Economia Circolare: Scozia versus Italia due a zero
Per affrontare una sfida globale come quella del riscaldamento climatico il Consiglio della Green Economy ha proposto sei misure contenute in una risoluzione presentata recentemente. Il Consiglio si impegna a sostenere nei confronti del Governo in carica azioni rivolte a: Incrementare l’efficienza, il risparmio energetico e lo sviluppo di fonti energetiche nazionali rinnovabili; Sviluppare il risparmio, il riciclo e la rinnovabilità dei materiali in un’ottica di circular economy; Promuovere una mobilità più sostenibile, città meno inquinate e più vivibili e un’edilizia più sostenibile; Incrementare gli assorbimenti di carbonio attraverso la gestione appropriata e sostenibile delle foreste, dei pascoli e dei terreni agricoli; Introdurre il carbon pricing in sostituzione di altre forme di prelievo fiscale e per eliminare e/o per riallocare gli incentivi negativi per l’ambiente (sussidi all’incenerimento) ; Rafforzare attività di punta come l’agroalimentare e il turismo, migliorando la qualità del territorio, tutelando e valorizzando meglio quella grande risorsa nazionale che è costituita dal nostro capitale naturale e culturale.
Il lavoro da fare è tanto perché , in attesa del Green act, annunciato dal premier Renzi per marzo 2015, il Governo, tra alcuni articoli dello Sblocca Italia e provvedimenti “anti-rinnovabili” non ha certamento inviato segnali importanti di cambiamento su temi che vanno affrontati con urgenza, oltre che parte di un sostanziale rilancio del Paese.
Non è stata presentata una strategia energetica nazionale o di un piano di adattamento climatico per un paese come il nostro non certo immune dagli effetti del riscaldamento climatico. Non abbiamo ancora evidenza di un piano industriale strategico per lo sviluppo sostenibile che preveda quegli obiettivi di decarbonizzazione necessari a contenere l’aumento della temperatura globale entro 1.5 gradi come sancito nell’accordo della conferenza sul clima di Parigi.
COP 21 : impegni insufficienti ?
Che cosa ne è degli obiettivi dell’accordo raggiunto in seno alla COP 21? Carta straccia, secondo due ricercatori australiani che hanno prodotto recentemente un articolo scientifico pubblicato sulla rivista Plos One. Il team, ha utilizzato un modello basato su tre indicatori: previsioni a medio-lungo termine della crescita economica, aumento demografico e consumo di energia pro capite. È la prima volta che questo tipo di modelli include il consumo energetico delle persone per effettuare previsioni sull’aumento delle emissioni e delle temperature globali. L’uso di energia è più che raddoppiato dal 1950 ad oggi. Secondo i dati elaborati dal ‘global energy tracker‘, sviluppato dai due ricercatori della Griffith University e Queensland University, le temperature medie saliranno di 1,5 gradi sopra i livelli preindustriali già entro il 2020 arrivando quindi a toccare prima del 2030 quel limite massimo di + 2° oltre al quale si andrebbe incontro a scenari catastrofici per l’uomo sulla terra.
Mentre scienziati di tutto il mondo convergono sul fatto che per aiutare il Pianeta, la prima cosa che andrebbe fatta è ”lasciare sottoterra tre quarti dei combustibili fossili conosciuti” (1) si continua a perseguire delle politiche di concessioni di estrazione del petrolio in mare che mettono in mano ai petrolieri la salute dei nostri mari, e il futuro di tutta l’economia che vi dipende. Al punto che 10 Regioni si sono trovate costrette ad avvalersi dello strumento del referendum allo scopo di aprire un confronto ampio e condiviso nel paese sul modello energetico che vogliamo come cittadini.
Governi Circolari
Per fortuna sta andando un po’ meglio ad altri nostri concittadini europei che possono contare su Governi più lungimiranti. E’ il caso dell’Olanda, della regione francese del Nord – Passo di Calais e Piccardia e del Governo scozzese di cui vi raccontiamo in questo post.
Il primo ministro scozzese Nicola Sturgeon ha annunciato lo scorso 15 febbraio lo stanziamento di un fondo pari a 70 milioni di sterline per accelerare la transizione ad un’economia circolare nel comparto manifatturiero. Il fondo si propone di stimolare l’innovazione per migliorare la produttività delle risorse e la competitività globale di un settore portante dell’economia scozzese che impiega circa 190.000 persone.
Il settore manifatturiero rappresenta infatti più della metà delle esportazioni internazionali della Scozia e degli investimenti in ricerca e sviluppo.
“Nonostante il sistema produttivo abbia subito una trasformazione significativa nel corso degli ultimi decenni, con la crescente globalizzazione e un maggiore uso della tecnologia digitale, esso rimane un settore occupazionale ad alta qualifica e retribuzione, con salari che sono al di sopra della media scozzese“, ha dichiarato il primo ministro.
Una parte dei finanziamenti del fondo verrà destinato allo sviluppo di nuove tecnologie, modelli di business e infrastrutture sia nella fase di progettazione che di implementazione. Una parte verrà invece destinata alla riprogettazione di prodotti e servizi esistenti. Presentato un piano di azione che delinea come il Governo le sue Enterprise Agencies e Zero Waste Scotland lavoreranno con industria e istituti di ricerca e di istruzione superiore per stimolare innovazione, produttività e investimenti.
Sturgeon ha anche annunciato come parte del programma l’apertura di un nuovo centro di ricerca, per il manufacturing che fungerà da hub per l’innovazione continua.
Il governo scozzese aveva già investito 1,3 milioni di sterline in un centro di eccellenza simile nel 2014, The Institute of Remanufacture per promuovere all’interno dei processi produttivi una progettazione finalizzata al riuso dei materiali e alla riparazione dei prodotti.
“Questo nuovo pacchetto di finanziamento permetterà il superamento degli attuali ostacoli nell’innovazione di impresa e stimolerà lo sviluppo di modelli economici circolari che allungando il ciclo di vita dei beni permetterà di salvare materie prime e risorse preziose“, ha dichiarato Iain Gulland, amministratore delegato di Zero Waste Scotland. “Questo investimento ha un grande significato economico oltre che ambientale. Investendo ora, il governo scozzese sta costruendo le fondamenta per costruire un futuro sempre più sostenibile – efficiente nell’uso delle risorse e sicuramente più circolare “.
I benefici economici e occupazionali del Remanufacturing su base europea
Un recente rapporto prodotto a cura di ERN The European Remanufacturing Network ha dimostrato che un supporto all’industria del remanufacturing (rigenerazione, ricondizionamento di prodotti e componenti) della UE potrebbe impiegare fino a 600.000 persone e produrre un fatturato annuo di 90 miliardi di euro. La ricerca ha fotografato l’attuale stato del remanifacturing in 9 settori: aerospaziale, automobilistico, mezzi pesanti e fuori strada, ferroviario, navale, apparecchiature elettriche ed elettroniche, arredamento, macchinari e attrezzature mediche. Quattro nazioni giocano un ruolo chiave nel remanufactoring rappresentando circa il 70% del settore in Europa: Germania, Regno Unito, Irlanda, Francia e Italia. La sola Germania muove circa un terzo della produzione europea del settore e ricopre una posizione dominante nei settori aerospaziale, automobilistico e mezzi speciali.
Secondo il rapporto di ERN, l’industria della rigenerazione genera attualmente circa 30 miliardi di € l’anno e impiega circa 190.000 persone nei settori prima citati oggetto dell’indagine.
(1) Vedi anche la campagna del The Guardian: Why we need to keep fossil fuels in the ground | Keep it in the ground.