Cac differenziato: bisogna fare di più

Bene aver messo in discussione il principio per cui pagano tutti e pagano tutti allo stesso modo, perché questo significava livellare verso il basso la qualità in termini di riciclabilità, ma il raggruppare gli imballaggi per categorie fa completamente perdere l’effetto-incentivo per le singole aziende e quindi, di fatto, è inefficace.

Intervista a Paolo Glerean, board member di Plastics Recyclers Europe Association, Assorimap, PETCORE EUROPE e Presidente di PET Sheet Europe (Sector Group of EuPC)

Vent’anni dal recepimento della Direttiva Europea sugli imballaggi, dal decreto Ronchi e dalla nascita del Conai.
Una valutazione di questi vent’anni.

Se torniamo a vent’anni fa, sicuramente è stato fatto molto. L’idea di partenza è stata sicuramente buona ed è stata messa in atto in modo corretto: ha messo in moto un’economia, l’ha stimolata e l’ha fatta crescere. Chiaramente ogni tanto bisogna fare dei “tagliandi”. Usando una metafora automobilistica, se di norma si parla di tagliandi ogni 20-30.000 kilometri, in questo caso abbiamo probabilmente passato i 300.000 senza farne. Chiaramente l’auto mostra qualche problemino. Soprattutto se cresce come è cresciuta nel corso degli anni l’attività e l’importanza del mondo CONAI. Il bicchiere mezzo pieno che vedo è stata una partenza ben impostata e valida, il bicchiere mezzo vuoto è la mancanza di un rinnovamento. Parlo ovviamente per la parte plastica, che è quella che conosco meglio. Con gli opportuni tagliandi e una necessaria modernizzazione, il sistema sarebbe valido.

Quali possono essere gli obiettivi che il sistema plastica, ma in generale il sistema della raccolta degli imballaggi, si deve porre?

Gli obiettivi vengono fissati dalle direttive. Probabilmente la necessità di eseguire il tagliando di cui sopra arriverà dalla prossima direttiva imballaggi Europea che costringerà il sistema ad una revisione, fissando nuovi obiettivi. Sicuramente ci sarà una differenza non di poco conto rispetto alla direttiva odierna, saranno fissati obiettivi impegnativi, traguardi importanti. Il che significa che dovrà essere messa in atto una revisione importante. Sarà necessario mettere in campo nuove azioni che dovranno cambiare sensibilmente il sistema intero.
Secondo me è da salvare l’approccio di intera filiera, magari con un coinvolgimento diverso delle diverse parti che la compongono. Uno dei punti sarà quello di andare a premiare le aziende che producono imballaggi più riciclabili e che quindi pesano meno in termini di costi sull’intero sistema, cercando di convincere le altre, magari secondo un sistema di premi-punizioni, a non seguire delle soluzioni che aumentano i costi al sistema. Questo fatta salvo, e ritengo doveroso specificarlo, la funzione dell’imballaggio. Non ho una posizione estremista che mi porti a dire che non mi interessa nulla della funzione dell’imballaggio, basta che si ricicli. Secondo me, funzione dell’imballaggio e riciclabilità non sono e non devono essere due soluzioni alternative, ma parti della stessa programmazione. Solo in questo caso si progredisce in un’ottica di economia circolare.
La funzione di CONAI in questo caso è duplice, per come la vedo io: da una parte dovrebbe creare la cornice di regole attorno alle quali questa cosa possa diventare realtà (quindi tutta una serie di incentivi e penalità per i produttori/utilizzatori di imballaggi); dall’altra parte deve mettere in piedi un sistema di monitoraggio, controllo e reportistica puntuale di quello che sta facendo.

Una delle gambe su cui si regge il sistema Conai è quello del Cac, del Contributo ambientale. È stato fatto un tentativo di creare una declinazione del Cac secondo l’effettiva riciclabilità deigli imballaggi prodotti. Come valuta questo tentativo?

Nel valutare uno strumento bisogna sempre partire dagli obiettivi che lo strumento stesso vuole raggiungere. A livello europeo è abbastanza condivisa l’interpretazione per cui il CAC differenziato debba essere un incentivo per le aziende ad adottare imballaggi più facilmente riciclabili. Se questo era l’obiettivo, allora lo strumento pensato da CONAI è sbagliato. Sinceramente non so quale fosse l’obiettivo, ma il raggruppare gli imballaggi per categorie fa completamente perdere l’effetto-incentivo per le singole aziende e quindi, di fatto, è inefficace.
La cosa positiva è finalmente aver messo in discussione il principio per cui pagano tutti e pagano tutti allo stesso modo, perché questo significa livellare verso il basso, non verso l’alto la qualità in termini di riciclabilità. L’aspetto negativo è aver lavorato per gruppi di imballaggi invece che per singolo imballaggio, fatto questo che non fornisce nessun incentivo alla singola azienda che volesse investire sulla riciclabilità dei propri imballaggi.

