Quando e come la plastica si ricicla te lo dice RecyClass

Puoi descrivere sinteticamente come sia possibile avere una valutazione del grado di riciclabilità di un imballaggio accedendo alla piattaforma dello schema e di quali dati si debba preventivamente disporre.

E’ molto semplice, si accede al tool online (www.recyclass.eu) al quale ci si deve registrare con email e password. Lo strumento guida l’utente con delle domande a risposta multipla, dietro le quali si “nascondono” le linee-guida sul design-for-recycling che sono il cuore di RecyClass.
Occorre avere di fronte a sé l’imballaggio da valutare, completo delle informazioni relative alla sua composizione. Solo nella parte finale verrà chiesto di effettuare dei test (10) di svuotamento dell’imballaggio per misurare quanto residuo di contenuto resta alla fine dell’operazione, fattore che compartecipa alla valutazione sulla riciclabilità. Questa viene definita auto-analisi, intendendo che ogni utente può farla da sé. Quando invece l’utente intende utilizzare il logo RecyClass sull’imballaggio valutato e con la classe ottenuta, deve fare verificare e certificare la propria auto-analisi da un auditor autorizzato RecyClass. Al termine della certificazione vengono rilasciati logo e certificato da poter apporre sull’imballaggio. Il processo di certificazione viene condotto sulla base di una metodologia che, come per tutti i documenti utilizzati nella Piattaforma, è di pubblico dominio e visionabile dal sito di RecyClass.

Quali sono le variabili che entrano in gioco in fase di progettazione di un imballaggio che possono rendere più laborioso e costoso il processo di riciclaggio e influire sul “punteggio” ovvero la classe che RecyClass assegna.

Esempio di valutazione conseguita da un imballaggio in polietilene (monomateriale) con un alto livello di contenuto riciclato

Ci sono imballaggi per i quali non esiste una filiera di raccolta-selezione-riciclo e questi finiscono direttamente in classe F, di solito dopo le prime domande poste dal tool. Per gli altri imballaggi che invece hanno dette filiere, le domande vanno a valutare i singoli componenti o combinazioni, variando a seconda della tipologia dell’imballaggio valutato. Evidentemente le domande su una bottiglia in HDPE (1) saranno diverse da quelle su un film flessibile, perché diverse sono le linee-guida sottostanti. L’uso dell’etichetta sbagliata (es. in PVC su una bottiglia in PET) causa pesanti declassamenti mentre un’etichetta non ottimale ma tollerata (es. carta) causa la perdita di un solo livello nella scala di valutazione. Per ogni componente e sue combinazioni ci sono delle scelte preferite in quanto non impattano sui processi di selezione-riciclo (verde nelle linee-guida), delle scelte tollerate in quanto hanno un impatto limitato e gestibile (arancio nelle linee-guida) o non tollerate affatto in quanto mettono a rischio la riciclabilità dell’imballaggio (rosso). L’elenco di queste componenti è lungo e varia a seconda della categoria di imballaggio, può andare dal materiale di cui è fatto il corpo dell’imballaggio, fino ai collanti ed ai materiali usati per le etichette, ai materiali con cui sono fatti i tappi/chiusure o i film di sigillatura, la quantità e qualità di inchiostri usati per le stampe, gli eventuali materiali utilizzati per dare maggiore barriera alla luce o ai gas e così via. Le linee-guida sono documenti tecnici, di difficile lettura per chi non è del settore. Il tool online nasce per rappresentare un’interfaccia semplice a favore dell’utente non tecnico.

Come hanno rilevato studi e sondaggi tra cui il Progetto SCELTA (3) la preoccupazione sull’inquinamento da plastica ha indotto buona parte dell’opinione pubblica a credere che la biodegradabilità di un materiale/manufatto equivalga ad un ridotto impatto ambientale. Come stanno affrontando i brand con cui siete in contatto questo “sentiment plastic free” ?

