Tempa rossa e il riformismo ambientale
L’affaire Guidi e Tempa Rossa, al netto delle indagini e responsabilità giudiziarie, di cui attendo gli esiti, porta alla ribalta due temi sostanziali.
Primo, esiste uno spazio di elaborazione politica non neo-corporativa? Ovvero, esiste un luogo, uno spazio di discussione libero e indipendente da poteri consolidati e legittimamente auto-conservatori? Questo spazio dovrebbe essere occupato dai partiti riformisti, la cui crisi di valori e identità sembra tale da lasciare vuoto e non presidiato questo spazio.
Secondo, ancora una volta appare chiaro che di fronte alla scelta tra occupazione e inquinamento, tra lavoro e ambiente, tra obiettivi immediati e tutela del territorio a medio-lungo termine, la prima opzione è – purtroppo – largamente preferita dai decisori politici.
Tuttavia, questa scelta è sofferta, tanto da generare conflitti a volte aspri tra livelli istituzionali, tra Governo ed Enti locali.
Nelle comunità locali si assiste a un conflitto, un conflitto culturale tra la fascia di popolazione che è cosciente della drammaticità della situazione climatica e ambientale, e che pretende risposte e soluzioni immediate, e la fascia della popolazione che non è disposta a nessun cambiamento, perché scettica o semplicemente perché non pensa che l’azione di un singolo possa produrre risultati utili.
Purtroppo, con rari esempi, anche a livello locale, il conflitto tra le due visioni diventa sempre più aspro.
Norme come lo Sblocca Italia e gli emendamenti Tempa Rossa non sono una soluzione adeguata. Queste norme, infatti, aggirano il conflitto, negando agli Enti locali il diritto di esprimere pareri vincolanti, senza neppure definire obiettivi di lungo termine.
In un paese dove lo spazio tra un paese e quello successivo, spesso non esiste più, lo spazio per far arretrare gli immondezzai lontano dagli occhi e dal cuore dei cittadini è scomparso. Quasi sempre gli immondezzai sono a stretto contatto con aree naturalistiche o patrimoni culturali.
In questo contesto, non si possono attuare politiche di emergenza, anzi di “straordinaria necessità e urgenza” che è il fondamento dello Sblocca Italia, senza aver prima definito obiettivi strategici: quanta energia ci serve e come la produciamo, quali settori industriali vogliamo valorizzare e dove, quale agricoltura sviluppare, quale organizzazione urbanistica, quale mobilità per le nostre città, quali politiche culturali e turistiche, …
A mio parere servirebbe una rivoluzione culturale, che costruisca una coscienza pubblica e programmi una transizione a medio termine con obiettivi strategici sostenibili e compatibili con la drammatica situazione climatica e ambientale. Un compito per il fronte riformista, che deve armonizzare le tanti voci della galassia “ambientalista”, che appaiono – e spesso, purtroppo, sono – limitati a interessi locali o parziali. Una galassia ambientalista frammentata ostacola la coscienza pubblica della situazione, ormai drammatica per il debito ambientale e le forti diseguaglianze, perché ci si divide in due fronti, e la razionalità lascia il posto alla tifoseria, e la responsabilità lascia lo spazio a pigrizia ed egoismo. Il clima da tifoseria fa apparire accettabile anche una politica neo-corporativa, “qualsiasi cosa pur di non cadere nelle mani di talebani ambientalisti che dicono solo e sempre no” – questa sembra la voce della pancia del popolo.
Ecco, auspico una transizione razionale a medio termine, come strumento di risoluzione del doppio conflitto e come speranza per il futuro.
Alberto Bellini