Foreste minacciate dal cambiamento climatico e dall’usa e getta

Il processo di sostituzione della plastica con la carta negli imballaggi dei beni di largo consumo è in accelerazione da circa cinque anni da quando la plastica è finita sul “banco degli imputati” per via dell’inquinamento ormai pervasivo causato all’ambiente. Il risultato è una maggiore pressione su una risorsa come quella delle foreste già messa in crisi dagli effetti del riscaldamento climatico.

Purtroppo, programmi volontari nati negli anni seguenti alla pubblicazione dello studio e programma “The new Plastics Economy : Rethinking the future of plastics” (2016) dalla Fondazione Ellen MacArthur allo scopo di ridurre l’inquinamento da plastica non hanno dato i risultati attesi .

Sicuramente in termini di riduzione dell’inquinamento da plastica, consumo di plastica vergine e riduzione del consumo di risorse .

Dai Plastic Pacts nazionali alle quattro edizioni del Global commitment alcuni degli obiettivi, gli impegni presi dalle aziende di rendere i propri imballaggi in plastica riciclabili, compostabili o riutilizzabili al 2025 difficilmente verranno raggiunti.

La filiera del packaging presenta impatti ambientali rilevanti essendo uno dei principali utilizzatori di materie prime con il 40% delle materie plastiche e il 50% della carta utilizzata in Europa impiegata per la fabbricazione di imballaggi (Plastics Europe). Il settore del packaging rappresenta mediamente il 36% in peso di tutti i rifiuti urbani secondo i dati di Eurostat (2019).

Economia Circolare non è sinonimo di riciclo

Venendo all’Italia, i continui accenni all’economia circolare quando si parla di riciclo, inducono l’opinione pubblica a credere che il riciclo sia la massima espressione dell’economia circolare. In realtà il riciclo di contenitori per bevande come le bottiglie in PET è spesso un processo di downcycling * che fa sì che, per realizzare nuovi contenitori, si debbano usare materie vergini non essendoci materia prima seconda da riciclo in quantità sufficienti. *Ovvero ricavare da un contenitore per bevande un prodotto di valore inferiore come un prodotto tessile nel caso del PET o componenti per l’automotive nel caso delle lattine.

Credit: Circular Design Institute

In realtà l’economia circolare [ e rigenerativa] presuppone la creazione di un benessere economico disaccoppiato dall’estrazione continua di risorse.

I prodotti monouso, come nel caso degli imballaggi in carta si basano su un consumo continuo di materiale, indipendentemente dalla provenienza delle fibre di carta che possono essere vergini o da riciclo.

Una descrizione più appropriata per l’imballaggio in carta in cui il riciclo avviene una sola volta sarebbe quello di “campione di economia lineare”, in quanto il recupero della materia prima seconda per una nuova produzione è un processo lineare altamente efficiente. Progettare invece l’eliminazione dei rifiuti estendendo l’uso e il valore massimo di un prodotto, prima che diventi nuovamente materia prima seconda per nuovi prodotti, è un principio fondamentale dell’economia circolare” scrive Tim Debus Presidente della “Reusable Packaging Association in un articolo dello scorso marzo.

La sostituzione tout court dei materiali negli imballaggi monouso a pari quantità di consumo senza ricorrere a strategie di riduzione o riuso sta cominciando a presentare il conto, e in particolare per quanto riguarda la carta.

Una situazione che ha indotto le Ong ambientaliste europee, sempre più preoccupate dell’impatto sulle foreste e sul clima, ha produrre alcuni studi e iniziative di informazione verso i politici a livello europeo.

Un nuovo studio svela gli effetti collaterali della corsa agli imballaggi in carta: deforestazione e aumento dei rifiuti

Gli imballaggi alimentari a base di carta commercializzati come un’alternativa sostenibile alla plastica, anche quando solitamente abbinati alla plastica o altri materiali con impiego di chimica, raramente includono contenuto riciclati e favoriscono la deforestazione globale e il consumo di acqua a livelli industriali” si legge nel nuovo rapporto Disposable paper Based Food packaging: the false solution to the Packaging waste crisis presentato da una coalizione di ONG che si occupano di inquinamento da plastica e deforestazione: European Environmental Bureau EEB, Zero Waste Europe, Fern, Environmental Paper Network e Rethink Plastic Alliance.

Con l’UE che sta rivedendo le sue regole per affrontare la crescita incontrollata dei rifiuti di imballaggio nella proposta di Regolamento sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio, il rapporto indaga se la carta monouso rappresenti una soluzione credibile per la crescente crisi dei rifiuti in Europa – un argomento che viene regolarmente presentato in ampie e costose campagne di lobbying da parte dei produttori di imballaggi e dei marchi dei fast-food.

L’analisi ha rivelato che gli imballaggi a base di carta rappresentano con il loro 41,1% la principale fonte di rifiuti di imballaggio nell’Unione Europea. Con 32,7 milioni di tonnellate di rifiuti generati nel 2020, la carta da sola rappresenta una quantità di rifiuti maggiore rispetto ai due flussi di rifiuti più importanti come plastica (19,4%) e vetro (19,1%) messi insieme.

I materiali a base di carta sono sempre più utilizzati per confezionare alimenti e bevande. L’industria alimentare e delle bevande rappresenta due terzi del mercato totale degli imballaggi in Europa.

A livello globale, gli imballaggi a base di carta e cartone rappresentano invece circa il 37% della domanda di imballaggi alimentari.

