C’era una volta un piccolo villaggio

Nell’articolo di Simone Gorla per “La Stampa”, torniamo a parlare della splendida esperienza di integrazione e accoglienza di Riace.

«C’era una volta un piccolo villaggio, a capo c’era il sindaco, un uomo dal cuore impavido e compassionevole». La storia di Riace, il borgo calabrese che, grazie al lavoro del sindaco Domenico Lucano, ha accolto e integrato centinaia di migranti riuscendo così a fermare lo spopolamento e dare una nuova vita alla comunità, è diventata ora una favola per bambini e adulti. Si intitola Il signor sindaco e la città futura, a raccontarla è il fotografo Gianfranco Ferraro. Il suo lavoro, che con immagini e parole delicate vuole divulgare questo esempio virtuoso di integrazione, è in mostra dal 3 novembre a Gangcity, evento collaterale della Biennale di architettura di Venezia. «La favola permette di raggiungere le persone nella maniera più semplice – spiega l’autore – così che tutti possano capire che, in questo momento, noi dobbiamo aprire le braccia, non chiuderle. È un modo discreto per raggiungere tutti senza spaventare».

Quella di Riace (RC) e del suo sindaco è una vicenda che ha, in effetti, tutti i tratti della favola. Inizia nel 1998 quando Domenico Lucano, allora consigliere comunale di opposizione, inizia a impegnarsi per dare un tetto ai primi migranti sbarcati vicino al paese. Sono tutti curdi, e lui viene soprannominato dai compaesani Mimmo U Curdu. Da lì, con l’associazione Città futura, da cui prende il nome anche il progetto fotografico che ne racconta la storia, Lucano inizia a lavorare a un’idea: usare le case rimaste vuote dopo lo spopolamento del paese per dare alloggio ai profughi.

«Hanno iniziato a chiedere personalmente ai cittadini di concedere le loro case abbandonate a canone limitato. Una comunità che stava per scomparire, un luogo da cui la popolazione se n’era andata quasi del tutto, ha ripreso vita con colori ed etnie diverse», ricorda Ferraro. Che ha scoperto quasi per caso Riace: arrivato in compagnia di una troupe televisiva, è rimasto affascinato dalla magia di questo luogo. In questo momento in paese ci sono circa 500 stranieri su 1800 abitanti, eppure «quando vado lì trovo una grande tranquillità, una serenità di base. È subito chiaro che nessuno si sente intruso», racconta.

Lui, il sindaco, unico italiano nella classifica degli uomini più influenti del mondo stilata dalla rivista Fortune nel 2016, è un uomo riservato e schivo, che di rado rilascia interviste. «Il mare ci ha tolto, il mare ci ha dato», è la frase con cui sintetizza l’esperienza di Riace. Di recente si è detto pronto a ospitare i migranti respinti dai cittadini di Gorino, in provincia di Ferrara, perché «siamo il paese dell’accoglienza e ogni giorno dobbiamo tenere fede a queste parole come valore umano». «Il signor sindaco è schivo e terribilmente distante dalle telecamere: pensa solo a lavorare e mettere a disposizione la sua vita per tutti – spiega Ferraro – E io voglio rispettare questo suo desiderio, raccontando in modo delicato la sua storia attraverso le mie immagini».

Le fotografie di Ferraro sono in mostra dal 3 novembre a Gangcity, un evento collaterale della 15ª Mostra internazionale di architettura della Biennale di Venezia, organizzato dal Politecnico di Torino e dall’Università degli studi di Torino. Il video, in versione integrale, sarà portato nelle scuole di tutta Italia. «Il mio grande desiderio è raggiungere le persone cuore a cuore, trasmettendo la determinazione e il grande lavoro di questa persona. Ma anche fare capire a tutti che, dietro alla favola, ci sono un lungo lavoro, una visione, una programmazione e uno sforzo quotidiano». Non è un caso se, da tutto il mondo, amministratori e politici vengono a Riace per studiarne il modello e provare poi a replicarlo. Ma il segreto, se ce n’è uno, il sindaco non lo svela. «Il mare ci ha tolto, il mare ci ha dato», tutto qui.