Circuiti di riutilizzo: un’opportunità per nuovi modelli di consumo e di business

Consigliamo la visione degli interventi presentati in occasione del Webinar “Circuiti di riutilizzo: un’opportunità per nuovi modelli di consumo e di business?”, organizzato dalla Piattaforma Italiana degli Stakeholder per l’Economia Circolare (ICESP) e Giacimenti Urbani, con la collaborazione di Planet Life Economy Foundation (PLEF). Programma e dettagli a fondo pagina.

Nel novembre 2022 la Commissione Europea ha pubblicato la proposta per il Regolamento sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio. Il Regolamento fa seguito al primo pacchetto di misure sull’economia circolare adottato nel marzo 2022; include la riduzione dei rifiuti pro-capite, nuove regole contro l’over-packaging, obiettivi più ambiziosi su tassi di riciclo e contenuti minimi di materiale riciclato e, a partire dal 2029, l’obbligo di istituire sistemi di deposito cauzionale per contenitori di bevande monouso come bottiglie in plastica e lattine.

Per i consumatori, le nuove norme dovrebbero garantire opzioni di imballaggio riutilizzabili e maggiore trasparenza nel sistema di etichettatura a sostegno di un corretto riciclaggio. Per l’industria, potrebbero creare nuove opportunità commerciali, in particolare riducendo la necessità di materiali vergini e aumentando la capacità di riciclaggio con una minore dipendenza da risorse primarie e da fornitori esteri.

Il Webinar “Circuiti di riutilizzo: un’opportunità per nuovi modelli di consumo e di business?”, organizzato dalla Piattaforma Italiana degli Stakeholder per l’Economia Circolare (ICESP) e Giacimenti Urbani, con la collaborazione di Planet Life Economy Foundation (PLEF), intende stimolare delle riflessioni sui potenziali vantaggi e sulle sfide che il Regolamento può determinare sia per i consumatori che per il sistema.

Il Webinar nasce come proposta del Gruppo di Lavoro 2 “Strumenti Normativi ed Economici” di ICESP, in particolare del sottogruppo “Strumenti Normativi” ed ha l’obiettivo di contribuire alla definizione di una cornice chiara a livello nazionale ed europeo che possa essere di riferimento per tutti gli operatori pubblici e privati. Il GdL2 di ICESP è attualmente coordinato da UNIONCAMERE ed ENEA.

L’evento è moderato dal gruppo di coordinamento del dL2.imprenditoriale.

Programma

Per andare selettivamente agli interventi dei relatori vai in fondo pagina alla sezione CHAPTERS

Tutte le presentazioni si possono scaricare a questo LINK alcune

00:00 | Saluti istituzionali – Paolo Mamo (PLEF)
06:12 | Saluti istituzionali – Grazia Barberio (ENEA)
12:27 | Saluti istituzionali – Donatella Pavan (Giacimenti Urbani)
16:59 | Introduzione – Erika Mancuso (ICESP)
21:41 | Il riutilizzo come opzione concreta nella proposta del Regolamento europeo sugli imballaggi – Gianluca Bertazzoli (Giacimenti Urbani)
37:31 | Le direttrici internazionali sullo sviluppo del riuso: cosa ci dicono le valutazioni LCA e le determinanti per il suo sviluppo ed efficientamento – Enzo Favoino (Zero Waste Europe)
52:01 | Oltre il monouso: il ruolo della pubblica amministrazione – Il Manifesto moNOuso – Paolo Azzurro (ANCI Emilia-Romagna)
01:07:39 | Riduzione emissioni – Contenuto di riciclato: Prospettive e strumenti nel percorso del Green Deal Europeo – Ivana Brancaleone (Studio Brancaleone)
01:20:00 | Opportunità legate al riciclo organico degli imballaggi – Alberto Fragapane (Novamont)
01:30:09 | Il Riutilizzo: garantire salute facendo prevenzione – Federica Tommasi (ISS)
01:44:00 | Modelli di riutilizzo e prodotti-servizio negli usi temporanei del settore edilizio – Serena Giorgi (POLIMI)
01:56:20 | Sperimentazione di contenitori riutilizzabili all’interno del GDO – Fabio Brescacin (Naturasì)
02:03:20 | Servizi di packaging riutilizzabile per e- commerce e grandi elettrodomestici – Alberto Cisco (Movopack)
02:12:25 | Servizi di fornitura stoviglie e lavaggio per eventi – Roberto Basso (Rent Solution)
02:23:12 | La gestione fiscale delle cauzioni negli eventi – Federico Staunovo Polacco (Socix Eventi)
02:29:20 | Conclusioni – Marco Conte (Unioncamere)

Riuso: i supermercati olandesi si portano avanti con il lavoro mentre l’Italia tira il freno

Cinque catene di supermercati olandesi aderenti al Plastic Pact fanno squadra e decidono nel corso di quest’anno di eliminare i sacchetti monouso di qualsiasi materiale nel settore ortofrutta .

I sacchetti monouso gratuiti per frutta e verdura scompariranno quest’anno dai punti vendita di cinque catene olandesi che partecipano all’iniziativa promossa dalla Ellen McArthur Foundation dei Plastic Pact : Lidl, Jumbo, Plus, Aldi e Albert Hein che più avanti nella fase di dismissione del monouso.

I clienti verranno invitati ad utilizzare sacchetti riutilizzabili e lavabili che già da tempo si vedono in diversi punti vendita di due dei 5 supermercati firmatari : Lidl con il suo Green Bag ad Albert Hein che è stato il primo dei cinque ad avviare l’iniziativa già nel 2021 ma che, evidentemente, non è andata a totale compimento. Lo scorso anno Albert Heijn ha promosso i sacchetti riutilizzabili regalandoli ai clienti che acquistavano prodotti sfusi come, ad esempio, mele o fagiolini. Successivamente i sacchetti ortofrutta sono passati a 30 centesimi di euro al pezzo.

Con questa iniziativa congiunta le cinque catene contano di risparmiare complessivamente circa 126 milioni di sacchetti di plastica e 10 milioni di sacchetti di carta ogni anno.

Albert Heijn, ALDI, JUMBO, Lidl e PLUS partecipano al Plastic Pact NL. Questa alleanza tra il governo olandese e più di 100 aziende leader nella filiera della plastica mira a ridurre l’uso della plastica e a migliorarne il riciclo. Lavorando insieme, possono ottenere più risultati delle singole aziende.

Il Segretario di Stato all’Ambiente Vivianne Heijnen si è detta entusiasta dell’iniziativa: “Meno rifiuti produciamo meno meno ne dovremo trattare. Accolgo quindi con favore l’iniziativa dei supermercati olandesi di porre fine ai sacchetti monouso per l’ortofrutta. Sarebbe bello se tutti i supermercati aderissero all’iniziativa in modo che i sacchetti riutilizzabili diventino presto la nuova normalità.”

Carlijn Röell, direttore operativo di Plastic Pact NL, ha sottolineato che la cooperazione tra i supermercati è una tappa importante. “I consumatori devono abituarsi al fatto che il riutilizzo degli imballaggi diventi la norma il prima possibile. Per questo è importante che partecipi il maggior numero possibile di catene di supermercati. Il Plastic Pact continuerà a sostenere queste iniziative comuni”.

La dichiarazione d’intenti congiunta che le catene hanno firmato hanno firmato il 23 febbraio scorso prevede che anche i sacchetti di carta per frutta e verdura dovranno essere eliminati.

Nel punti vendita di Lidl i sacchetti monouso che sono ancora ben visibili nel reparto ortofrutta, scompariranno gradualmente, e i sacchetti riutilizzabili ora acquistabili in coppia verranno venduti separatamente. Jumbo conta di esaurire le scorte attuali di sacchetti monouso e di poter eliminare i sacchetti monouso entro quest’estate. Il portavoce di Aldi ha dichiarato che la transizione verso il riutilizzabile avverrà quando si esauriranno le scorte attuali di sacchetti di plastica.

Secondo Roland ten Klooster, professore di packaging design e management all’Università di Twente, la scelta di abbandonare i sacchetti leggeri è giustificabile in quanto si tratta oltretutto di un flusso tecnicamente difficile da raccogliere, selezionare e riciclare, anche se altri tipi di sacchetti e buste monouso non sono esenti da impatti ambientali. L’aspetto importante dell’iniziativa spiega Ten Klooster è quello di rendere consapevole il consumatore sulle sue scelte che incidono a vari livelli sull’ambiente.

E l’Italia a che punto è sul riuso ?

Il nostro paese per quanto riguarda la possibilità di adottare “ufficialmente” sacchetti ortofrutta riutilizzabili risulta “non pervenuto”. Dopo il clamore suscitato dal divieto di commercializzazione dei sacchetti in plastica leggeri nel settore ortofrutta (e non solo) a favore dei sacchetti in bioplastica battuti a scontrino, tutto tace. I sacchetti biodegradabili con i manici vengono regalati nelle farmacie e altri esercizi commerciali con buona pace dell’obiettivo annunciato dai proponenti del provvedimento di ridurne il consumo attraverso la disincentivazione economica. Molti supermercati sono passati ai sacchetti gratuiti in carta con finestra trasparente nel reparto ortofrutta, e non sempre dove si utilizzano solamente sacchetti in bioplastica compostabile viene praticato l’addebito simbolico di 1 o 2 centesimi. Neanche durante il governo Conte   –  con un Ministro come Sergio Costa appassionato alle tematiche ambientali    –  c’è stato un pronunciamento da parte dei due ministeri coinvolti nel rimpallo delle decisioni a chiarire se esiste un via libera ai sacchetti riutilizzabili nei supermercati, o meno. Non risultano essere stati comunicati ai media o attraverso altri canali dati sulla percentuale di clienti che utilizza i sacchetti riutilizzabili nella grande e piccola distribuzione. Nello specifico da Coop Lombardia che ha messo a disposizione dei propri clienti dall’agosto del 2021 sacchetti ortofrutta nei suoi punti vendita lombardi.

