L’emergenza è cambiare modello
In questi ultimi giorni si fa un gran parlare di emergenza rifiuti a Roma. La domanda è: siamo veramente di fronte ad una emergenza?
Di certo, il ricordo di Napoli e della Campania è ancora fresco nella memoria dei più. Ma il problema della Capitale non era in realtà ampiamente prevedibile, considerando l’assenza di gestioni attente, di indirizzi politico-amministrativi e di atteggiamenti non coerenti con politiche finalizzate a ridurre l’impatto ecologico e, non da ultimo, del piano regionale di gestione dei rifiuti?
Gli interrogativi però non finiscono qui: sarà mai possibile mettere in pratica nella Regione Lazio la oramai nota filosofia delle “quattro R”, riconosciuta e sancita dalle direttive comunitarie e dal codice dell’ambiente? Si potrà ridurre, riutilizzare, riciclare e recuperare, chiudendo il ciclo dei rifiuti senza bruciare e aprire nuove discariche? Intanto, lo stesso Piano regionale dei rifiuti, che dovrebbe essere approvato entro il mese di luglio, appare contraddittorio e privo di prospettive sostenibili.
Ora, al di là dell’ordinanza regionale emanata solo per sanare la situazione romana, che riguarda anche i centri di trasferenza, e con essi l’intero territorio regionale, al fine di poter smaltire le tonnellate di rifiuti accumulatisi negli ultimi due mesi, il vero obiettivo è e resta quello di ridurre, recuperare, riciclare e riutilizzare i materiali altrimenti destinati in discarica.
Per fare ciò occorre innanzitutto organizzare la raccolta differenziata, la cui gestione non è tanto un problema tecnologico quanto organizzativo: il valore aggiunto risiede nel coinvolgimento e nella condivisione dei cittadini verso politiche e pratiche tese alla sostenibilità ambientale. Una volta introdotta la raccolta porta a porta, unico sistema in grado di raggiungere in breve tempo e su larga scala, anche nelle grandi città, quote superiori al 70%(tanti sono gli esempi di metropoli nazionali, europee e internazionali), è poi fondamentale realizzare impianti di compostaggio comunale e piattaforme per il riciclaggio, il recupero e la selezione dei materiali per reinserirli nella filiera produttiva. E ancora, non bisogna dimenticare di favorire e premiare il comportamento virtuoso dei cittadini, non senza prima incoraggiarli a fare acquisti più consapevoli, introducendo una tariffazione puntuale, che faccia pagare le utenze sulla base della produzione dei rifiuti non riciclabili da raccogliere.
Ebbene, la soluzione esiste e si chiama economia circolare: un’economia progettata per auto-rigenerarsi, che non prevede scorciatoie illusorie quanto insostenibili come la termovalorizzazione o incenerimento dei rifiuti. Si tratta di un ripensamento complessivo rispetto al modello tradizionale di produzione e consumo, costruito sullo sfruttamento delle risorse naturali e orientato a massimizzare i profittidelle imprese. Adottare un approccio circolare significa pertanto rivedere tutte le fasi della produzione e prestare attenzione all’intera filiera coinvolta nel ciclo produttivo, favorendo con ciò nuova e buona occupazione e città e comunità pulite e consapevoli.
Altrimenti si affermerà l’onnipresente e trasversale partito degli affari e della termo combustione a danno della salute dei cittadini e dell’ambiente.
Bengasi Battisti e Livio Martini, Corchiano (VT)