Discussione e confronto
La COP 23 si è chiusa nella notte tra venerdì e sabato, dopo l’attesa degli esiti dei tavoli paralleli. La presidenza di Figi e la UNCCC hanno dichiarato soddisfazione per i risultati di una conferenza che nasceva come una edizione di transizione, focalizzata su negoziati tecnici e metodologici. Politicamente la COP non poteva offrire novità. Dopo lo strappo di Trump tutti gli altri paesi hanno confermato l’impegno degli Accordi di Parigi, riuscendo a definire alcune modalità di attuazione e approvando alcune importanti risoluzioni di settore (agricoltura, genere, popolazioni indigene). Particolarmente importante la chiusura dei negoziati sull’agricoltura, che erano stati avviati cinque anni fa e che mirano a ridurre l’impatto dei gas serra che non sono C02 (essenzialente il metano delle pere di mucche e pecore e quello della decomposizione organica).
La scommessa era quella di trasformare l’Accordo di Parigi del 2015, entrato in vigore un anno fa, in azioni concrete, individuando soluzioni condivise. Il percorso approvato è quello del Talanoa Dialogue, che prende il nome da una parola figiana che significa discussione e confronto. Il documento finale traccia un’agenda augurabilmente concreta che parte da alcune domande retoriche: dove siamo, dove vogliamo andare e come ci arriviamo? I prossimi dodici mesi saranno cruciali, per definire alla COP24 di Katowice le modalità concrete di attuazione dell’accordo. Alla COP24 sarà anche effettuata una verifica sugli impegni presi dalle singole nazioni (NDC) e sugli ulteriori impegni da prendere prima del 2020, quando le decisioni dell’Accordo di Parigi dovranno trasformarsi in azioni concrete.
Fino al 2020 il pallino resta in mano ai paesi sviluppati, nel regime del dopo Protocolo di Kyoto definito nel 2013 dal cosiddetto Emendamento di Doha. Ma qui rischiamo di scendere in tecnicismi incomprensibili. Per sintetizzare diciamo solo che il Protocollo di Kyoto non riguardava i paesi in via di sviluppo, che quindi fino al 2020 non hanno obblighi. Ma è chiaro che nei prossimi tre anni devono essere attuate misure coerenti con l’accelerazione del riscaldamento globale e delle sue conseguenze, a cominciare dagli eventi meteorologici estremi. Frank Bainimarama, primo ministro di Figi e presidente della COP, ha detto in chiusura della conferenza che occorre “andare oltre, più velocemente e assieme”.
La questione centrale resta legata alle risorse finanziarie. L’Accordo di Parigi prevede dal 2020 cento miliardi di dollari destinati ai paesi in via di sviluppo. I paesi più poveri hanno chiesto alle potenze occidentali di definire cifre precise, ricevendo conferma degli impegni presi, ma la indisponibilità a programmare gli investimenti a medio termine a causa della imponderabilità delle scelte politiche dei futuri governi (Trump docet).
L’America non governativa a Bonn era presente con un agguerrito gruppo di governatori, sindaci e imprenditori che hanno ribadito “We are still in“, confermando la volontà di rispettare gli impegni disattesi dalla presidenza Trump. Il governo USA ha partecipato alla conferenza, perché l’Accordo di Parigi prevede un termine minimo di cinque anni per recedere, quindi l’America sara ufficialmente fuori solo nel 2020. Molti hanno apprezzato il fatto che nei tavoli dei negoziati la delegazione americana abbia mantenuto un atteggiamento neutrale e non ostativo, malgrado gli USA siano rimasti l’unico paese al mondo fuori dall’accordo. Infatti nel corso della conferenza è arrivata anche l’adesione della Siria, l’ultima nazione che condivideva con l’America questo triste primato.
A Bonn si sono registrati progressi importanti anche al di fuori dei negoziati. La Powering Past Coal Alliance ha visto venti nazioni sottoscrivere un patto per l’eliminazione totale del carbone come fonte di energia entro il 2030. Tra queste c’è anche l’Italia. L’ambizione del gruppo è di arrivare a 50 paesi entro un anno, in tempo per la COP 24 di Katowice.
Se il percorso del Talanoa Dialogue produrrà i frutti sperati, a Katowice si decideranno molte cose cruciali. Emblematico che questo possa accadere in Polonia, uno dei paesi più dipendenti dal carbone e sempre nelle retrovie nell’Unione Europea sulle questioni climatiche. Tra l’altro la Polonia ospiterà la terza COP nel giro di dieci anni dopo la COP14 di Poznan 2008 e la COP19 di Varsavia 2013. Bizzarro primato per uno dei paesi più carbonizzati del mondo.
Emilio D’Alessio, architetto ed esperto di sviluppo sostenibile, è stato fondatore e presidente della rete delle Agende 21 Italiane. Attualmente è portavoce del Gruppo 21, il think tank delle Agende 21, e fa parte della Commissione Mediterranea Sviluppo Sostenibile di UNEP. Segue le conferenze ONU sul Clima dalla COP13 del 2007, nella delegazione delle Autorità Locali.