A sentire Fabio Brescacin, presidente di EcorNaturaSì che ha messo per primo nel 2018 i sacchetti ortofrutta riutilizzabili a disposizioni dei clienti dei negozi di NaturaSì l’iniziativa oggi coinvolge pochissimi clienti. Lo ha detto a margine di un intervento al webinar “Circuiti di riutilizzo: un’opportunità per nuovi modelli di consumo e di business?” (ora 1.56 ‘) organizzato dalla Piattaforma Italiana degli Stakeholder per l’Economia Circolare (ICESP) e Giacimenti Urbani, con la collaborazione di Planet Life Economy Foundation (PLEF).

La conclusione più logica da trarre è che non è possibile affidarsi –  come sostiene Brescacin nel suo intervento –  alla sola potenziale comprensione della gravità della sfida climatica e delle risorse da parte dei singoli cittadini o delle aziende, perché sarebbe una battaglia persa, e per la quale siamo anche fuori tempo massimo. Servono legislazioni cogenti che inneschino quella che viene definita innovazione upstream nei modelli di produzione, commercializzazione e consumo.

Solamente un’offerta mainstream di prodotti e servizi progettati avendo in mente prevenzione, riduzione, riuso (e ottimizzazione dei processi di take back e riciclo) può incidere in chiave ecologica sulle scelte quotidiani dei cittadini.

In questa direzione sta muovendo i primi passi la proposta di regolamento per gli imballaggi e i rifiuti da imballaggio che l’Italia sta, purtroppo, contestando proprio sul punto degli obiettivi di riduzione e riutilizzo per gli imballaggi.

Anche l’Italia è sempre meno circolare. Il nuovo regolamento europeo imballaggi può aiutare?

Ancor prima di venire presentata ufficialmente il 30 novembre scorso la proposta di Regolamento UE sulla revisione della Direttiva Imballaggi e Rifiuti da Imballaggio (PPRW) era già stata preceduta da settimane di accesi dibattiti innescati prevalentemente da ambienti confindustriali e consortili.

Le previsioni del PPWR vengono lette nel nostro paese prevalentemente in chiave negativa senza considerare che la sfida climatica e delle risorse richiede interventi sistemici che coinvolgono anche i modelli di consumo, e che anche stare fermi ha un costo.

L’emanazione della proposta di Regolamento UE sulla revisione della Direttiva Imballaggi (COM 677) – scrive Fabio Iraldo su Linkedin –  “ha innescato un dibattito dai toni molto aspri sul (presunto) conflitto tra riutilizzo, da un lato, e riciclo, dall’altro. Il principale “casus belli” è quello che chiama in causa i modelli di deposito cauzionale (DRS – Deposit Refund o Return Systems) come elemento centrale che, nella visione di alcuni, agevolerebbe il riutilizzo, rallentando o addirittura bloccando il processo evolutivo delle pratiche di riciclo, in alcuni contesti come l’Italia decisamente sviluppate.
Si tratta di una contrapposizione manichea, figlia di un approccio errato nella lettura del testo e della realtà. Innanzitutto perché un DRS non è finalizzato esclusivamente all’una o all’altra priorità della “gerarchia dei rifiuti”, ma si propone più semplicemente di coinvolgere il consumatore nel processo di raccolta, facendo leva su un efficace sistema di incentivi.

In realtà, ad avere provocato un’alzata di scudi da parte di associazioni come Confindustria, Federdistribuzione, Conai, Utilitalia, Cisambiente, Cisl [per citarne solamente alcune], non è esclusivamente la previsione del Regolamento che impone al 2029 l’implementazione di un sistema cauzionale ai paesi che non raggiungono il 90% di raccolta per bottiglie in plastica e lattine nei due anni precedenti (all’art. 44).

Infatti, come vedremo, sono diverse le previsioni bocciate dai esponenti e portavoce delle associazioni industriali prima citate a partire dalla scelta dello strumento auto applicativo del Regolamento da parte della Commissione UE che non richiede un recepimento dei Paesi Membri.
A partire dalla pronta presa di posizione di Bonomi Presidente di Confindustria – diffusa un mese prima che il regolamento fosse pubblicato sino alle più recenti dichiarazioni del Ministro Pichetto Fratin – la narrazione si è focalizzata solamente sui rischi che potevano derivare dall’implementazione delle misure del Regolamento che avrebbe “ostacolato l’innovazione e imposto all’industria italiana un notevole costo di adattamento, provocando la chiusura di aziende e l’innalzamento del livello di disoccupazione quando siamo “i primi della classe” sull’economia circolare“. Secondo il Ministro il Regolamento avrebbe inoltre provocato “profonde spaccature tra gli Stati membri: da una parte i governi di Paesi come Austria, Germania, Lussemburgo e Olanda, a favore del provvedimento, dall’altra il fronte del ‘no’, con in testa Italia e Spagna”. A questi due paesi avrebbe potuto aggiungersi la Francia, preoccupata dalle ricadute del regolamento sui meccanismi di libera concorrenza tra imprese sul mercato dell’UE.
Fortemente contrario anche il presidente del Conai Ruini che in tutte le uscite pubbliche degli ultimi mesi ha ribadito che l’Italia come modello di eccellenza nella gestione dei rifiuti da imballaggio deve avere «la possibilità di poter scegliere il modello più adeguato al proprio contesto nazionaleLa gerarchia dei rifiuti è di per sé corretta, ma questo non vuol dire che vada applicata sempre. Un conto è incentivare il riuso, un altro è affermare che si tratta dell’unico modo fattibile di procedere», spiega Ruini, sottolineando le differenze esistenti tra i Paesi nordeuropei e quelli come Italia e Spagna (1), che hanno sistemi efficienti di riciclo che devono essere in qualche modo salvaguardati.

I fatti non hanno confermato previsioni e timori espressi

A guardare gli interventi dei ministri sul Pacchetto Economia Circolare dei Paesi Membri Austria, Cipro, Repubblica Ceca, Estonia, Francia, Finlandia, Grecia, Italia, Lituania, Polonia, Portogallo, Spagna, Slovacchia e Ungheria durante il Consiglio Ambiente tenutosi il 20 dicembre 2022, non si riscontrano però le reazioni negative ipotizzate dal Ministro Pichetto Fratin.
Quest’ultimo nonostante avesse partecipato alla sessione Ambiente intervenendo su altre direttive ha invece delegato Umberto Boeri del Coreper a esprimere la posizione dell’Italia. Il testo dell’intervento ha ripreso il contenuto della nota inviata dalla viceministra Vannia Gava agli eurodeputati italiani e all’ambasciatore Stefano Verrecchia (rappresentante permanente aggiunto dell’Italia all’Unione europea) alla vigilia dell’evento. Come si può sentire (al minuto 16,44) l’Italia è stata l’unico paese ad essersi espresso in modo totalmente negativo sulla proposta di regolamento.

Seguono alcuni passaggi salienti dell’intervento : L’Italia chiede di evitare impostazioni arbitrarie che andrebbero a minare quanto costruito negli ultimi decenni con investimenti industriali in materia di Economia circolare negli imballaggi.
Responsabili sono elementi critici presenti nel testo come bandi a prodotti(monouso), percentuali troppo alte di obiettivi di riutilizzo che andrebbero a disperdere esperienze di EPR preziosi di costruiti in 25 anni sforzi da parte dell’industria che comporterebbe conseguenze ambientali negative e poca trasparenza sui consumatori.
Infine il regolamento secondo l’Italia interverrebbe “in maniera inaccettabile a scardinare tali modelli circolari di eccellenza che hanno permesso di raggiungere con 9 anni di anticipo obiettivi europei di riciclo sulla base di un approccio privo di evidenza scientifica basato sul riuso senza supporto di valutazioni di fattibilità tecnica di sostenibilità economica ma di valutazione che appaiono inadeguate mettendo a rischio milioni di posti lavoro e miliardi di investimenti.”

Intervenuto per l’Italia Umberto Boeri del corpo diplomatico Coreper di rappresentanza presso l’UE del governo italiano

Milano: via libera in 13 punti vendita ai contenitori riutilizzabili in gastronomia

Prende il via il progetto NoPlà lanciato dall’Associazione Giacimenti Urbani con la collaborazione di NaturaSì per una riduzione della plastica monouso nell’ambito del bando Plastic Challenge 2019 di Fondazione Cariplo

Dal 1° febbraio in 13 punti vendita di NaturaSì di Milano sarà possibile fare uso di contenitori riutilizzabili al banco gastronomia. NaturaSì, insieme a Giacimenti Urbani si augurano che questo progetto che avviano abbia tutte le potenzialità per affermare una rivoluzione culturale e diffondersi in tutto il territorio nazionale. Una rivoluzione del riuso imprescindibile per ridurre drasticamente la produzione di rifiuti e le emissioni di Co2.

Come funziona

Per un gruppo di clienti dei punti vendita sarà infatti possibile ritirare il KIT gratuito, composto da 4 tipologie diverse di contenitori, utili a soddisfare tutte le esigenze di acquisto in area gastronomia.
Al momento del ritiro, i partecipanti sottoscriveranno un patto di collaborazione e saranno informati rispetto al corretto uso e pulizia dei contenitori, sulla base delle linee guida approvate dalle Autorità sanitarie locali.

Tra le condizioni del progetto, la possibilità di partecipare all’iniziativa esclusivamente con i contenitori forniti dal negozio: dopo aver lavato a casa i contenitori, il cliente potrà utilizzarli per acquisti nell’area gastronomia dei tredici punti vendita aderenti.

