Acquisti verdi: le nuove norme aiutano, ma bisogna crescere

Sono passati vent’anni dal recepimento della normativa Comunitaria sui rifiuti da imballaggio da parte della normativa Italiana con l’emanazione del Decreto Ronchi. Iniziò allora l’epoca della raccolta differenziata e del riciclo. A quattro anni di distanza, in previsione del nuovo Accordo Quadro vogliamo riprendere da dove ci eravamo interrotti, lasciando la parola agli addetti ai lavori con una piccola serie di interviste.

Intervistiamo Massimo Ferlini, Presidente di Remade in Italy*: “Dal 1997 è stato fatto molto. Ripartiamo dai successi ottenuti, valorizziamoli, ma bisogna spingere sul riciclo. Coinvolgendo tutti gli stakeholder”

Vent’anni dal recepimento della Legge Comunitaria sui rifiuti da imballaggio, vent’anni dal Decreto Ronchi. Qual è la sua valutazione di questo ventennio?

Indubbiamente il sistema ha ottenuto dei successi evidenti. I risultati raggiunti sono ottimi ed hanno portato il nostro Paese ad essere uno dei primi Paesi Europei nell’applicazione delle prime direttive sul recupero dei materiali e dei rifiuti da imballaggio. Un sistema che ha una base semivolontaria: il Conai è un consorzio pubblico, che utilizza soldi pubblici per incrementare i risultati. Ma l’impegno per il raggiungimento dei risultati lo devono mettere Comuni e Regioni, ed è un impegno estremamente diversificato! Ritengo che il Sistema Italia sia stato bravissimo a raggiungere i risultati odierni, non potendo contare sul contributo di alcune parti di Paese. Ora la situazione si sta normalizzando, ma ci sono problemi ancora aperti. Ad esempio i risultati di raccolta non sempre si sono tradotti in pari risultati in termini di effettivo riciclo. La raccolta non è riuscita ad assumere il ruolo di trampolino di lancio per la fase di chiusura del cerchio, quella che renderebbe un’economia davvero “circolare”.
I risultati ottenuti in questi vent’anni devono essere la base da cui partire per risolvere, nell’interesse e con il coinvolgimento di tutti gli attori che fanno parte del sistema, le questioni rimaste aperte, due delle quali ho citato poc’anzi.

A fronte dei risultati ottenuti con la raccolta differenziata, nel nostro Paese è ancora in palese difficoltà il mercato di materie prime seconde. Quali le cause?

Bisogna fare un passaggio preventivo, affrontando una questione che il Decreto Ronchi ha lasciato sul tavolo e che interessano il sistema di gestione dei rifiuti nella sua completezza.
A mio giudizio la principale causa è stata in effetti la divisione fra rifiuti urbani e rifiuti speciali, e non più semplicemente fra pericolosi e non pericolosi. Una forzatura che non ha permesso o ha frenato una pianificazione di tipo virtuoso del recupero dei materiali. Solo le Regioni in cui il tema rifiuti è stato affrontato come filiera unica e non come due filiere artificiosamente separate, hanno ottenuto risultati che primeggiano in Europa. Parliamo in primo luogo della Lombardia, ma anche di altre regioni del nord Italia. In Italia una cultura del riciclo è tradizione antica, antecedente a qualsiasi legge sui rifiuti, da ben prima che fossero fissati obiettivi in tal senso. Con questa divisione artificiosa si è persa l’occasione di fondere la capacità industriale, la creatività che ci viene universalmente riconosciuta e le politiche di tutela ambientale.

Torniamo al mercato del riciclato. Quali le soluzioni per creare e far crescere un mercato che possa poi camminare sulle proprie gambe.

Credo che una prima scelta sia quella di impostare la politica in modo tale che possano scendere in campo tutti gli attori, tutti gli stakeholder. Credo si debba aprire una fase in cui favorire aggregazioni e forme di partecipazione territoriali e distrettuale che favoriscano politiche mirate di recupero. Eventualmente anche permettendo la selezione di particolari rifiuti o di particolari materiali che possano essere ulteriormente separati ai fini del possibile riutilizzo. È evidente però che si debba mettere mano al sistema nel suo complesso. Lasciare campo a singole azioni o a singole iniziative potrebbe scardinare il sistema senza dargli un nuovo equilibrio e una nuova sostenibilità.
Si tratta di rivedere il sistema in modo da valorizzare le esperienze che nel frattempo sono cresciute sul territorio, anche molto differenti da quello che erano vent’anni fa. Non dimentichiamo che dall’approvazione del Decreto Ronchi ad oggi, molti utilizzi di materiali da riciclo che all’inizio erano vietati per motivi sanitari o ambientali sono stati approvati e che, per conseguenza, è aumentata la domanda di alcuni materiali che non possono che venire da raccolte accurate e selezionate, quando non addirittura dedicate.

Le pubbliche amministrazioni muovono con i loro acquisti, cifre importanti. La norma impone loro una quota di acquisti verdi. Oggi quanti acquisti delle PA sono realmente verdi, e quanto margine c’è ancora?

Dati ufficiali non ce ne sono ancora, perché ancora non esiste un osservatorio che segua l’applicazione della normativa sul GPP.
Per quello che vediamo noi come Associazione, oramai quasi tutti i capitolati d’appalto comprendono le indicazioni o i criteri ambientali minimi e quindi sono confacenti alla normativa sugli acquisti verdi. Sicuramente quella del GPP, anche grazie all’ultimo Codice degli Appalti, sta diventando una consuetudine per le pubbliche amministrazioni. In alcune Regioni con più forza perché supportate da una legislazione regionale favorevole o da centrali d’acquisto regionale, in altre con più lentezza.
E anche dalla parte delle aziende mi pare che si tenda a scartare scorciatoie e si cerchi una competizione chiara, sia nel rispetto del rispetto dei Criteri Ambientali Minimi (CAM), sia in termini di sostenibilità di materiali e prodotti forniti

In tema di prevenzione, ovvero di minimizzazione dell’impatto e riprogettazione degli oggetti in ottica riciclo in Italia si è fatto abbastanza?

Sicuramente c’è stata nel settore industriale una diminuzione del materiale utilizzato per singolo imballo. Questa è sicuramente la prima cosa da notare. In secondo luogo, con più lentezza, vi è stata la ricerca di nuovi design per gli imballaggi tali da dismettere i poliaccoppiamenti che sono poco amici del riciclo e oggi di pensare a nuovi imballaggi che o sono prodotti con materiali provenienti da riciclo, o comunque finalizzati a semplificare le fasi di recupero e riciclo dell’imballaggio stesso.
Minore successo ha avuto il tentativo di influire sui comportamenti individuali: il fatto di abolire gli imballaggi, tornare alle ricariche, alla vendita di prodotti sfusi. Probabilmente perché si richiedeva di tornare a comportamenti pre-industriali. Comprendo la resistenza che la gente ha nel tornare ad abitudini abbandonate da tempo.
Ha avuto successo invece il passaggio dai sacchetti di plastica a quelli in plastiche compostabili e biodegradabili.

*Remade in Italy è un’associazione senza finalità di lucro nata nel 2009 avendo come soci fondatori Regione Lombardia, Amsa, Camera di Commercio di Milano e Conai. Nel 2013 è diventata proprietaria del primo schema di certificazione accreditato in Italia per la verifica del contenuto di materiale riciclato in un prodotto. Certificato da un ente terzo come Accredia, Remade in Italy è uno dei marchi segnalati dalla nuova legislazione sugli appalti per identificare materiale proveniente da riciclo.