico e privato, conflitto senza fine
Gli indirizzi della riforma proposta dal Governo sono interessanti: riduzione delle società che offrono servizi agli Enti o ai cittadini, riduzione delle ridondanze attraverso i distretti (fusioni sovracomunali), verifica dei costi delle attività svolte in esclusiva. Manca un punto che ritengo determinante: la proprietà pubblica dei beni comuni, la pianificazione pubblica dei servizi, la capillarità e universalità.
L’unica sostanziale differenza tra pubblico e privato risiede nella scelta degli investimenti. I privati debbono garantire profitti ai loro soci e possono fare interventi o investimenti solo se è assicurato un adeguato ritorno economico. Il pubblico può fare investimenti anche senza profitto, semplicemente garantendo l’equilibrio dei bilanci.
Ricorrere al privato per superare le difficoltà di gestione, malversazione o corruzione di alcune società pubbliche porta un grave rischio: il privato non necessariamente garantirà servizi capillari o universali, ma solo quelli con adeguato ritorno economico. Il caso delle telecomunicazioni è emblematico, con le società pubbliche, tutti i territori erano serviti in maniera omogenea, oggi i gestori del servizio portano le reti a “banda larga” solo nei territori dove è garantito un certo numero di utenti.
Davvero vogliamo che anche per rifiuti, per acqua, energia e trasporti il servizio sia garantito solo dove esistono condizioni socio territoriali che garantiscano adeguati profitti?
Alberto Bellini, Comitato direttivo Associazione Comuni Virtuosi