L’impatto ambientale dei contenitori da asporto monouso

Considerato che il 36% dei rifiuti urbani prodotti in Europa è rappresentato da rifiuti da imballaggio – e che il trend è sempre stato in crescita – è evidente che la strategia del riciclo sia insufficiente, oltre che di difficile applicazione nella pratica. Questo perché le sfide che incontra il riciclo del flusso di questi per cibo e bevande a fine vita sono di diversa natura. Innanzitutto trattandosi di imballaggi utilizzati per un consumo “on the way” o comunque fuori casa, difficilmente vengono intercettati dalla raccolta differenziata e pertanto solitamente smaltiti. Inoltre, quand’anche venissero raccolti selettivamente sia dai rivenditori di tali prodotti che dai gestori di servizi di ristorazione come mense aziendali (con costi non indifferenti) si tratta di rifiuti contaminati dal cibo, e non sempre tecnicamente riciclabili nei circuiti di trattamento dei rifiuti. A ciò va aggiunto la loro progettazione che non sempre è compatibile con il riciclo come nei casi dei contenitori costituiti da materiali diversi o polimeri poco utilizzati per i quali non si raggiungono quantità tali da giustificare sia i costi di avvio a riciclo che di creazione di impianti di riciclo dedicati.

Si stima che nel 2019 nell’UE28 siano stati utilizzati circa 33 miliardi di unità di contenitori monouso per cibo e bevande al netto dei cartoni per pizza che valgono circa 1,5 miliardi di pezzi come si può leggere nel Rapporto di Zero Waste Europe Making Europe transition to reusable packing.

Il progetto

Il progetto ha la durata di sei mesi, durante i quali i ricercatori dell’Università degli Studi Milano-Bicocca monitoreranno l’esperienza per poter poi trarre delle valutazioni per misurarne l’efficacia e i vantaggi ambientali. Secondo Zero Waste Europe , questa scelta di consumo produce un vantaggio per l’ambiente già dopo 13 volte di riutilizzo rispetto all’usa e getta. Oltre al test nei 13 punti vendita sono inoltre previste attività di sensibilizzazione nelle scuole primarie.

Il progetto nasce dal bando di cui NaturaSì è partner lanciato dalla Fondazione Cariplo e vinto da Giacimenti Urbani, associazione di Milano che si occupa di ambiente e sostenibilità con un focus particolare sulla riduzione dello spreco di risorse e l’attivazione di percorsi di economia circolare dal basso. Un bando che ha dato vita a uno dei punti cardine su cui la Commissione europea punta in tema di sostenibilità, il riuso dei contenitori e il principio della ricarica degli stessi (refill) considerato strategico per la riduzione della plastica monouso.

Un percorso iniziato nel 2019 con il cosiddetto Decreto Clima, con cui si autorizza il consumatore a utilizzare un contenitore riutilizzabile per la spesa. A legiferare in materia anche la Francia che, con una legge del 2020, regolamenta lo vendita di prodotti sfusi e l’utilizzo di contenitori riutilizzabili.

La vera svolta –  secondo i promotori del progetto – arriverà con l’approvazione della bozza di Regolamento sugli imballaggi e rifiuti da imballaggio presentata in Commissione europea il 30 novembre scorso. Una legge che, una volta entrata in vigore, avrà come obiettivi la riduzione dei rifiuti del 15%, rispetto al 2018, entro il 2040, con una riduzione complessiva dei rifiuti nell’UE del 37% rispetto allo scenario che si prospetterebbe se non si agisse. Un quadro normativo che porterebbe ad una riduzione delle emissioni di gas serra legate agli imballaggi a circa 43 milioni di tonnellate anziché i 66 milioni previsti in caso non entrasse in vigore. Tutte tappe necessarie per arrivare al target più ambizioso della neutralità climatica entro il 2050 voluta da Green Deal europeo.

Messaggio in una bottiglia di vetro da Galatone : cambiate il sistema dando un valore al “rifiuto”

E’ passato quasi un anno da quando come comuni virtuosi abbiamo lanciato la campagna “A Buon Rendere – molto più di un vuoto” che ha unito in una coalizione le organizzazioni nazionali e di interesse locale che chiedono al governo nazionale l’implementazione di un sistema cauzionale per contenitori di bevande.

Pubblichiamo a seguire la lettera che l’associazione “Galatonesi a raccolta” di Galatone in provincia di Lecce ha appena lanciato per combattere quella che definiscono “la piaga delle bottiglie abbandonate“.

L’associazione, che ha aderito alla nostra campagna, spiega di averla inviata niente meno che al Ministero di competenza (MASE) e alla Regione per accelerare l’introduzione di un sistema di deposito su cauzione considerato come l’unica soluzione al problema.
Nel frattempo – informano –  i volontari continueranno a raccogliere e ammucchiare le bottiglie in vetro abbandonate, ma senza rimuoverle!
Siamo i volontari dell’associazione “Galatonesi a Raccolta – Pulito è più bello”, impegnati da anni nella raccolta dei rifiuti abbandonati lungo le strade di campagna del nostro Comune, Galatone, in provincia di Lecce. Il nostro prolungato impegno ha dato in generale ottimi risultati, tranne che per alcuni tipi di rifiuti, quali le bottiglie in vetro.
Lungo le strade del nostro Comune, infatti, – ma tutto il Salento è nelle stesse condizioni, per limitarci a parlare del territorio che conosciamo meglio – è da ormai 7-8 anni che raccogliamo quintali e quintali di bottiglie abbandonate e, ogni anno, ritroviamo le stesse quantità negli stessi posti, a conferma che le nostre campagne di sensibilizzazione, sui social, con i volantini, con i cartelloni, con gli incontri nelle scuole, non sortiscono nessun effetto.
Basti pensare che durante la nostra ultima passeggiata ecologica in una zona di campagna del nostro Comune (contrada Spisari) dello scorso mese di novembre, abbiamo raccolto circa 400 bottiglie, per un totale di 80 kg di vetro, in soli 300 m di strada.
Siamo ormai convinti che l’unico modo per limitare l’abbandono di bottiglie sia di introdurre i Sistemi di Deposito su Cauzione (Deposit Return System o DRS). Il meccanismo, per molti noto, è semplice: si dà un valore alla bottiglia, maggiorando il costo di vendita, con la possibilità di recuperare quel costo in più andando a conferire la bottiglia in appositi contenitori. I sistemi di deposito su cauzione sono attivi in molti paesi d’Europa e anche in Italia era prevista l’introduzione ma ancora non si è visto niente. Noi siamo anche convinti che quanto più alto è il costo della cauzione, tanto meno abbandoni ci saranno, come già avviene in Germania, dove è attivo il sistema denominato Pfand, grazie al quale le 400 bottiglie recuperate nell’ultima raccolta avrebbero fruttato circa 32 € ed è dunque quasi impossibile trovare bottiglie in abbandono.
Chiediamo dunque un concreto impegno delle Istituzioni, a tutti i livelli, per introdurre anche in Italia il sistema di deposito su cauzione delle bottiglie di vetro e di plastica, e risolvere definitivamente il problema dell’abbandono dei suddetti rifiuti, a beneficio dell’ambiente e del decoro dello splendido paesaggio del Salento (e del Bel Paese tutto).
Distinti saluti,
ass.ne “Galatonesi a Raccolta – Pulito è più bello”

Quali lezioni da trarre per l’Italia con focus sul vetro

Le lezioni da trarre rispetto alla necessità di dovere importare vetro da altri paesi collegata al fatto che le bottiglie in vetro rappresentano la tipologia di contenitore maggiormente disperso in luoghi urbani e non su tutto il territorio nazionale , a nostro parere sono principalmente quattro:

1. un DRS garantisce il raggiungimento di obiettivi di raccolta impossibili da raggiungere con la raccolta differenziata e in tempi brevissimi;

2. l’abitudine a riconsegnare l’imballaggio viene acquisita “spontaneamente” senza bisogno di sensibilizzare e convincere le persone;

3. si riduce la quantità di rifiuti abbandonati nell’ambiente, un aspetto di fondamentale importanza per i paesi a vocazione turistica come l’Italia;

4. un DRS conviene anche all’industria delle bevande ( ed è il motivo per cui ne hanno accettato l’introduzione voluta dal governo), anche se in Italia si tende a fare credere il contrario.

Probabilmente quando i produttori di bevande dovranno sostenere il 100% (80% in deroga) dei costi di raccolta differenziata degli imballaggi, attualmente sostenuti per una maggiore quota dai Comuni (e dalla bollette dei cittadini), cambieranno idea.

Per quanto riguarda l’importazione del vetro raccolto dai maltesi per essere lavorato in Italia (quantità non rivelate nell’articolo) si registra una contraddizione di fondo che dovremmo risolvere per aiutare l’economia del settore del vetro.

Secondo i dati diffusi da Coreve l’incremento della domanda di rottame da parte delle aziende produttrici italiane ha infatti reso necessaria l’importazione di ulteriori 210.000 tonnellate di rottame di vetro da altri Paesi europei(Austria, Francia e Germania) che non concorrono a determinare i risultati di riciclo nazionali.

Per compensare la mancanza di vetro e intercettare buona parte delle oltre 400.000 tonnellate che ancora oggi finiscono smaltite il Consorzio ha lanciato insieme ad Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani) interventi strutturali per un investimento complessivo di circa 10 milioni di euro. Per quanto possano essere programmi strutturali è il meccanismo incentivante della cauzione che determina intercettazioni superiori al 90%.

Perché sprecare in inceneritori, discariche e disperse nell’ambiente bottiglie di vetro che potremmo invece riciclare? Tutti i movimenti spontanei di cittadini e le sedi locali di associazioni nazionali che sul territorio italiano partecipano a clean up riferiscono che gli imballaggi numericamente più presenti sono le bottiglie di vetro per bevande e di birra in particolare.