Come reazione agli impatti ambientali e socio-economici associati al consumo di plastica gli imballaggi di carta vengono sempre più indicati come un’alternativa sostenibile. Alla prova dei fatti gli imballaggi cartacei – si legge nel rapporto – presentano molte sfide nuove e simili alla plastica. Ad esempio quando per renderli impermeabili o resistenti al grasso oltre ad abbinamenti con altri materiali (spesso plastica) quando sono costituiti da abbinamenti con più materiali, spesso plastica, vengono utilizzate sostanze chimiche possono verificarsi migrazioni indesiderate negli alimenti. Questa tipologia di imballaggi detti compositi , oltre ad essere difficile da riciclare, si presenta anche difficile da raccogliere quando si tratta di contenitori utilizzati on-the-go. Questa condizione, unita al fatto che contengono residui di cibo, contribuisce a fare dello smaltimento o dell’incenerimento la fine naturale di questo flusso.

Soluzione proposte dall’industria del monouso tanto note quanto inefficaci

Le aziende che utilizzano questi imballaggi nel take away come McDonalds promuovono generalmente soluzioni basate su una maggiore intercettazione dei contenitori per il riciclo che prevede sia attività che si sono dimostrate nella pratica poco efficaci nei risultati, che il delegare ad un altro soggetto la responsabilità sulla loro attuazione e i relativi costi.

Per citarne qualcuna : sensibilizzazione dei clienti e del personale perché differenzino i rifiuti, posizionamento di contenitori appositi, un servizio comunale puntuale e ben organizzato. La realtà ci dice che i consumatori spesso buttano a caso creando contenitori con rifiuti misti dove il personale e gli addetti alle pulizie non ci mettono le mani (spesso per contratto).

Sul fatto che le Amministrazioni Comunali spesso a corto di risorse ( finanziarie e/o di personale) possano dedicare tempo e risorse a convincere i propri gestori dei rifiuti ad “aiutare” le catene dei fast food ad ottimizzare la gestione dei loro rifiuti, avremmo qualche dubbio. Parlando di rifiuti soprattutto nelle grandi città, e non solamente in Italia, le priorità sono decisamente altre.

Per prevenire queste situazioni paesi come la Francia hanno obbligato per legge le aziende del fast food come McDonalds a non utilizzare contenitori monouso all’interno dei locali. 

Dalla foto si può rilevare che a Berlino, dove c’è da decenni un sistema di deposito cauzionale, sono i contenitori da asporto ad essere il flusso di rifiuto preponderante nei cestini stradali. Le marche che si vedono sui contenitori sono in genere quelle che si oppongono agli obiettivi di riuso e riduzione del regolamento europeo.

Berlino, Alexanderplatz Photo credit Michael A. Kappler-Linkedin

Il proliferare di imballaggi a base di carta utilizzati intensivamente nel takeaway e nel commercio online hanno reso il settore cartario uno dei principali settori che contribuiscono alla deforestazione, in Europa e nel mondo. Circa il 90% della pasta di cellulosa è ricavata dal legno e la produzione di carta è responsabile di circa il 35% di tutti gli alberi abbattuti.

Nel 2021, le cartiere europee hanno prodotto pasta di cellulosa da 112,3 milioni di tonnellate di legno e da un volume minore, non ulteriormente quantificato, di altre fibre. Mentre circa 8,7 milioni di tonnellate di polpa
sono state importate, 5,7 milioni di tonnellate sono state esportate al di fuori dell’Europa. La destinazione principale è stata l’Asia, con
una quota dell’82% delle esportazioni europee di pasta di legno per il mercato. Del totale della pasta di legno prodotta in Europa, il 77% è costituito da pasta ottenuta chimicamente. Solo il 23% è costituito da pasta ottenuta per via meccanica o semimeccanica.

Il rapporto rivela che il Brasile è il principale fornitore di pasta di legno e carta dell’Europa superando le quantità fornite dai maggiori produttori europei come Svezia e Finlandia. Il Brasile ha triplicato la sua produzione di pasta di legno negli ultimi due decenni e ora copre un’area di 7,2 milioni di ettari, il doppio della superficie del Belgio. Le piantagioni di eucalipto e pino in Brasile stanno aggravando la scarsità d’acqua, gli incendi forestali e la perdita di biodiversità. In Europa, le foreste finlandesi emettono più anidride carbonica di quanta ne sequestrino a causa del loro sfruttamento eccessivo. In Finlandia ormai il 76% degli habitat forestali è stato classificato come minacciato.

Nel 2021, i sei principali Paesi produttori di carta e cartone in Europa sono stati: Germania (26%), seguita da Italia (11%), Svezia (10%), Finlandia (10%), Spagna (7%) e Francia (7%). Questi Paesi sono stati anche i primi produttori negli ultimi 10 anni.

Tre miliardi di alberi abbattuti ogni anno per soddisfare la domanda

Un precedente rapporto di Fern e Environmental Paper Network Unwrapping a disaster – The human cost of overpackaging uscito lo scorso aprile aveva svelato i costi ambientali e sociali causati da un massiccio ricorso agli imballaggi in carta sulla base di casi studio provenienti da Svezia, Finlandia, Portogallo, Cile e Indonesia. Lo studio ha stimano in tre miliardi di alberi abbattuti ogni anno nel mondo per soddisfare la domanda di imballaggi di carta. L’industria della pasta di legno e della carta viene definita come tra le più inquinanti al mondo e con il maggiore consumo di acqua dolce, estremamente energivora . Inoltre, consuma il 4% dell’energia mondiale ed è ad alta intensità chimica con effetti negativi per gli ecosistemi e inquinamento delle acque. Senza contare le conseguenze causate dalle piantagioni monocolturali alla biodiversità e alle comunità che vivono nelle loro vicinanze.

Una campagna finanziata e condotta da gruppi di interesse industriali contro gli imballaggi riutilizzabili senza precedenti

La posizione dell’Italia contraria agli obiettivi di riduzione e riuso

Lo stato delle foreste in Italia, Germania e Olanda

 

CONTINUA A LEGGERE >>

Leggi anche