Il Cac pagato in Italia è molto spesso più basso rispetto a quello che viene pagato nel resto d’Europa. Secondo lei questo è un problema che si riflette poi su tutto il sistema, fino ai corrispettivi pagati ai Comuni per la raccolta? Nel caso, qual sarebbe una soluzione?

Guardando in modo più asettico possibile il sistema, bisogna dire che il sistema intero è sorretto prevalentemente dai contributi pagati dai produttori degli imballaggi. Il loro obiettivo è ovviamente quello di raggiungere l’obiettivo minimo di raccolta/recupero al minor costo possibile. Da quel punto di vista è capibile la strategia e come è stata messa in pratica.
Parlando da cittadino e fingendo di non far parte del settore, nel momento stesso in cui mi dicono che pago un contributo e che devo mettere la plastica in un sacchetto, mi aspetto che tutto quello che metto dentro quel sacchetto venga riciclato. Se poi vedo che non è così, mi dico che c’è qualcosa che non torna. In altri Paesi è vero che il contributo è più alto, ma ci sono anche dinamiche differenti. In Italia la raccolta differenziata non la facciamo su tutto il materiale, se abbiamo un immesso al consumo d 2 milioni di tonnellate di imballaggi in plastica, ne raccogliamo circa la metà. Significa che incasso su 100 ed ho i costi su 50. Questo è un metodo per contenere i costi, ma è evidente che tanto più il 50% della raccolta tende a diventare 100%, tanto più crescono i costi e più il CAC deve aumentare. Forse una pecca del sistema in questi 20 anni, ed è uno dei punti del tagliando di cui dicevamo prima, è non avere sufficientemente investito sulla prevenzione che avrebbe portato ad un miglioramento della qualità del rifiuto raccolto e, in definitiva, ad un sistema più efficiente in termini di costi/ricavi. Intendo non aver incentivato le aziende a produrre imballi più riciclabili. E non è il trailer, il concorso che premia l’imballo più “green” che cambia il sistema. Dire al produttore: “mi crei meno costi e ti faccio partecipe di questo mio minor costo facendo gravare meno su di te il contributo” è il vero driver di cambiamento.

Torniamo alla modulazione del CAC secondo la reale riciclabilità.

Sì. Il punto è lì, ma bisogna stabilire degli standard di riferimento. È il passaggio che si sta facendo in terra tedesca. La Germania ha già legiferato prima ancora che esca la direttiva europea; hanno già fatto la legge sugli imballaggi che prevede un contributo differenziato secondo l’effettiva riciclabilità dell’imballo prodotto. La legge sarà operativa dal primo gennaio 2019. Ora stanno cercando di capire come andare a misurare la riciclabilità, a stabilire degli standard di riferimento. Credo andranno sul singolo caso, sul singolo imballo. Poi evidentemente non posso costringere il produttore che fa 250 imballi diversi a fare 250 valutazioni, ma c’è da dire che, a parte qualche caso più unico che raro, se uno fa 250 imballi, probabilmente questi saranno raggruppabili in gruppi abbastanza omogenei per cui le casistiche saranno decisamente ridotte. Ci sono delle semplificazioni possibili, sempre nell’ottica di andare a premiare (o a punire) la singola scelta di imballaggio.

Qualche attore privato però si sta muovendo in questa direzione…

Come spesso accade, il settore privato è più rapido nel capire che aria tiri e regolarsi di conseguenza. I grandi brands, o almeno una fetta sostanziosa degli stessi, sono già al lavoro per studiare imballi meno impattanti, così da farsi trovare pronti qualora la normativa dovesse premiarne l’adozione. Non pubblicizzano la loro attività, ma sono al lavoro in tal senso. Facendo questo stanno scoprendo che fare imballi più riciclabili significa anche garantirsi un accesso allargato alla materia prima seconda da essi generata attraverso raccolta e riciclo; questo permette loro di diminuire la dipendenza dal mercato delle materie prime vergini.
Ritengo però che la vera chiave di volta sarà il coinvolgimento della grande distribuzione e sono convinto che il retailer che per primo partisse seguendo questa strada, avrebbe dei vantaggi sensibili sulla concorrenza.

 

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