Inceneritori: sì o no?

La domanda “inceneritori sì o no” ha occupato per qualche giorno il dibattito politico, e le conclusioni sono amare. I cittadini si dividono tra chi pensa che gli inceneritori siano uno strumento necessario e che serva “un inceneritore per ogni provincia” per dirla con le parole del Ministro dell’Interno; e chi pensa che vadano eliminati. Manca un vero dibattito sulla pianificazione del sistema rifiuti, con una prospettiva di medio termine. Manca un obiettivo concreto e razionale.

La trasmissione televisiva Petrolio con la puntata “Smoking gun”, interamente dedicata al tema, ha cercato, a mio parere senza successo, di fornire un quadro oggettivo e razionale, non per demeriti propri, anzi, la trasmissione è stata di altissima qualità, ma per l’impossibilità – che definirei culturale – di fare un dibattito non emotivo, razionale e non limitato a un caso individuale.

Provo a motivare di seguito perché ritengo utile e necessario un percorso di post-incenerimento, ovvero una transizione che porti alla riduzione del numero di impianti e non limitare la discussione al dibattito: impianti sì, impianti no.

Parto dalle conclusioni, qual è il numero minimo di impianti di incenerimento che serve al paese?

Nelle condizioni attuali, ovvero senza trasformare i materiali immessi a consumo, si possono ridurre i rifiuti urbani indifferenziati fino a 80 kg per abitante per anno (modello 80 kg). Diverse esperienze virtuose in tutto il paese dimostrano che questi risultati sono possibili. Perseguire questo obiettivo si traduce in una richiesta di incenerimento pari a circa 4.8 milioni di tonnellate per anno. Si consideri che la capacità degli inceneritori in esercizio è di circa 5.9 milioni di tonnellate (vedere dati ufficiali del Governo nazionale), quindi, se il paese si pone come obiettivo la soglia di 80 kg per abitante, gli inceneritori si debbono ridurre e non aumentare.

Considerando la distribuzione della popolazione, si dovrebbero (quasi) dimezzare gli impianti del Nord, e aumentare di poco quelli al Centro e al Sud. La stessa analisi si potrebbe e dovrebbe realizzare a livello regionale, per rispettare un principio di prossimità, che garantisce la riduzione dei trasporti e la massima responsabilizzazione dei territori. Emblematico il caso delle Regioni Emilia-Romagna e Lombardia dove sono installati il 76% degli impianti nel Nord, mentre i residenti di quelle regioni superano appena il 50% della popolazione del Nord.

Figura 1 – Capacità di incenerimento in Italia oggi (a sinistra), con modello 80 kg (a destra).

Si tratta, naturalmente, di un’analisi semplificativa, che nasconde diversi aspetti, potenzialmente oggetto di feroci controversie. Provo a chiarire alcuni di questi aspetti:

  1. Si può arrivare a rifiuti (inceneritori) zero?
  2. Come garantire equità territoriale? Perché un territorio dovrebbe smaltire rifiuti prodotti da altri territori?
  3. Il “modello 80 kg” è sostenibile dal punto di vista economico?
  4. Questa analisi considera solo i rifiuti urbani, come vengono trattati i rifiuti speciali (che sono in termini quantitativi 4.5 volte in più di quelli urbani)?
  1. Inceneritori zero?

In linea di principio, si può ridurre la quantità di rifiuti “indifferenziati” al di sotto della soglia di 80 kg per abitante, tuttavia, serve un’azione sui processi produttivi. I beni immessi a consumo debbono diventare completamente riciclabili, e, soprattutto, facilmente riutilizzabili e riparabili. L’attuale modello economico, invece, privilegia l’obsolescenza programmata e una grande quantità di materiali diversi, che rendono difficile e anti-economico la separazione post-consumo. Il caso della plastica è emblematico, ci sono molti tipi di polimeri, che spesso vengono miscelati nei prodotti, rendendo molto costosa la separazione e l’avvio a riciclo.