Nell’esigenza di raggiungere gli obiettivi di Carbon neutrality al 2050, scrive su Linkedin Enrico Galasso Presidente e AD di Peroni, “il vetro a perdere rappresenta una criticità fortissima (circa il 30-35% di tutta la CO2 emessa dalla filiera della birra in Italia, è causata dal vetro a perdere).

L’industria che utilizza il vetro a perdere ha davanti a sé due opzioni per mitigare o risolvere il problema degli abbandoni di cui solamente la seconda è perseguibile nella realtà ( a guardare oltre confine).

  • trovare una modalità per evitare questo spreco e assumersene la completa responsabilità finanziaria (inclusa una rimozione puntuale di queste bottiglie organizzando continui clean up dove si manifestano maggiormente gli abbandoni);
  • sostenere un sistema di deposito cauzionale e spostare la commercializzazione per alcune bevande come la birra decisamente sul vuoto a rendere ( o alla spina ma con fusto riutilizzabile e non monouso come nel caso di Carlsberg), che è già realtà in diversi paesi in cui le bottiglie in vetro ricaricabili sono presenti nei circuiti della GDO. Questo significa ricostruire sul territorio nazionale filiere di produzione, distribuzione e infrastrutture di lavaggio a corto raggio partecipate da più produttori che usano le stesse bottiglie standarizzate.

Il Regolamento UE sugli imballaggi promuove il DRS. Basta dubbi infondati: adottare subito un sistema cauzionale anche in Italia

La Coalizione della Campagna A Buon Rendere, che promuove l’introduzione in Italia di un sistema di deposito cauzionale, risponde ad accuse e falsi miti relativi ai possibili rischi legati all’adozione di un DRS in Italia. E ricorda il successo di questo sistema nei Paesi dove è già attivo.

In merito alla pubblicazione della proposta di Regolamento Europeo PPWR (in sigla Packaging and Packaging Waste Regulation), la Coalizione della Campagna A Buon Rendere, che promuove l’introduzione anche in Italia di un sistema di deposito cauzionale (in inglese Deposit Return System, DRS), per i contenitori per bevande intende chiarire alcuni punti e replicare a tesi circolate nel nostro Paese proprio in merito alle previsioni del Regolamento riguardanti il DRS.
La previsione di un Sistema cauzionale è contenuta nell’articolo 44 della proposta, che ne prevede l’introduzione obbligatoria entro il 2029 per bottiglie in plastica e contenitori in metallo per liquidi alimentari fino a 3 litri (con la esclusione di contenitori per latte e derivati, vino ed alcolici).

Dal momento in cui a fine ottobre è trapelata una bozza non aggiornata della proposta di regolamento, si è scatenato un acceso dibattito dai toni molto critici da parte di ambienti industriali italiani, accomunati da critiche intonate al messaggio di fondo: “approccio ideologico da parte della UE, che non tiene conto delle eccellenze italiane nel campo del riciclo” e che avrebbe “messo a rischio 700mila posti di lavoro in Italia”.
Un’accusa che continua a essere rilanciata da molti media e che è stata fatta propria da ambienti governativi, i quali hanno promesso di continuare a dare battaglia nelle opportune sedi e occasioni.

Le reazioni in Europa
In nessun altro paese europeo – precisa Enzo Favoino – Coordinatore Scientifico della Campagna “A Buon Rendere” – si sono avute reazioni così accese, tanto che nella Conferenza Stampa di presentazione, il vice Presidente della Commissione Europea con delega al green Deal, Frans Timmermans, ha ritenuto di rivolgersi direttamente all’Italia, e nella nostra lingua, per specificare quanto le critiche sollevate dagli ambienti governativi ed industriali italiani fossero infondate. Ma la più solida smentita delle argomentazioni nazionali viene dalle reazioni ufficiali venute da altri Paesi livello UE”.

Per contestualizzare le critiche mosse in Italia, va fatto presente che a livello europeo la proposta di Regolamento ha suscitato un generale apprezzamento anche da parte di alcune delle associazioni della catena del valore del packaging. Ad esempio le principali associazioni del settore delle Bevande come UNESDA (Soft Drinks), NMWE (Acque minerali) e AJIN (succhi di frutta), mentre hanno espresso le loro riserve limitatamente ad alcune previsioni sui target di riuso, hanno sottolineato l’appoggio complessivo all’iniziativa e in particolare alle previsioni relative al DRS, di cui sono attive promotrici verso la Commissione Europea da un paio di anni.

Un posizionamento simile è arrivato da IK, Industrievereinigung Kunststoffverpackungen, l’associazione che riunisce i produttori tedeschi di imballaggi in materiale plastico. Altre organizzazioni di settore come FEAD (cui aderisce l’italiana Assoambiente) ed EuRic, una delle associazioni che unisce i riciclatori europei, hanno espresso apprezzamento per l’impostazione complessiva della proposta di Regolamento e per gran parte delle sue previsioni. Plastics Europe, che rappresenta i produttori di plastica, si spinge a dichiarare che la messa a punto di linee guida per lo sviluppo dell’ecodesign funzionale al riciclo e di una regolamentazione basata sulla scienza, completamente neutrale rispetto ai materiali e alla tecnologia, sia il modo migliore per consentire al mercato di creare i nuovi modelli di business richiesti e le tecnologie di riciclo, raccolta e selezione.

Riciclo e riuso sono strategie complementari che creano opportunità economiche ed occupazionali disaccoppiate dal consumo di risorse

Per smentire le tesi circolate nelle ultime settimane in Italia da parte di ambienti industriali, consorzi di filiera e operatori dell’informazione, frutto di probabili letture disattente, la Coalizione “A Buon Rendere” entra nel merito delle previsioni del Regolamento riferite all’art 44 sull’introduzione del DRS in Europa.
Tale articolo prevede un’introduzione obbligatoria del DRS entro il 2029 per bottiglie in plastica e contenitori in metallo per liquidi alimentari nei paesi che non hanno ancora istituito tale sistema.
Possono venire tuttavia esentati quei paesi che dimostrino di potere conseguire il 90% di raccolta per contenitori per bevande quali bottiglie di plastica e lattine in modo non episodico nei due anni che precedono l’avvio del DRS.
La Coalizione non condivide affatto l’obiezione principale sollevata in ambito nazionale, ossia che il Regolamento sia “incentrato sul solo riuso” e che pertanto venga richiesto al nostro paese di “compiere un salto nel buio nel sostituire dall’oggi al domani un sistema consolidato da 25 anni con un altro sistema che non sappiamo quali benefici apporterà” come dichiarato in varie occasioni da rappresentanti del sistema industriale e dei consorzi che sovrintendono al sistema della Responsabilità Estesa del Produttore nel settore dei rifiuti da imballaggio.
Seppur non condividendo la notazione negativa assegnata al concetto di “riuso” – precisa la Coalizione – che andrebbe inserito e sviluppato gradualmente nelle strategie di circolarità, la maggiore evidenza a smentita di tale obiezione è che la introduzione obbligatoria del DRS (al 2029, quindi tra 6 anni, non “dall’oggi al domani”) è prevista per contenitori in plastica e metalli, materiali con ogni evidenza vocati al riciclo, non al riuso; e questo, congiuntamente ad altre previsioni strettamente collegate al riciclo, quali la definizione di obiettivi minimi di contenuto di riciclato, e l’obbligo di “design per il riciclo”, dimostra che il Regolamento proposto è invece soprattutto una roadmap per consolidare le filiere del riciclo, supportandone l’ulteriore crescita con strumenti operativi e sistemici.

Il Deposito Cauzionale al centro del dibattito pubblico è un’ottima notizia, nonostante tutto

Non si può dire che il tema imballaggi, insieme a quello del deposito cauzionale, non sia stato di attualità nelle ultime settimane arrivando per la prima volta su quotidiani mainstream, testate economiche e in qualche edizione dei TG.

Articolo pubblicato precedentemente su Polimerica.it
Cominciamo dalla notizia meno recente classificabile come good news che è stata la pubblicazione del rapporto Target 90% della piattaforma Reloop e del correlato documento di posizionamento per una maggiore circolarità degli imballaggi per bevande, sottoscritto da un’ampia coalizione che rappresenta produttori europei di bevande, fornitori di materiali e tecnologie per il packaging, riciclatori, ONG ed enti pubblici.
La Coalizione sottolinea l’importanza di fissare un obiettivo del 90% di raccolta selettiva finalizzata al riciclo entro il 2029 per gli imballaggi per bevande in plastica, vetro e in lattina, e di adottare sistemi di deposito cauzionale (DRS) ben disegnati negli Stati membri ove i tassi di raccolta non riescono a raggiungere tali obiettivi. A questo proposito diventa essenziale per la Coalizione sviluppare a livello europeo dei requisiti minimi a cui fare riferimento nella progettazione di ogni nuovo DRS, a garantire alti tassi di raccolta per un riciclo closed loop ( bottle to bottle e can to can). Tra i firmatari di spicco ci sono le principali associazioni di categoria europee del mondo delle bevande come Unesda Soft Drink Europe, NMWA (Natural Mineral Waters Association) e AJIN produttori succhi di frutta.
Nonostante l’UE abbia alcune delle migliori norme al mondo in materia di rifiuti – si legge nel comunicato stampa – le stime ci dicono che un terzo dei contenitori di bevande sia sfuggito al riciclo nell’anno in corso per un totale di 830.000 tonnellate di plastica, 140.000 ton di alluminio 9 milioni di ton di vetro per un valore di quasi 900 milioni di euro. Francia, Italia, Polonia e Spagna sono i Paesi che hanno più da guadagnare perché insieme rappresentano il 60% di tale spreco.
I paesi che hanno in essere un deposito cauzionale hanno già raggiunto il 90% di raccolta o sono vicinissimi nel conseguirlo. mentre 18 Stati dell’UE, che rappresentano il 45% della popolazione europea, adotteranno il sistema DRS entro il 2026.
La modellizzazione di calcolo adottata da Reloop stima che se tutti i paesi EU27 adottassero un DRS con tassi di raccolta del 90% dal 2022 al 2029 si renderebbero disponibili per il riciclo nel 2030 altri 170 miliardi di contenitori per bevande che garantirebbero tassi di riciclaggio e di contenuto riciclato più elevati negli imballaggi riducendo significativamente la domanda di materie vergini.

