Sono cresciuta respirandoti

C’era una volta la lettera scritta a mano, e ancora c’è, almeno a quanto dicono i fatti e i numeri. Dal 2004 c’è addirittura chi le ha dedicato un intero “Festival delle lettere”, l’associazione culturale 365 gradi di Cernusco sul Naviglio (MI).

Quest’anno, a Bergamo, siamo stati coinvolti anche noi, considerato il tema “Lettera alla mia città”. Abbiamo infatti chiesto ad alcuni sindaci della rete di prendersi un pò di tempo e immaginare di scrivere una lettera, rigorosamente a mano con carta e penna, alla propria città. Domenica scorsa, grazie al contributo degli attori Duccio Camerini, Gabriele Parrillo, accompagnati dalla musicista Sara Calvanelli, nella splendida cornice del Teatro Sociale, alcune di queste lettere sono state lette in pubblico, creando un atmosfera unica e magica.

Ecco le storie dei nostri sindaci.

“Sono cresciuta respirandoti, osservandoti, vivendoti. Da bambina ti ho amata come una grande madre che mi accoglieva nei sui spazi aperti, nelle sue colline, nelle grotte misteriose, nei calanchi unici al mondo, in cui la terra sotto ai piedi sembra franare e scomparire, lasciandoti così, senza fiato, sul punto di volare e di cadere.

Chiudo gli occhi e posso sentire ancora il profumo della tua erba tagliata di fresco,  l’odore pungente del cloro disinfettante delle piscine in cui ho imparato a nuotare, tremante per la paura e per l’acqua sempre troppo fredda. Vedo i miei compagni di classe armati di bussola e mappa, correre e ridere nei nostri parchi, mentre cercano di orientarsi per scovare tesori. Ricordo interminabili giochi estivi dove l’acqua delle tue fontane ci dissetava e riempiva i nostri gavettoni, che ogni occasione era buona per lanciarli: il carnevale, la fine della scuola, i compleanni d’estate.

Ti devo molto, se non tutto.

Le tue strade mi hanno educata. Ho imparato il rispetto e la gentilezza, che se non ti comportavi bene c’era sempre il nonno di turno che con due parole ti ridimensionava al volo. Tutti partecipavano all’educazione dei tuoi figli, in una famiglia espansa che era la comunità dei cittadini.

Ho plasmato il carattere sulle tue piazze, ho conosciuto la bellezza e il dolore, la perdita e la salvezza.

Nelle tue scuole ho conosciuto gli amici di un vita, ho imparato la disciplina, a non attribuire agli altri la colpa dei miei errori. Mi hai insegnato che non esistono scorciatoie, a parte quelle magnifiche lungo gli orti, accanto al Rio Polo, in cui gli alberi ti sovrastano imponenti e ti fanno dimenticare di essere umano. Diventi lupo o ghiro o lucertola o farfalla, in una comunione selvaggia e antica.

TI ho tradita, ad un certo punto, nell’adolescenza. Il liceo a Bologna, mi ha fatto sognare di lasciarti, di stare per il resto della vita sotto quei portici, in quel medioevo innovativo che solo il quadrilatero del Centro sa farti intravedere: giri un angolo su via dell’inferno e trovi spicchi di Paradiso. Grassa, prosperosa, furba, piena di giovinezza e di vita, piena di arte e di musica mi ha sedotta e allevata, dal liceo all’università e all’inizio della mia professione.

Ogni sera tornavo da te, però. In motorino, con la pioggia o con il sole, con l’afa con la neve e 3 gradi sotto zero. Ho riscoperto casa, appartenenza, sicurezza. Tu c’eri. Sempre. Non solo con le tue strade, palazzi, negozi, parchi, luci. Tu c’eri, come una madre che ti aspetta e ti abbraccia.

Ho iniziato presto a volermi prendere cura di te, avevo appena vent’anni e sognavo di renderti un po’ più moderna, un po’ più fascinosa, un po’ più ricca di opportunità.

Ho dovuto studiare tanto, che non sei semplice da cambiare, solida come una roccia, più conservatrice di quanto mi aspettassi. Sono entrata in punta di piedi nella grande amministrazione pulsante che è il tuo cuore, anni per comprendere come funziona e poi, mi hai spalancato le tue braccia e mi sono ritrovata al timone della più straordinaria avventura che potessi immaginare. Così in questi anni insieme abbiamo volato e lottato, pianto e riso, insieme. I parchi li abbiamo curati e resi accessibili, li abbiamo arricchiti di opportunità e bellezza, abbiamo progettato le nuove piscine, riqualificato le scuole, abbiamo candidato all’Unesco le tue grotte misteriose e i tuoi calanchi unici al mondo, abbiamo salvato la tua terra da cemento, ci siamo curate le ferite dell’asfalto e del dissesto idrogeologico. Abbiamo chiuso le sale slot che impoveriscono le famiglie e abbiamo aperto gli asili nido, gratuiti per tutti. Abbiamo progettato la più grande rigenerazione urbana che si sia mai vista da queste parti, abbiamo strappato cemento e piantato alberi e abbiamo Progettato una Casa delle Arti, Teatro Cinema e scuola di Musica, perché anche tu possa essere piena di giovinezza e di vita.

