Nella città di tutti
La “città di tutti” si fonda su regole condivise capaci di garantire a ognuno diritti e futuro.
Nei luoghi dell’abitare, in quel dinamico rapporto tra territorio e esseri viventi, si percepisce con evidente chiarezza la differenza tra il diritto e il privilegio.
Il diritto non è semplicemente un insieme di regole che tendono a garantire un vivere ordinato e tranquillo ma soprattutto un continuo, mutabile e legittimo desiderio a costruire strumenti condivisi per tutelare e restituire quei beni indispensabili per la vita aventi caratteri di esauribilità (possono finire se mal usati) e di non riproducibilità (l’uomo non può riprodurli ma solo la natura li garantisce).
È così che ogni diritto violato al singolo diventa violenta sottrazione alla Comunità. Pratiche che inquinano irrimediabilmente acqua e aria sono gravemente dannose per l’individuo e recidono irrimediabilmente quel patto tra generazioni attraverso il quale i padri e le madri garantiscono la vita ai propri figli.
Inquinare, utilizzare pratiche che spezzano l’antico e indispensabile equilibrio biodinamico, cancellare paesaggio e futuro significa attentare alla bellezza e alla salute e trasformare la “città di tutti” in “città di pochi” dove gli egoismi predominano sulla ricerca del bene comune.
I governi delle “città di pochi” prediligono e alimentano egoistiche clientele e sono la rappresentazione delle nuove nuove e dannose dittature locali. Le dittature locali tendono a cancellare il diritto trasformandolo in concessione e la legittimità dei comportamenti e’ in relazione al soggetto che li compie. Il diritto si svilisce a privilegio e il cittadino da protagonista diventa suddito.
Nelle “città di tutti” ogni violazione al diritto è delitto contro la Comunità e nella “città di pochi ” è opportunità clientelare. Nella “città di tutti ” la dignità è il grande valore e il sorriso colora i volti dei suoi abitanti, la città di pochi è avvolta in una cinica nube oscura che prima o poi il vento della moralità spazzerà via…
Bengasi Battisti