Di questi 170 miliardi di contenitori tra bottiglie in plastica, vetro e lattine, le bottiglie in PET valgono 92 miliardi di unità che corrisponde a 2,1 ton di PET che possono diventare materia prima seconda con un valore economico pari a 1,3 miliardi di euro.

Questa convergenza di interessi e visione tra soggetti industriali, istituzioni e ONG nel sostenere concretamente obiettivi ambiziosi per una maggiore circolarità del packaging a livello europeo è, indubbiamente, un’ottima notizia. Sino a che punto però il dibattito europeo è allineato con quello nazionale? Non molto da quello che si è avuto modo di sentire da rappresentanti di Assobibe, Conai, Corepla, e Mineracqua lo scorso luglio durante un workshop organizzato in diretta streaming dal parlamentare Aldo Penna. L’evento è stato la prima occasione pubblica in cui i referenti delle organizzazioni citate hanno espresso il proprio punto di vista e posizionamento rispetto all’introduzione di un Deposito Cauzionale in Italia. Con alcune minime sfumature i presidenti di Conai e Corepla si sono dichiarati contro, e così Assobibe nella persona del suo presidente. Sostanzialmente a favore di un DRS si è espresso invece il presidente di Mineracqua Fontana, purché gestito e finanziato dall’industria delle bevande e della GDO in un modello di “return to retail” . Qui gli interventi.

TANTO RUMORE PER NULLA?

Qualche settimana fa è trapelata una bozza della proposta di revisione della Direttiva UE sugli Imballaggi ed i Rifiuti da Imballaggio, Direttiva che secondo la proposta verrebbe trasformata in Regolamento (in sigla, PPWR, Packaging and Packaging Waste Regulation) che la Commissione europea si appresta a presentare a fine mese( era prevista per il luglio scorso) nell’ambito di un più ampio pacchetto sull’economia circolare. Il fatto che si tratti di un atto legislativo vincolante, che impedisce ai Paesi Membri i margini di manovra delle direttive, ha provocato un’accesa reazione da parte di Confindustria a cui si sono uniti altri soggetti come Federdistribuzione, il Conai, l’industria del packaging e delle diverse materie prime da imballaggio, e persino la Cisl. Anche il neo ministro all’Ambiente ha sposato immediatamente la causa dichiarando in più occasioni che l’Italia avrebbe detto no al Regolamento.

Secondo Stefan Pan, delegato di Confindustria per l’Europa in un’intervista al Sole 24 Ore dichiara che sarebbero oltre 700mila le aziende che rischiano di essere travolte dalla proposta di regolamento che ha “un’approccio ideologico e gela la strategia del riciclo degli imballaggi per puntare sul riutilizzo“. Un cambio di strategia che “colpisce il sistema Paese che proprio nell’industria del riciclo ha un primato europeo“.

Proprio per evitare prese di posizione da tifoseria da stadio vediamo quali sono le previsioni che hanno suscitato maggiore contrarietà contenute in un testo di quasi 200 pagine più annessi. Un testo troppo lungo e complicato per i non addetti ai lavori, che dubito pochi avranno letto con attenzione e che anche Polimerica.it ha passato in rassegna . Nel frattempo è trapelata ieri una seconda bozza della proposta di regolamento contro la quale si scaglia nuovamente il Sole 24Ore nell’articolo: Imballaggi, primo dietrofront europeo sui target di riuso. La Commissione Ue taglia al 20%la quota di packaging che dal 2030 dovrà essere riutilizzata. Nel confrontare i nuovi target di riuso per i vari imballaggi e settori, drasticamente ridimensionati rispetto alla prima versione di regolamento trapelata, la giornalista si dimentica il settore degli imballaggi per bevande, quello maggiormente al centro della protesta. Un settore che ha ora un target di riuso ridotto dal 20% al 10% ( al 2030) e dal 75% al 25% (2040).

Mentre a livello europeo sono gli obiettivi di riuso per i contenitori di bevande ad agitare le notti insonni dei produttori di bevande e del mondo del packaging (anche se le preoccupazioni non sempre coincidono) in Italia il pericolo da scongiurare sembra più essere il DRS, oltre al fatto che il regolamento non permette più recepimenti “creativi”. La proposta di regolamento ( in sigla PPWR ) prevede infatti all’articolo 61 una sua introduzione obbligatoria – inizialmente prevista al 2028 e ora slittata al 2029 – che interessa bottiglie in plastica e contenitori in metallo per liquidi alimentari, fino a 3 litri (con esclusione di latte e derivati, vino ed alcolici) e con la sola possibilità di esenzione da tale misura per i Paesi che mostrino di potere regolarmente conseguire il 90% di raccolta di tali contenitori.

Il Conai ha annunciato l’11 novembre scorso di avere mandato una nota alle istituzioni sulla proposta di Regolamento UE che sostanzialmente dice che per l’Italia il deposito cauzionale costituisce una duplicazione inutile di costi economici ed ambientali: andrebbe ad affiancare, senza sostituirsi in tutto, alle raccolte differenziate tradizionali. Infatti, spiega il Consorzio nella nota, esiste già “un circuito efficace di raccolta differenziata e valorizzazione degli imballaggi” e che distribuire capillarmente sul territorio nazionale circa 100.000 RVM (Reverse Vending Machine) comporta “ un investimento iniziale di circa 2,3 miliardi di euro” a cui si dovrebbero aggiungere “un investimento compreso tra 500 milioni e 1 miliardo di euro”. per mettere su l’infrastruttura del sistema che avrebbe “un costo di gestione di circa 350 milioni di euro all’anno”.

Risposte a domande frequenti sui sistemi di deposito

Per semplificare e rendere comprensibile il dibattito, anche a chi non conosce i Sistemi Cauzionali per bevande ( tema che può essere approfondito sul sito della campagna “A Buon Rendere -molto più di un vuoto” ) proviamo ad usare lo strumento delle FAQ per rispondere alle principali obiezioni lette in questi giorni.

continua nella seconda pagina

Obiettivo 90% : un’ampia coalizione a sostegno di obiettivi ambiziosi per i contenitori di bevande in Europa

Un’ampia coalizione senza precedenti che rappresenta produttori europei di bevande, fornitori di materiali e tecnologie per il packaging, riciclatori, ONG e gli enti pubblici chiede un’azione ambiziosa per consentire la completa circolarità degli imballaggi per bevande all’interno del progetto di modifica della Direttiva UE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (PPWD) prevista per la fine di novembre 2022.

Bruxelles, 24 ottobre 2022 Comunicato Stampa

La Coalizione ritiene che l’imminente revisione della Direttiva UE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio rappresenti una reale opportunità per adottare le giuste misure e accelerare la transizione verso un imballaggio circolare per bevande. A tal proposito nel suo documento di posizionamento la Coalizione sottolinea l’importanza di fissare
un obiettivo del 90% di raccolta differenziata finalizzata al riciclo entro il 2029 per gli imballaggi per bevande. Questo per garantire tassi di riciclaggio e di contenuto riciclato più elevati negli imballaggi, che ,a loro volta, ridurranno in modo significativo la domanda di materie vergini.
In uno scenario con un obiettivo del 90%, l’UE arriverebbe a riciclare l’equivalente di 92 miliardi di bottiglie in PET entro il 2030 che significa poter risparmiare 2,6 milioni di tonnellate di PET vergine sostituendolo con PET da riciclo (rPET ) nel periodo che va dal 2022 al 2030.
La coalizione ritiene inoltre fondamentale l’adozione di sistemi di deposito cauzionale (DRS) ben concepiti negli Stati membri ove i tassi di raccolta non riescono a raggiungere gli obiettivi intermedi necessari per raggiungere l’obiettivo del 90%. Qui diventa essenziale per la Coalizione sviluppare a livello europeo dei requisiti minimi a cui fare riferimento nella progettazione di ogni nuovo DRS in modo che garantisca gli stessi alti tassi di raccolta e di qualità dei materiali che caratterizzano i DRS europei di successo. Questa è una condizione fondamentale per promuovere un riciclo a ciclo chiuso ( bottle to bottle e can to can) e realizzare imballaggi per bevande circolari.
Questa proposta, che prevede un obiettivo di raccolta differenziata del 90% e la promozione di sistemi nazionali di restituzione dei depositi ben progettati, non riguarda solo la riduzione dei rifiuti e la circolarità, ma anche di stimolare le economie locali, di creare posti di lavoro e di aumentare la resilienza dell’Europa assicurando le risorse e risparmiando energia“, afferma Clarissa Morawski, Direttore Generale di Reloop.
La modellizzazione di calcolo adottata da Reloop stima che il raggiungimento di un obiettivo di raccolta del 90% renderebbe disponibili per il riciclo altri 170 miliardi di contenitori per bevande.