Abbiamo messo in sicurezza i ponti e li abbiamo votati alla bellezza, oltre che alla sicurezza, colorandoli con fiori.

Siamo Cresciute insieme, mia adorata San Lazzaro e insieme abbiamo fatto in modo che in tanti ti amassero come ti amo io. Questa è l’unica cosa che conta perchè posso sperare che tra i ragazzini che oggi si sbucciano le ginocchia nei tuoi parchi, ci sia qualcuno che un giorno ti accompagnerà e ti curerà come meriti.

Sarebbe fantastico e sarebbe l’unica vittoria politica di senso”.

Isabella Conti, sindaca di San Lazzaro di Savena (BO)

“Mio caro paese,

quando ho aperto per la prima volta gli occhi e la memoria, eri già da sempre adagiato in questa conca ricoperta di rocce rugose macchiate di rosso. Il tempo era immobile: le rondini garrule al tramonto, le ginestre dorate tra i sassi e le stoppie arse dal sole, i rintocchi dei campanili festosi, potenti, ovattati solo nelle poche giornate di neve. C’era solo da correre sui sampietrini grigi, dove talvolta colava il gelato, da lavarsi le ginocchia sbucciate nelle fontanelle, da arrampicarsi con le mani tagliate dai falaschi sulle pareti delle rocche. Poi, una volta arrivata sulla cima, tra i ruderi erbosi, si cominciano quasi all’improvviso a lasciar perdere le coccinelle ed i soffioni ed a guardare gli orizzonti sfumati: la Flaminia serpeggia in mezzo alle colline, che si susseguono, senza una fine, azzurre. E la conca diventa stretta, un limite, un vuoto da riempire con la vita. Si comincia a guardare l’altrove come il paese possibile: ti accorgi di parlare un dialetto che nessuno conosce, di dover specificare “in provincia di”… “vicino a”… “più o meno a due passi da”…ed un giorno ti capita tra le mani uno di quei libri che finirai per spiegazzare, riempire di sottolineature e tenere tutta una vita a portata di mano. “Le città invisibili”: già il titolo mi è piaciuto subito, perché, mio caro paese, mi sembravi un po’ “invisibile” anche tu; non solo perché sei quella parte d’Italia che raramente finisce in televisione o in un film, ma anche perché forse “invisibile” lo eri soprattutto per me. “Arrivando a ogni nuova città, il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più d’avere:l’estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più t’aspetta al varco nei luoghi estranei e non posseduti”. Ecco allora che mi ritrovo in un seminterrato di Via Armonica, di fronte ad un calco del Nilo ellenistico, a sfogliare il CIL ed un dimenticato tomo del Liber Pontificalis, nell’ardua impresa di ricostruire le tue origini, di dare voce alle tue pietre, la corniola bianca e la grigia arenaria, di capire i frammenti di lettere appena incise su una colonna di porfido rosso. Ne sono uscite 490 pagine piene di lavoro, sudore, guerre, povertà, saperi, bellezza e rovina, in cui non ho cercato solo la tua storia e la tua identità, ma in fondo soprattutto la mia, la nostra, di cantianesi”.

Natalia Grilli, vice sindaca di Cantiano (PU)

“Biccari mia, sei un tormento. Lasciatelo dire.

Mai che ti andasse bene una cosa. Fai l’impicciosa  e ci godi pure. Mi sembri una gatta immobile al sole. Guardi fiera e con un mezzo sorriso quei pochi che ancora si affannano. Non dai una soddisfazione – dico una – neanche per scherzo. Se mi avvicino per una carezza, ti alzi e ti sposti più in là. Sempre così fai, ancor di più con chi ti conosce e ti vuole bene. Ho capito che hai quasi mille anni e che al confronto con la tua chiesa sembriamo tante formichine… ma tu te ne approfitti! Dalla mia finestra, poi, mi sembri più dura del solito. Quasi un pugno chiuso con i tuoi vicoli che si vedono appena per poi sparire chissà dove.

L’altra sera, ad esempio, mi hai quasi preso lo stomaco. Neanche riuscivo a parlare più quando contavano le schede. Immagino, anzi sono sicuro, che mentre le nostre facce cambiavano ad ogni secondo, tu di divertivi a far suonare i nostri nervi come corde di violino in faccia al tuo vento. Ci hai portato per un bel po’ su e giù, come le tue salite. Ed io, come ogni altra volta, a dire e giurare che sarebbe stata l’ultima. Che ti avrei fatto fare come credi. E che ti avrei lasciato perdere. Guarda, ero pronto a litigare per davvero, stavolta!

E allora tu sei stata grigia, fredda ed incupita tutto il tempo. Da togliere ogni voglia di vederti e camminarti. Ti sei impegnata per diventare brutta. E ce ne vuole. Fino a quando non sei riuscita a farmi sentire in colpa. Viziata, che non sei altro.

Ed allora: zac! È lì che ho capito. Perché tu fai così. In un minuto ti sei rimessa il vestito migliore. È tornato il sole e mi hai fregato di nuovo.

Hai vinto tu. Vinci sempre tu, Biccari mia”.

Gianfilippo Mignogna, sindaco di Biccari (FG)

Umberto Costantini, sindaco di Spilamberto (MO)

Sandro Marchi, sindaco di Villa Verde (OR)