  1. Equità territoriale

Il principio di prossimità, è un principio fondamentale della gestione dei rifiuti. La raccolta, selezione e trattamento deve avvenire in un punto vicino alla produzione del rifiuto, sia per limitare i trasporti, sia perché si tratta di materiale “deperibile”, che deve essere necessariamente trattato e smaltito velocemente. Il principio “un inceneritore per Provincia” può apparentemente risolvere questi problemi, stabilendo un’equa suddivisione dei carichi ambientali. Tuttavia, questo principio è inapplicabile per motivi economici e tecnici. Economici, perché un inceneritore di piccola taglia ha un costo di realizzazione e gestione molto elevato (a causa dei costi fissi); tecnici, perché il rendimento è migliore, per taglie medio grandi. Quindi, come si può risolvere il tema equità territoriale: suddividendo in maniera adeguata i carichi ambientali, ad esempio, prevedendo compensazioni in termini di trasporto pubblico a favore dei territori dove vengono realizzati impianti e scegliendo posizioni distanti dai centri urbani, poiché è dimostrato una relazione tra nascite premature e inceneritori (vedere studio Moniter).

  1. Il modello 80 kg è sostenibile dal punto di vista economico?

Sì, ridurre i rifiuti è sempre conveniente.

La dimensione economica e ambientale del riciclo è significativa. Un incremento del 15% del riciclo equivale a un risparmio annuale di circa 630 milioni di euro (Duccio Bianchi, “Il riciclo eco-efficiente: uno scenario al 2020”, Ambiente Italia) così suddivisi:

  • riduzione dei costi di approvvigionamento energetico per la produzione di prodotti, pari a circa 230 milioni di euro;
  • riduzione di costi del servizio, pari a circa 250 milioni di euro;
  • riduzione delle esternalità, ovvero dei costi indiretti su ambiente e salute, pari a circa 150 milioni di euro.

Un’altra conferma che l’incenerimento non è efficiente per la produzione di energia, proviene dal Report dell’agenzia del Governo degli Stati Uniti d’America per l’ambiente (Environmental Protection Agency –EPA). Nel capitolo Energy impact, del Documentation for Greenhouse Gas Emission and Energy Factors Used in the Waste Reduction Model (WARM), Marzo 2015, si mostra che l’energia risparmiata attraverso il riciclo è da due a sei volte superiore a quella recuperata con incenerimento (Figura 2). Il confronto è basato su un’analisi di ciclo di vita (LCA, Life Cycle Assessment), che considera i combustibili e l’energia elettrica necessarie per la produzione, il trasporto e la distribuzione; e considera la quantità di energia contenuta nel prodotto stesso. Per alcuni materiali il bilancio energetico dell’incenerimento è negativo: per essi l’energia recuperata è minore di zero, poiché non raggiungono le condizioni di auto-combustione e serve energia per portare a combustione i rifiuti.

Figura 2 – Energia risparmiata con riciclo di materia e recuperata con incenerimento a parità di materiale espressa in milioni di Joule (MJ) per kg (Fonte EPA)

  1. Rifiuti speciali

I rifiuti speciali sono molto superiori a quelli urbani, in Italia vengono prodotti ogni anno circa 30 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e circa 135 milioni di tonnellate di rifiuti speciali.

Tuttavia, i rifiuti speciali sono molto diversi da quelli urbani, per natura e per normativa. I rifiuti speciali sono gestiti con un modello competitivo, ovvero non vengono utilizzate tariffe, tasse o fiscalità generale per la loro gestione e le imprese che li producono ne sono responsabili. In linea di principio, quindi, possono essere trattati anche in altri paesi, e non richiedono una pianificazione pubblica. Naturalmente, vale anche in questo caso il principio di prossimità, ovvero una preferenza per il trattamento vicino al luogo di produzione. La natura dei rifiuti speciali è molto diversa da quelli urbani. Circa il 40% dei rifiuti speciali sono rifiuti da costruzione e demolizione, che non possono essere trattati con inceneritori, e che sono potenzialmente riciclabili al 100%, circa il 7% sono rifiuti pericolosi, richiedono trattamenti particolari. Il resto è potenzialmente riciclabile (quasi) completamente, poiché gli scarti delle aziende sono per loro natura mono-materiale. E, in accordo al punto 3., è interesse economico delle aziende ridurre i propri rifiuti avviati a smaltimento.

Conclusioni

Si deve programmare una transizione verso il modello 80 kg, attraverso incentivi per la raccolta differenziata di qualità e programmando una riduzione degli impianti, in accordo alla Figura 1. In quali tempi? Nei tempi e modi che il legislatore vorrà definire e stabilire.

Alberto Bellini, Professore Associato presso Università di Bologna