L’industria delle bevande analcoliche sostiene questo potenziale e significativo passo avanti e per Nicholas Hodac, direttore generale di UNESDA Soft Drinks Europe questa proposta va nella giusta direzione: “Si tratta di una vera e propria opportunità di raggiungere il riciclaggio a ciclo chiuso e, pertanto, attendiamo con ansia che la Commissione europea accolga questa proposta. Il nostro settore non potrebbe essere più impegnato nel compito di aumentare i tassi di raccolta e riciclo dei nostri imballaggi ma abbiamo bisogno di misure di sostegno per farlo con successo”.
Patricia Fosselard, Segretario generale di Natural Mineral Waters Europe (NMWE), ritiene che gli imballaggi per bevande siano molto adatti a raggiungere la piena circolarità: “Gli imballaggi per bevande sono altamente riciclabili, possono essere riutilizzati più e più volte in applicazioni ad alto valore
e già oggi offrono le più alte percentuali di riciclaggio tra le varie tipologie di imballaggio. Chiediamo all’UE di promuovere ulteriormente la circolarità stabilendo i requisiti minimi per un DRS ben progettato e garantendo agli imbottigliatori l’accesso a una quota equa delle loro bottiglie riciclate
“.
Wouter Lox, segretario generale dell’Associazione europea dei succhi di frutta AIJN, ritiene sia giunto il momento di puntare alla circolarità. “La riduzione dei rifiuti da imballaggio che sfuggono al riciclo rappresenta un’enorme opportunità per la circolarità all’interno dell’UE e, per questo, è fondamentale che la revisione della Direttiva PPWD. L’industria europea dei succhi di frutta, quindi, sostiene pienamente l’ambizione di fissare l’obiettivo del 90% di raccolta differenziata per il riciclaggio entro il 2029. “

La Commissione europea ha l’opportunità perfetta di guidare la transizione verso un’economia circolare con un obiettivo di raccolta differenziata del 90% e un DRS ben progettato per gli imballaggi per bevande. È il momento di essere ambiziosi!

Quale è la relazione tra questa iniziativa e la nostra associazione Comuni Virtuosi ?

L’Associazione è l’ente promotore dell’iniziativa “A Buon Rendere-Molto più di un vuoto lanciato nel marzo del 2022 che vede oltre 17 ONG nazionali, altre di interesse locale e Enti Territoriali (Torino Città Metropolitana, Comune di Bergamo ed altri) insieme a formare una coalizione per una veloce implementazione di un Sistema di Deposito Cauzionale per i contenitori di bevande.

Reloop è la piattaforma internazionale partner della campagna “A Buon Rendere” che ha lavorato per portare a casa questa azione multi-stakeholder che non possiamo che sostenere nel merito e nelle modalità. Nel merito perché allineata a tutte iniziative passate sui rifiuti che ci hanno visto un prima linea come associazione.

Anche la bozza trapelata sulla proposta della Commissione europea per un “Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio” è in linea con la proposta Obiettivo 90%.
La congiuntura economica con i prezzi delle materie prime e dell’energia alle stelle richiede azione immediata nel ridurre e massimizzare l’utilizzo delle risorse, e non ci sono altre strade che evitarne la dispersione e affrontare altri sprechi della filiera, potenziando la circolarità di imballaggi.
Ma anche dei beni introducendo modelli di economia circolare come i sistemi di riuso e di “prodotto come servizio” (PaAS).
In Italia, nonostante sempre più marche di bevande, e anche del settore di vini e liquori, stiano sperimentando e valutando linee di vuoto a rendere #VAR, le associazioni di riferimento nazionali nicchiano adducendo “pericoli” infondati.
Paradossalmente, come Coalizione “A Buon Rendere ” riteniamo che i “rischi” associati all’implementazione di un DRS in Italia descritti dall’industria delle bevande, Confindustria e altri stakeholders, si stiano già palesando ora.
Se non agiamo adesso per costruire un futuro di resilienza anche per il packaging, continueremo a correre dietro alle emergenze, e il consumo di bevande temuto dalle aziende potrebbe scendere lo stesso ( e non sarà certo un DRS a causarlo).
Se iniziamo ora a lavorare insieme ad un progetto di DRS per il nostro paese ci vorranno comunque almeno due anni, ed è Confindustria ed altre associazioni di categoria che ci insegnano che le aziende in crisi non hanno tutto questo tempo a disposizione.
E se l’Italia, nonostante tutto, starà a guardare, con le singole aziende che supereranno a sinistra le posizioni delle loro associazioni di categoria, l’Italia perderà il suo vantaggio e il podio tra i paesi membri campioni del riciclo.
Sicuramente per quanto riguarda la circolarità del packaging per bevande.

I firmatari del documento di posizionamento europeo

Leggi il documento di posizionamento della Coalizione The clear path to fully circular beverage packaging in italiano.

Sistema di Deposito Cauzionale in Italia: c’è chi dice si, no e ni

Anche in Italia avremmo bisogno di un Sistema di Deposito Cauzionale per i contenitori di bevande perché sprecare 7 miliardi di contenitori ogni anno, quando i prezzi delle materie prime e seconde, così come i costi energetici sono alle stelle, rappresenta un danno per l’economia in primis.

Per contribuire alla partenza di un dibattito razionale, basato su numeri ed evidenze, circa l’opportunità di implementare un DRS (Deposit Return System), abbiamo lanciato lo scorso marzo la nostra campagna “A Buon Rendere – molto più di un vuoto”, sostenuta da una coalizione multi-stakeholder composta da piccole e grandi organizzazioni nazionali e locali. L’iniziativa è aperta alla partecipazione di tutti i soggetti che condividono l’obiettivo di avere al più presto anche in Italia un DRS efficace , disegnato secondo alcuni noti criteri chiave che caratterizzano i sistemi di maggiore successo europei.

Per andare a coinvolgere i portatori di interesse maggiormente interessati da un DRS (esponenti del Parlamento del Mite, Ispra, Consorzi Conai, Coripet, dell’industria delle bevande e dei materiali da imballaggio, della Grande Distribuzione, ecc) è stato organizzato un evento lo scorso 7 giugno in cui sono intervenuti i rappresentanti due DRS europei ed altri esperti del settore.

A distanza di un mese dal nostro evento vi è stato un successivo workshop organizzato dall’onorevole Aldo Penna (la cui registrazione è ancora disponibile a questo link) in cui sono intervenuti, tra gli altri, i rappresentanti diAssobibe, Conai, Corepla, Mineracqua e Alessandro Pasquale amministratore delegato di Mattoni 1873 (produttore di acque minerali in repubblica Ceca), nonché neo presidente di NMWE – Natural Mineral Waters Europe.

Questo evento ha avuto il merito di essere stata una delle prime occasioni pubbliche in cui i referenti delle organizzazioni citate hanno espresso il proprio punto di vista e posizionamento rispetto all’introduzione di un Deposito Cauzionale in Italia; riportiamo dunque a seguire in sintesi le valutazioni espresse. Anticipiamo anche, a commento di alcuni punti sollevati dai relatori, alcune controdeduzioni, che ci riserviamo di sviluppare più compiutamente in un successivo articolo

Giorgio Quagliuolo – Corepla

Il presidente di Corepla Giorgio Quagliuolo ha aperto il suo intervento affermando di non avere ancora un’idea chiara sulla necessità di avere un DRS in Italia, e in particolare rispetto al raggiungimento degli obiettivi di raccolta della Direttiva SUP per le bottiglie in PET.

Secondo i dati di Corepla si sarebbe addirittura già raggiunto – con un tasso di raccolta del 77/78% nel 2021– il target della Direttiva SUP al 2025 ( 77%). Per arrivare invece all’obiettivo del 90% al 2029 mancherebbero – secondo il direttore di Corepla – circa 12/13 punti percentuali che corrispondono a circa 60-65mila ton di bottiglie da raccogliere in più entro il 2029 (ma per avere un margine sicurezza, si dovrebbe puntare a raccoglierne sulle 90.000).

Per capire quale potrebbe essere il modo più efficace per raggiungere questo target senza un DRS e quanto verrebbe a costare – precisa Quagliuolo – andrebbe fatto un esame costi benefici. Tuttavia l’unica alternativa che abbiamo a portata di mano “è quella di aumentare la raccolta selettiva con premialità, (ricordiamo che tale tipo di raccolta, detta anche “raccolta con sistemi incentivanti”, è diversa dal deposito cauzionale, in quanto manca l’elemento dirimente del deposito, il che ne determina le prestazioni, generalmente connotate da maggiore precarietà rispetto al sistema del deposito cauzionale, NdT) un programma che Corepla sta realizzando con l’installazione di compattatori nelle aree dove la raccolta differenziata non ha decollato”. Questo perché – spiega Quagliuolo – “posizionarli in città con buone performance di raccolta differenziata non significherebbe apportare volumi aggiuntivi, quanto provocare una trasmigrazione dal flusso della raccolta domiciliare“.

In merito all’implementazione di un DRS in Italia Quagliuolo invita a tenere conto delle particolarità del contesto italiano caratterizzato da un consumo di acqua in bottiglia estremamente alto, che escluderebbe il ricorso a “facili paragoni” sia con paesi piccoli con pochi abitanti, che con paesi che hanno una conformazione geografica diversa dalla nostra per estensione, orografia e densità abitativa. Fattori che, secondo il presidente di Corepla “renderebbero complessa l’implementazione di un DRS nazionale che dovrebbe più logicamente ispirarsi al DRS tedesco per avere una stima dei costi. Essendo l’implementazione del DRS tedesco costata diversi miliardi, la domanda è se abbiamo queste risorse e chi deve contribuire finanziariamente”.

Quagliuolo cita inoltre nel suo intervento alcuni indubbi vantaggi del DRS come: la qualità dei materiali intercettati, l’incentivazione alla base della raccolta e la riduzione del littering (che avrebbe un evidente effetto positivo sulla reputazione della plastica sul banco degli imputati). Allo stesso tempo però va tenuto presente che i tempi sono stretti perché un eventuale processo decisionale verso un DRS non può che essere “lungo complicato” . Vanno evitati secondo Quagliuolo, “provvedimenti che non siano compatibili con l’assetto produttivo e commerciale attuale per non aggravare la situazione già critica delle aziende e portarle ad un’ulteriore fase di recessione”. Il presidente di Corepla conclude ricordando infine che il sistema attuale “funziona piuttosto bene”, e rinnova la sua disponibilità a partecipare a “qualsiasi studio, discussione, riflessione che porti ad una scelta responsabile fatta complessivamente nell’interesse del paese“.

