Stoviglie e imballaggi compostabili: serve un bagno di realtà?

Nel comunicato si fa invece giustamente accenno ad alcuni aspetti critici che possono mettere in crisi l’intera filiera del recupero dei rifiuti organi, che oggi garantisce la gestione di quasi 7.000.000 di tonnellate di rifiuti (di cui riporto integralmente un estratto) tra i quali :

1) La confusione che si genererà nei cittadini-consumatori artefici della raccolta differenziata, derivante dalla compresenza sul mercato di manufatti compostabili e quelli realizzati in materiali plastici convenzionali, porterà come conseguenza il rischio di un forte trascinamento di questi ultimi nella raccolta differenziata dei rifiuti organici, con un conseguente pesante decadimento della qualità della stessa.

2) L’aumento dei quantitativi relativi di manufatti compostabili delle più diverse fogge e dimensioni negli scarti di cucina, fino ad oggi presenti in quantitativi quasi trascurabili, avrà come inevitabile conseguenza un significativo cambiamento delle caratteristiche merceologiche e fisiche dei rifiuti organici che gli impianti devono trattare.

Infine il CIC chiede che “vengano previste adeguate risorse per effettuare gli eventuali investimenti che gli impianti di compostaggio dovranno affrontare per far fronte al cambiamento delle caratteristiche merceologiche e fisiche dei rifiuti organici prodotto dall’aumentata presenza dei nuovi manufatti compostabili”.

Siccome il caso di Alia non è destinato a rimanere un caso isolato, essendo arrivate ai media e in occasione di convegni di settore altre istanze da parte di gestori di impianti di compostaggio  che ricalcano le criticità espresse dal comunicato del CIC, è evidente che serve un piano per affrontare questo fenomeno destinato a crescere.

Perché non si mette dunque a disposizione dei decisori politici e industriali uno studio compiuto da un ente terzo che metta in luce, come si è fatto in altri paesi, quali sono i pro e i contro di un’introduzione massiccia di questi materiali rispetto allo stato dell’arte del sistema nazionale di gestione dei rifiuti, che chiarisca in cosa consisterebbero questi adattamenti tecnici degli impianti di compostaggio. E che indaghi inoltre su quali potrebbero essere le conseguenze sulla qualità del compost e sull’entità dei costi addizionali di cui la filiera dell’organico dovrebbe farsi carico: sia per adeguare gli impianti che per la gestione ordinaria di questi materiali.

Non dimentichiamo che i costi della gestione dell’indifferenziato e dell’organico sono al 100% a carico dei comuni e dei contribuenti in quanto non godono dei corrispettivi che arrivano dai consorzi Conai per la raccolta degli imballaggi.

Mi chiedo anche come ci si regolerà quando i produttori/utilizzatori di imballaggi e articoli usa e getta dovranno pagare l’80% dei costi di gestione dei loro manufatti ai comuni, in recepimento dell’ art.8 e 8 bis della direttiva SUP sulla responsabilità estesa del produttore, una volta avvenuto un suo recepimento nel nostro ordinamento nazionale.

Intanto quello che è sicuro è che stiamo aspettando in tanti che arrivino dal CIC delle linee guida che definiscano quali sono i manufatti che possano essere davvero conferiti nell’organico senza problemi e a livello nazionale e quali sarebbero gli impianti che possono gestirli in grandi quantità. Non c’è un decisore industriale di packaging con cui abbia parlato che non chieda trasparenza e chiarezza in merito, anche solamente per rispondere alle richieste dai clienti che non sono sempre informate e/o ambientalmente sensate.

Aggiornamento : pubblicato il 22 gennaio un documento di posizione di Utilitalia che ben riassume tutte le criticità che gli impianti di compostaggio incontrano nel momento attuale che si può scaricare a questo link.

CONSIDERAZIONI FINALI

Il problema reale,  sul quale non spetta al CIC esprimersi, che va ben oltre al tema, seppur importante, dell’impiantistica è invece quello della sostenibilità ambientale dei manufatti usa e getta che non si può affrontare con un puro cambio di materiali che non andrebbe a ridurre il consumo di risorse e gli effetti sul riscaldamento climatico. Secondo l’Unep I processi di estrazione e lavorazione dei beni ambientali, compresi quelli utilizzati per la produzione di cibo, generano circa la metà delle emissioni di gas serra globali e sono responsabili del 90% della perdita di biodiversità. (Fonte Global Resouce Outlook 2019).

Nonostante si legga spesso nelle ordinanze plastic free che i manufatti compostabili favorirebbero una riduzione dei rifiuti e il passaggio all’economia circolare questa affermazione non trova conferme nella realtà dei fatti. Anche sul piano scientifico studi a livello europeo non hanno rilevato una maggiore sostenibilità ambientale delle bioplastiche rispetto alle opzioni in plastica fossile. Inoltre le misure espresse dalle stesse ordinanze non prevedono , salvo rare eccezioni, leve economiche incentivanti e disincentivanti per esercizi commerciali e organizzazioni che fanno uso di stovigliame monouso. Così facendo la gestione dei rifiuti salta a piè pari le opzioni ambientalmente più convenienti della gerarchia europea di gestione dei rifiuti come la prevenzione e la riduzione dei rifiuti, anche attraverso il riuso.

Allo stesso tempo continuiamo a subire a livello nazionale la mancanza di misure legislative che promuovano strategie di gestione dei rifiuti che favoriscano quei modelli di economia circolare che si stanno invece affermando all’estero. Mi riferisco a iniziative imprenditoriali basate sul riuso dei contenitori nella commercializzazione di bevande e cibo da asporto. Tali servizi sono adottati all’interno di eventi ma anche a lungo termine come nel caso di servizi di gestione di stovigliame vario ad uso di singoli locali o circuiti di locali che condividono un network che permette ai clinti di prendere o restituire un contenitore cauzionato in qualsiasi locale.

Che piaccia o meno ai tempi del riscaldamento climatico lo stovigliame usa e getta (di qualunque materiale) rappresenta quella quota di consumo monouso di cui va fatto un uso limitato e residuale per situazioni emergenziali in cui non sia possibile ricorrere a sistemi riutilizzabili. In queste casistiche non rientrano certamente gli utilizzi nella sfera domestica e in ambiti paragonabili.

Nel caso dei manufatti compostabili, a causa delle criticità evidenziate, è necessario che possano essere attuate raccolte selettive oppure che ne venga fatto un uso closed loop come in occasione di eventi in cui possa esserci un controllo di tutto il ciclo di utilizzo: dall’acquisto dei manufatti certificati sino alla loro collocazione idonea a fine uso.

Questo, proprio per evitare quegli scenari da incubo temuti dagli stessi impianti e dal CIC, come si legge tra le righe del comunicato stampa, che possono conseguire da un utilizzo pervasivo e incontrollato delle bioplastiche.

Leggi anche : Direttiva SUP: concreto il rischio di provocare una sostituzione di materiali 

 

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