Per quello che è il mio punto di osservazione, vedo che i brand – ingiustamente posti in fondo alla classifica dei soggetti di cui fidarsi, da quanto risulta dall’indagine effettuata all’interno del Progetto SCELTA – se opportunamente “illuminati” cercano di basare le proprie scelte su dati e quindi sull’uso razionale delle risorse. Da questo punto di vista, spesso la plastica “tradizionale” rappresenta la migliore soluzione tra quantità di risorse impiegata e risultato ottenuto, mentre la plastica biodegradabile non offre spesso una soluzione migliorativa rispetto alla plastica tradizionale. In ogni caso va raccolta separatamente per essere avviata in impianti dedicati per cui nulla di diverso rispetto alla plastica tradizionale. Al di là di operazioni di immagine, il vero punto non è quindi SE usare plastica o meno ma COME utilizzarla per conservarne i vantaggi, eliminandone l’aspetto negativo dato dal littering, che si lega spesso alla non riciclabilità e al valore negativo del rifiuto irriciclabile. Da questo punto di vista, credo la Piattaforma RecyClass sia la testimonianza vivente dell’impegno dei brands e dell’industria del packaging nel voler trovare delle soluzioni vere al problema. E’ un impegno recente ma particolarmente sostenuto. E’un peccato che il consumatore medio non possa vedere cosa succede “dietro le scene” ma sarebbe sorpreso di vedere quante risorse siano oggi dedicate a questo tema.

Come procede l’adesione dei marchi ? Considerato che le linee guida per il riciclo esistono da tempo e che RecyClass è uno schema volontario quali misure legislative e fiscali sarebbero necessarie per rendere più circolare il fine vita degli imballaggi in plastica?

Come dicevo, l’adesione è molto alta e procede a ritmi importanti. E’ vero che delle linee-guida esistono da parecchi anni, credo le prime siano degli anni ’90 da parte del EPR tedesco, ma la sensibilità vera sul tema è scoppiata un paio di anni fa. Da allora l’impegno di brands ed industria è diventato serrato e reale. Tutto ad un tratto si è scoperto che mancano degli standard condivisi (non abbiamo ancora una definizione condivisa di cosa significa RICICLABILE!) relativamente a definizioni, metodologie di prova, dichiarazioni legate alla riciclabilità. Tutto questo, se deve essere fatto bene, richiede tempo e lavoro.
Dal punto di vista normativo vedo che la Commissione EU si sta muovendo in modo coerente e credo la Plastic Strategy pubblicata a gennaio 2018 sia un testo importante e con un approccio concreto al tema. Al suo interno si prevede la definizione degli Essential Design Requirements legati agli imballaggi, cioè verrà definito per legge (Direttiva?) le cose che NON vanno fatte in sede di progettazione di un imballaggio. Questo sicuramente aiuterà ad evitare gli sprechi più macroscopici di risorse e supporterà un percorso di maggiore standardizzazione. Sicuramente la previsione di quantità obbligatorie di materiale riciclato nei prodotti/imballaggi sarà un fattore determinante per trainare la circolarità delle plastiche.
Dal punto di vista fiscale, degli sgravi (IVA agevolata, crediti di imposta per gli acquirenti, etc.) legati all’acquisto di materiale riciclato potranno aiutarne la diffusione sui diversi mercati. Da non dimenticare una leva quasi-fiscale ovvero il contributo ambientale per i beni inseriti in contesti di responsabilità estesa del produttore. La sua modularità legata alla riciclabilità del singolo imballaggio sicuramente sarà una leva per incentivare le imprese ad investire sulla riciclabilità, fatto che si tradurrà anche in una maggiore efficienza dei sistemi EPR stessi che potranno vedere migliorato il rapporto costi/ricavi da questa evoluzione. Anche uno sconto sul contributo legato alla quantità di materia plastica riciclata (lo stanno facendo in Francia) sicuramente si inserisce in questo tipo di strumenti a favore di una maggiore circolarità delle plastiche.


(1) Il polietilene ad alta densità (spesso abbreviato come HDPE, dall’inglese high-density polyethylene) è un polimero termoplastico ricavato dal petrolio.

(2)  Progetto SCELTA : Sviluppare la Circular Economy facendo Leva sulle Tendenze di Acquisto. Studio commissionato dal CONAI ad cura del Gruppo di Lavoro della Scuola Superiore Sant’Anna.

 

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