Giangiacomo Pierini  Assobibe

Il presidente di Assobibe Pierini riprende nel suo intervento molti dei punti toccati da Quagliuolo, a cominciare dalla precisazione che l’associazione che presiede “non è contraria ad un Sistema Cauzionale”. Malgrado la premessa l’intervento di Pierini si concentra prevalentemente sulle riserve e le preoccupazioni, di ordine prevalentemente economico, che Assobibe e le sue associate parrebbero nutrire rispetto a tale sistema.

Pierini dopo avere menzionato le congiunture internazionali che hanno fatto salire i costi di produzione e delle materie prime, le conseguenze della plastic tax e della sugar tax che gravano negativamente sulle aziende indica negli “alti costi” di un Sistema Cauzionale un’ulteriore minaccia per i bilanci aziendali che si ripercuoterebbe sui consumatori. A sostegno della tesi Pierini porta i risultati dello studio commissionato da Assobibe alla Fondazione Sviluppo Sostenibile che quantifica i costi di implementazione di un sistema in “oltre 1 miliardo di euro, non troppo lontani dai 2 miliardi del sistema tedesco. Tutti costi di avviamento di cui le aziende non possono farsi carico“.

Nel suo intervento Pierini mostra inoltre apprezzamento per l’attuale sistema dei consorzi Conai e appare fiducioso sulla possibilità di raggiungere gli obiettivi della SUP grazie anche agli investimenti nelle tecnologie di selezione a valle finanziate dal PNNR, ai finanziamenti del MITE per i compattatori, e al prossimo ampliamento del programma di raccolta selettiva di Corepla. Al contrario, Pierini esprime una certa preoccupazioni sul fatto che un DRS possa “non innestarsi proficuamente sull’esistente senza distruggerlo e che i due sistemi possano non parlarsi”.

Guardando al futuro Pierini afferma che andrebbero evitate “inutili fughe in avanti” e attendere invece la bozza di revisione della Direttiva Imballaggi e rifiuti da imballaggio (che sarà inclusa nel secondo pacchetto per l’economia circolare) che dovrebbe contenere l’indicazione sui requisiti minimi che i nuovi DRS europei dovranno avere. (1) Una delle preoccupazioni emerse nell’intervento del presidente di Assobibe rispetto all’introduzione di un DRS è che non si affronti “il problema” in una modalità “estremamente pragmatica e non ideologica” che permetta di disegnare “un sistema che sia sostenibile economicamente, oltre che ambientalmente, che non distrugga i conti delle imprese, e non vanifichi il lavoro fatto sin qui dai consorzi e dai comuni che ha dato risultati importanti”. L’attenzione e l’impegno dei soggetti che partecipano al processo di confronto e decisionale dovrebbero – secondo Pierini – concentrarsi su quello che li unisce: evitare la dispersione di materie prime nell’ambiente (littering) e dare piena attuazione alla massima circolarità dell’economia. A questo proposito –ammette Pierini – “un vantaggio che avrebbe un sistema nazionale sarebbe quello di permettere alle PMI di avere accesso prioritario a materiali che attualmente non hanno con il sistema delle aste internazionali di Corepla che finiscono per favorire i grandi acquirenti“.

(1) UNESDA Soft Drink Europe l’associazione europea a cui afferisce Assobibe ha ribadito l’impegno dei produttori europei nell’estendere il target del 90% di raccolta a tutte le tipologie di imballaggi per bevande, nell’ambito del percorso che porterà alla revisione della Direttiva imballaggi. Allo scopo di garantire l’utilizzo dei materiali raccolti in “closed loop”, UNESDA chiede nuovamente alla Commissione Europea di sostenere la diffusione e l’armonizzazione dei sistemi DRS nazionali attraverso la definizione di requisiti minimi. L’associazione ha già indicato quali sono le caratteristiche che un DRS dovrebbe avere , e quali sono le strategie che metteranno in campo tra riciclo e riuso per raggiungere la piena circolarità del packaging .

Per leggere il resto dell’articolo con gli interventi di di Mineracqua, Conai e il Ceo di Mattoni 1873 un produttore di Acque minerali vai sul sito della nostra campagna A Buon rendere- molto più di un vuoto.

“I filtri delle sigarette inquinano. Eliminiamoli!”. L’appello al governo olandese

In Olanda una campagna di ong, aziende e cittadini propone che i produttori coprano i costi della rimozione delle cicche, e che si torni alle sigarette senza filtro. Anche altri Paesi riflettono su soluzioni che vadano oltre le campagne di sensibilizzazione. In Italia nasce il primo schema di responsabilità estesa del produttore

Silvia Ricci pubblicato su EconomiaCircolare.com

Sabato 2 luglio in Olanda la campagna Plastic PeukMeuk ha organizzato la quarta edizione di un’operazione di raccolta di mozziconi di sigaretta lasciati in giro da fumatori incivili. Per la prima volta quest’anno la giornata di mobilitazione civica ha coinvolto anche i cittadini in altri 10 Paesi europei.

La campagna è coordinata dalla Plastic Peuken Collectief (Collettivo Cicche in plastica), che riunisce diverse organizzazioni ambientaliste, aziende e cittadini motivati a contrastare questo specifico tipo di inquinamento che non risparmia alcun luogo frequentato dall’uomo: strade, fioriere cittadine, spiagge, prati.

Una forma di inquinamento che colpisce in particolare Paesi densamente popolati come l’Olanda, dove nel 2021 sono stati venduti quasi 10 miliardi di sigarette. Si stima che due terzi dei filtri di queste sigarette finiscano buttati a terra, con la conseguenza che le particelle di cui sono composti – acetato di cellulosa, un tipo di plastica che non si biodegrada – persistono per anni nell’ambiente.

Le richieste al governo olandese

Gli organizzatori della campagna chiedono al governo che sia l’industria del tabacco a farsi carico dei costi sostenuti per la rimozione di questi rifiuti, ma c’è di più. Secondo gli attivisti olandesi serve anche un’azione di prevenzione più drastica: l’eliminazione del filtro dalle sigarette, in modo che non restino rifiuti plastici dopo l’uso. Questo anche perché fin qui i tentativi dell’industria del tabacco di mettere a punto e utilizzare filtri che non contenessero plastica non hanno portato a risultati di rilievo. Questa richiesta è stata fatta propria dai parlamentari di GroenLinks (Sinistra Verde) con una mozione approvata lo scorso 8 febbraio dal Parlamento, che chiedeva alla Segretaria di Stato per le Infrastrutture e la Gestione delle Acque, Vivianne Heijnen, di lavorare a un obiettivo di riduzione del 70% dei mozziconi di sigaretta nell’ambiente entro il 2026 rispetto ai dati del 2022. A marzo, la Segretaria di Stato ha annunciato quindi l’avvio di uno studio che comprende sia la fattibilità di tale obiettivo di riduzione che la praticabilità giuridica e tecnica di un eventuale divieto di usare filtri.

Lo studio affidato al Rijkswaterstaat, il dipartimento del Ministero delle infrastrutture e della gestione delle risorse idriche, dovrà anche occuparsi – come richiesto nella mozione approvata dal Parlamento – di monitorare i volumi dei mozziconi abbandonati e i costi per la pulizia richiesti dalla gestione di questo flusso di rifiuti. I risultati saranno resi noti entro la fine di quest’anno dalla stessa Heijnen e dal collega Segretario di Stato alla Salute pubblica e sport, Maarten van Ooijen.

Quanto inquinano i filtri di sigaretta…

Il fenomeno delle cicche abbandonate è anche legato alla scarsa consapevolezza dei consumatori: gran parte dei fumatori e dell’opinione pubblica, infatti, ignora che i filtri di sigaretta sono costituiti quasi interamente da acetato di cellulosa e che solamente il rivestimento esterno in carta è biodegradabile. Una volta gettati nell’ambiente contribuiscono in modo significativo all’inquinamento da plastica e anche all’inquinamento di suoli ed acque, a causa delle sostanze tossiche e nocive derivate dalla combustione del tabacco che lì si concentrano. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità arrivano a circa 7.000 le sostanze chimiche tossiche concentrate nei filtri. Eppure questi rifiuti occupano il secondo posto nella classifica europea di quelli che si ritrovano maggiormente dispersi nell’ambiente, mentre secondo Ocean Conservancy sono al primo posto tra le tipologie di rifiuti presenti nei mari. Si tratta oltretutto di rifiuti difficili da rimuovere, che comportano costi di pulizia più elevati per i Comuni e che deturpano il decoro cittadino attirando altri rifiuti.

…E quanto mettono a rischio la salute umana

“Ogni giorno nei Paesi Bassi finisce per strada un camion pieno di mozziconi di sigarette” spiega Karl Beerenfenger, responsabile della campagna Plastic PeukMeuk. “Anche se il 90% dei fumatori getta correttamente le cicche, ogni anno centinaia di milioni di filtri di plastica finiscono per strada e nell’ambiente. L’industria del tabacco tende ad addossare la responsabilità al fumatore stesso. Ma la consapevolezza da sola non porrà mai fine all’inquinamento”.

Nel 2018 l’Europarlamento aveva previsto l’ipotesi di obbligare i produttori a ridurre la plastica contenuta nei filtri (del 50% entro il 2025 e dell’80 entro il 2030) ma poi l’obbligo non è mai stato votato. Beerenfenger e gli altri attivisti della campagna sono consapevoli che per ottenere addirittura il divieto di usare un prodotto – in questo caso il filtro di sigaretta – nell’ambito dell’Unione europea bisogna motivarlo con solide ragioni, ad esempio dimostrando le conseguenze sulla salute o sull’ambiente. “In questo caso, ci sono molte giustificazioni su entrambi i fronti – riprende –. Il filtro delle sigarette è la più grande forma di inquinamento da plastica e non offre alcun beneficio per la salute rispetto al fumo senza filtro. Questo è stato scientificamente provato, anche se l’industria del tabacco vorrebbe ancora farci credere il contrario. Il filtro offre solo un falso senso di sicurezza ed è solo uno strumento di marketing per vendere più sigarette”.

