In viaggio tra i borghi
Parrebbe una buona notizia. A patto che non diventi poi una scusa per nuove devastazioni o colate di cemento. Investire nel turismo slow, di qualità, recuperare piccoli borghi e spingere verso una mobilità dolce. Nell’articolo di Filippo Santelli per Repubblica presentiamo il Piano strategico per il turismo del Governo.
Decongestionare le grandi città, Roma, Venezia e Firenze, facendo scoprire ai visitatori i piccoli borghi. Portare i turisti dalle spiagge sovraffollate verso l’interno, su percorsi naturalistici e ciclovie. E seguirli, grazie al digitale, dal momento in cui sbarcano in Italia, passo passo fino alla partenza, consigliando loro mete e deviazioni. A volerle riassumere in una formula, le 79 pagine del Piano strategico per il turismo sono questo: una nuova visione, più ampia, sostenibile e innovativa, per l’offerta di ospitalità italiana nel periodo 2017-2023. Un cambio di passo di cui c’è enorme bisogno. Il numero dei visitatori stranieri in arrivo nel nostro Paese cresce (+4,3% nel 2015), ma la permanenza media dal 2001 è scesa da 4,1 a 3,6 giorni, visite mordi e fuggi. Siamo scivolati al quinto posto globale, dietro anche alla Spagna, per arrivi internazionali, e al settimo per ricavi. Nonostante un patrimonio artistico e naturale senza paragoni, insomma, stiamo perdendo la battaglia per il nuovo turismo, quello dei Paesi emergenti e quello fatto di esperienze su misura, per lo più scovate online. Un risultato, riconosce il piano, “decisamente sotto le potenzialità”.
Non solo Roma e Rimini. “Dobbiamo far rimanere i turisti più a lungo, farli spendere di più e destagionalizzare gli arrivi”, spiega il sottosegretario Dorina Bianchi, che ha diretto il tavolo tra ministero, Regioni e operatori del settore da cui mercoledì è uscita la bozza definitiva del piano. Bisogna uscire dalla “vecchia logica”, si legge, del “sovra-sfruttamento di grandi mete e prodotti maturi”, vedi le località balneari. Le “solite” mete insomma dovranno diventare “porte d’accesso” per le “destinazioni emergenti” e quelle “nuove”, che il piano prevede di mappare. Una cartina che dovranno essere le Regioni a disegnare, ma su cui alcune bandierine si possono già colocare: le 21 città candidate a capitale europea della cultura, da Ravenna alla vincitrice Matera, i cui progetti potranno essere comunque finanziati, la cinquantina di siti Unesco italiani, i parchi naturali e i cammini storici. Qualche progetto è già stato avviato, come i bandi con cui Anas e Demanio hanno dato in concessione case cantoniere e fari, per trasformarli in hotel e ristoranti.
Strade di terra e strade digitali. Certo, in provincia bisogna poterci arrivare. Il capitolo sulle infrastrutture rimanda di fatto alle opere prioritarie fissate dal ministero dei Trasporti. Da integrare però con interventi locali come le Vie Verdi, una rete di “mobilità dolce”, pedonale o ciclabile, che dovrebbe recuperare ferrovie in disuso, mulattiere e argini (una proposta di legge è in Commissione alla Camera). Ma più urgenti ancora, in un settore in cui otto turisti su dieci pianificano il viaggio su Internet, sono le strade digitali. Qui il ritardo dell’Italia è drammatico, con appena il 29% degli alberghi che accetta prenotazioni dirette via web. Il piano prevede di indirizzare i fondi già stanziati dal governo per banda larga e hi-fi alla copertura delle aree turistiche, offrendo al visitatori accesso gratuito alla Rete con un unico login in tutto il Paese, in modo da poterli seguire e assistere durante il percorso, raccogliendo dati preziosi sulle loro preferenze. Si punta a costruire un database e una piattaforma informatica unici per “Destinazione Italia”, su cui potranno appoggiarsi i siti di Regioni e territori. Convince di meno il riferimento alla gestione diretta, magari affidata all’Enit, di servizio clienti e prenotazioni. Il Mosaico della bellezza menzionato nel piano riporta alla mente fallimentari esperimenti del passato, come i portali Verybello! lanciato durante Expo o l’Italia.it di rutelliana memoria. Meglio sarebbe lasciare le applicazioni ai privati: dalle startup innovative ai giganti come Tripadvisor. “Il ministero sta già dialogando con Google e Facebook”, assicura Bianchi.
Nuovi professionisti. Una parte consisetnte del piano riguarda i lavoratori del turismo, settore che rimane a basso livello di qualificazione e alto tasso di bero. Alzare la qualità dell’offerta, anche per giustificare prezzi più alti rispetto alla concorrenza estera, passa anche da qui, e la strategia punta a rafforzare i percorsi scolastici di specializzazione nelle nuove professioni dell’accoglienza, garantendo ammortizzatori sociali più forti per i lavoratori stagionali, penalizzati dalla nuova Naspi, e favorendo la loro stabilizzazione. Anche se tutto passa dalla disponibilità delle aziende del settore a investire. La strategia mette in cantiere una semplificazione delle normative (per esempio con una legge nazionale unica sulla sharing economy, oggi costretta a dribblare una giungla leggi regionali) e una serie di incentivi e sgravi contributivi. “Ci sono strumenti come l’Art Bonus – spiega Bianchi – il credito di imposta del 30% per chi investe in digitale, che andrà rifinanziato, o il contributo per chi ristruttura gli alberghi”. Piccoli interventi però, in un settore le ci strutture hanno bisotgno di un rinnovamento radicale.
Una regia unica? Ecco uno dei nodi che restano da sciogliere, le risorse. “Non mancano – assicura Bianchi – tra budget dei vari ministeri, fondi regionali e europei, incentivi per le startup”. In questo piano però, che vuole solo tracciare la strategia generale, non ci sono numeri, né soldi né obiettivi. Solo dopo l’approvazione in cdm del documento, a settembre, le cifre saranno messi nero su bianco, nei documenti di programmazione annuali e nella legge di stabilità. Con la prevedibile lotta per spartirsi la torta, tra settori e tra territori. “Abbiamo cambiato metodo, la vera novità è che questo piano nasce dal basso”, spiega Bianchi, assicurando che questa volta si riuscirà a fare sistema. “I rapporti con gli enti locali sono ottimi”. Finora i singoli territori sono andati in ordine sparso, per esempio nel marketing, anche per questo l’Italia sta perdendo posizioni. La sfida è preservare la loro autonomia (il turismo almeno fino al Referendum costituzionale resta di competenza regionale), coordinandoli però sotto un unico brand Italia: “Hanno capito che conviene”, assicura il sottosegretario. Il ministro del Turismo Franceschini, dal canto suo, parla di un “metodo aperto e condiviso”, che verrà aggiornato in maniera dinamica. Ma se funzionerà, lo si vedrà davvero solo al momento di dividersi le risorse.