Le tesi di Beerenfenger trovano riscontro in diversi studi, tra cui un articolo del 2009 pubblicato sulla National library of Medicine, la più grande biblioteca medica del mondo: “I filtri hanno ridotto il passaggio di catrame e nicotina misurato dalle macchine sulle sigarette accese, ma c’è controversia sul fatto che ciò abbia ridotto di conseguenza il carico di malattie del fumo per la popolazione” si legge peraltro nell’abstract. A parte i 600 milioni di alberi abbattuti per produrre le sigarette o gli 84 milioni di tonnellate di CO2 emesse, Karl Beerenfenger si sofferma sulle conseguenze dannose dei filtri dispersi nell’ambiente, spiegando che “diversi studi hanno evidenziato effetti tossici per i pesci e di ostacolo alla crescita di alcuni tipi di vegetazione“.

Le campagne di pulizia da sole non bastano

All’inizio di giugno GoClean, fondazione che si pone l’obiettivo di usare i dati per rendere i Paesi Bassi liberi dai rifiuti, ha pubblicato i risultati di un monitoraggio su scala nazionale. La direttrice, Marloes Heebing, non ha dubbi: “Non c’è modo di ripulire questo inquinamento, e anche la sensibilizzazione difficilmente aiuterà a contrastare i diversi miliardi di mozziconi di sigarette presenti nei nostri ecosistemi. Per raggiungere un obiettivo di riduzione del 70%, il filtro della sigaretta deve essere rimosso”.

Così come avvenuto nel 2021, anche quest’anno i partecipanti all’iniziativa hanno registrato le quantità di mozziconi di sigaretta raccolti tramite l’app Litterati, dopo di che GoClean compilerà un rapporto che sarà reso noto entro la fine di luglio. Nelle tre edizioni passate sono stati raccolti rispettivamente 51.000, 142.000 e 560.000 filtri di sigarette. Durante il Beach Cleanup Tour, organizzato invece dalla Fondazione Mare del Nord la scorsa estate, invece, sono stati raccolti sulle spiagge 57.772 filtri di sigarette in quindici giorni. Proprio questi dati, spiegano gli attivisti, dimostrano che non è con le campagne di pulizia che si può risolvere il problema. E di questo sono consapevoli anche le istituzioni comunitarie.

La nuova responsabilità estesa del produttore

A partire dal 1° gennaio 2023 le aziende produttrici di tabacco negli Stati membri dell’UE dovranno pagare i costi di raccolta e smaltimento dei mozziconi. Lo stabilisce l’articolo 8 sulla Responsabilità Estesa del Produttore della Direttiva europea sulle plastiche monouso (SUP, Single Use Plastic), entrata in vigore l’estate scorsa per ridurre l’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente. Gli effetti dovranno essere valutati nel 2026. Tra le misure di contrasto, la SUP stabilisce l’istituzione di schemi di responsabilità estesa del produttore proprio per i prodotti del tabacco con filtro e i filtri commercializzati per essere utilizzati in combinazione con i prodotti da tabacco. I produttori, dunque, “dovranno sostenere sia i costi delle misure di sensibilizzazione previste dalla direttiva sia i costi di rimozione dei rifiuti di tali prodotti dispersi e il successivo trasporto e trattamento”.

Lo studio di GoClean in via di pubblicazione potrà darci un’idea di quali potrebbero essere tali costi in Olanda. “In previsione di un divieto, abbiamo chiesto al governo olandese di monitorare attentamente il numero di mozziconi di sigaretta abbandonati e di stabilire costi di smaltimento realistici – spiega Rob Buurman, direttore dell’organizzazione ambientalista Recycling Netwerk Benelux –. In questo modo, il governo può motivare i produttori di tabacco a evitare che i mozziconi finiscano nell’ambiente”.

Paesi alla ricerca di soluzioni

Ma l’Olanda non è l’unico Paese dove si fa strada l’ipotesi di vietare l’utilizzo dei filtri. Progetti di legge che vanno nella stessa direzione sono stati presentati nello stato della California e di New York, mentre una norma all’interno della legge Ley de Residuos y Suelos Contaminados, recentemente approvata in Spagna, offre una base legale nazionale che permetterà a tutte le municipalità costiere di proibire e sanzionare il fumo in spiaggia.

Il Dipartimento per l’Azione per il Clima, l’Alimentazione e l’Agenda Rurale del governo catalano sta valutando se la prossima legge catalana sui rifiuti possa includere una tassa di 20 centesimi per sigaretta pagata al momento dell’acquisto, tassa che il fumatore potrebbe recuperare quando restituisce i mozziconi presso appositi punti di raccolta, magari collocati anche presso gli stessi tabaccai. La tassa andrebbe ad aumentare di 4 euro il costo per un pacchetto da 20 sigarette e questo evidentemente crea forti resistenze. Ad ogni modo la misura, ancora in fase embrionale, potrebbe essere ricompresa nella futura legge catalana sui rifiuti, che il governo dovrebbe approvare nel primo trimestre del 2023. “L’obiettivo è evitare che il 70% dei mozziconi di sigaretta prodotti in Catalogna finisca per terra o in mare”, ha dichiarato in un’intervista a El Periódico, Isaac Peraire, direttore dell’Agenzia catalana dei rifiuti. Uno studio dell’organizzazione Rezero ha calcolato che la rimozione dei mozziconi di sigaretta da parte delle autorità pubbliche in Catalogna e la loro successiva gestione costi tra i 12 e i 21 euro all’anno per abitante.

Lo scorso febbraio diversi media hanno riportato il caso della cittadina svedese di Södertälje e del suo progetto pilota dei corvi spazzini addestrati nella raccolta delle cicche. Secondo i dati dell’organizzazione Keep Sweden Tidy ogni anno vengono abbandonati nelle strade cittadine in Svezia oltre 1 miliardo di mozziconi di sigaretta. Il Comune di Södertälje (circa 72 mila abitanti), che spende annualmente circa 20 milioni di corone (quasi 2 milioni di euro) per i rifiuti, ha stimato che il costo di rimozione per un solo mozzicone va dalle circa 80 öre (8 centesimi di euro) alle 2 corone (20 centesimi).

A che punto siamo in Italia

Parlando dell’Italia, va detto che la situazione è in linea con quella di altri Paesi europei in quanto a stime sulla percentuale dei mozziconi buttati a terra rapportato al numero di fumatori e sigarette vendute. Dati diffusi da un’iniziativa di Marevivo lo scorso anno dicono che più di metà delle sigarette sono fumate fuori casa e che solo il 30% dei mozziconi viene smaltito nei cestini, mentre il restante 70% finisce nell’ambiente: circa 14 miliardi di mozziconi ogni anno.

Altri dati del settore ipotizzano numeri ben più alti, sempre se consideriamo una dispersione del 65-70% su oltre 71 miliardi di mozziconi che vengono prodotti su base annua. A 71 miliardi si arriva calcolando che i 14 milioni di fumatori in Italia consumino mediamente 14 sigarette al giorno.

Le iniziative di sensibilizzazione che hanno regalato negli anni migliaia di porta-mozziconi tascabili hanno probabilmente alleviato il fenomeno dell’abbandono a livello locale ma, da quello che si ha modo di vedere un po’ ovunque, non si riscontrano effetti positivi sul lungo termine.

Neanche la legge introdotta nel 2016 (221/2015 nel cosiddetto “Collegato Ambientale”) che prevedeva una sanzione amministrative da 30 a 150 euro per l’abbandono di rifiuti di piccole dimensioni – e fino a 300 euro per i mozziconi – ha sortito grandi effetti: nonostante stabilisse una ripartizione dei proventi delle sanzioni al 50% fra il ministero dell’Ambiente e i Comuni la norma è praticamente inapplicata.

Sul fronte della sensibilizzazione si registrano alcune campagne delle case produttrici, anche in supporto ad associazioni ambientaliste, mentre il mese scorso è nato nel nostro Paese il primo sistema di responsabilità estesa del produttore, Erion Care, che con il sostegno delle imprese del settore, oltre a svolgere attività di comunicazione e sensibilizzazione contribuirà a coprire i costi che gli enti locali sostengono per raccogliere e smaltire i mozziconi.

L’accettabilità sociale di un gesto dalle conseguenze pesanti

A favorire il fenomeno delle cicche disperse nell’ambiente è sicuramente la tolleranza sociale altissima nei confronti di chi non utilizza gli appositi contenitori. Film e serie televisive, poi, assecondano l’idea per cui gettare i mozziconi a terra è un peccato veniale se non un gesto del tutto innocuo, al punto che nei film a gettare la cicca a terra sono sia i personaggi buoni che quelli cattivi.

La serie Netflix spagnola Oscuro Deseo 2 termina con un gesto tra il liberatorio e propiziatorio con la protagonista che, dopo una profonda aspirazione, butta la cicca a terra e la schiaccia con lo stivaletto con soddisfazione, andando incontro “ad una nuova vita.”

Lavorare ad un cambio di immaginario attorno alla sigaretta e al gesto di buttarla in terra è un compito che spetta alla politica e al sistema educativo in primis, ma che dovrebbe coinvolgere in prima persona esponenti del mondo dello spettacolo. L’industria del tabacco con l’avvio dello schema di EPR già designato in Italia ha sicuramente un interesse economico a mitigare questo fenomeno, oltre che l’obbligo morale di contribuire a mettere un punto a questa gravissima fonte di inquinamento.