Un cibo di comunità ritrovato

Un bellissimo articolo di Michele Corti che racconta una delle “nostre” storie più belle. Dal comune di Mezzago (MB).

Un cibo di comunità come l’Asparago rosa di Mezzago è qualcosa di indissolubile dalle vicende della comunità locale; se diventa elemento di identità, motore di dinamiche di azione locale, di ricomposizione e rigenerazione è perché c’è una corrispondenza dialogica strettissima tra i due termini, un processo di definizione e rinforzo reciproci. Il cibo di comunità è vivo dove la comunità è viva, ma a sua volta diventa un elemento di questa vitalità. Per parlare dell’Asparago rosa bisogna iniziare quindi a parlare di Mezzago.

Un piccolo comune brianzolo con non poche ragioni di orgoglio

Mezzago è un piccolo comune (una caratteristica che lo accomuna alla fascia collinare e pedemontana lombarda) della Brianza monzese. La popolazione è di oltre 4 mila abitanti anche se la superficie è di soli 4,3 kmq. La densità di popolazione è quindi piuttosto elevata ma lontana da quelle delle zone più intensamente urbanizzate della provincia, quelle a Ovest. Per fare un raffronto Nova milanese, altro comune che fa parte del movimento dei cibi di comunità con il suo pan gialt (misto mais e segale) ha una densità di oltre 4 mila abitanti per kmq. Mezzago, inoltre, ha saputo evitare quel consumo insensato di suolo che ha caratterizzato tanti comuni della Brianza dove non esiste più una demarcazione tra spazio urbano e le aree agricole. Interessato in passato da una limitata presenza di medie industrie (insediamenti all’estremo Sud del piccolo territorio), il comune ha un tessuto economico manifatturiero basato sul modello brianzolo delle PMI e ha visto negli anni accentuarsi la funzione residenziale in forza di una immigrazione dall’area milanese (“alla ricerca della campagna”). Una “campagna” che potrebbe rivelarsi un beffardo miraggio se il travaso di popolazione dalla metropoli lombarda (e dalla prima cintura), favorito dalla nuova invasiva rete autostradale,  continuasse traducendosi nella fagogitazione nella conurbazione milanese.

Il rilancio della coltivazione dell’asparago, voluto con grande determinazione e consapevolezza dall’amministrazione comunale sin dal 2000, ha risposto a un obiettivo di valorizzazione di quella che viene (forse impropriamente) definita “agricoltura periurbana” in funzione di argine al consumo di suolo, una funzione sinergica al vincolo rappresentato dalla costituzione del PLIS (Parco locale di interesse sovracomunale) del Rio Vallone. Altro che “giochi agricoli” (come li definiscono i non disinteressati fautori di visioni di agricoltura iperindustrializzata a braccetto con quelli di Tav, Ogm, autostrade inutili a quattro corsie).

La superficie edificata sino ad oggi, però, si è espansa ma ampliando il nucleo originario. Mezzago è giustamemte orgogliosa delle proprie scelte urbanistiche che sono risultato frutto di processi partecipativi e non solo di interventi illuminati degli amministratori e dei sia pur prestigiosi urbanisti chiamati a collaborare alla stesura degli strumenti urbanistici. Così come è orgogliosa di diversi altri primati, primo tra tutti il livello di partecipazione alla vita locale (con 600 “cittadini attivi” e la metà degli abitanti iscitta ad almeno una delle 30 associazioni). Molti sono i volontari che partecipano all’organizzazione della Sagra (dell’Asparago ovviamente) ma che prestano la loro opera a favore del prossimo assicurando servivi come il trasporto dei malati che si devono sottoporre a cure mediche (sotto i volontari con il mezzo).

Fulcro delle attività di volontariato è la Pro loco che è anche l’organizzatrice della Sagra. Così a Mezzago si assiste quasi ad una inversione di ruoli: l’associazionismo è talmente attivo che non solo non ha bisogno di essere sussidiato dal comune ma è esso stesso che in qualche caso sostiene economicamente delle iniziative del comune operando, in tempi di patti di stabilità e spendin review una funzione di supplenza. Questa realtà spiega anche la salvaguardia del territorio perché dove non c’è coesione e dove la comunità non si sente “insediata” in un territorio, che percepisce quale un proprio spazio, inevitabilmente gli appetiti individuali (per la “valorizzazione immobiliare”) si scatenano e non c’è amministrazione illuminata che tenga (se ci prova viene ribaltata alla succesisva tornata elettorale).

Pur con soli 4 mila abitanti Mezzago ha una grande biblioteca fornitissima e polifunzionale, “nodo” dell’avanzato sistema bibliotecario del Vimercatese  (se pensiamo a certe biblioteche comunali costrette in spazi non ideonei ed angusti…) e un’Accademia di musica classica e si organizzano vari eventi legati alla musica.

Ma non c’è solo la musica classica. A Mezzago c’è un locale famoso per la musica rock, il Bloom si svolgono principalmente concerti dal vivo, ma anche proiezioni cinematografiche, concorsi musicali, corsi, mostre d’arte e di fotografia. Si è da sempre distinto per lo spazio riservato alle nuove proposte e alle sperimentazioni. Punto di riferimento italiano per la musica rock alternativa negli anni Novanta, ha ospitato nel 1991 un concerto dei Nirvana, gruppo che aveva iniziato ad esibirsi proprio al Bloom.

Vi è poi il Maggio mezzaghese (con la Sagra dell’Asparago) con un ricco programma di eventi. Si tratta in realtà di un festival artistico e musicale (dedicato a vari generi)  Durante tutto il periodo, però, a Palazzo Archinti lavora a pieno ritmo il ristorante della Sagra – basato sul lavoro volontario – che sforna a getto continuo piatti che in larga misura propongono l’asparago rosa. Il carattere della Sagra dell’Asparago/Maggio mezzaghese non può non mettere in evidenza il ‘viaggiare su piani paralleli’ della Sagra/Festival (in cui l’asparago e l’agricoltura sono assenti) e la Sagra/Celebrazione alimentare. Su questa almeno apparente separazione di piani (che può apparire il limite più serio dell’esperienza di Mezzago).

Finora si potrebbe dire che i primati di Mezzago sono notevoli ma manca quello “spessore” che la storia e le antiche tradizioni conferiscono ad una comunità (e che sono un elemento forte della sua rappresentazione). Immancabilmente anche a Mezzago ci sono delle “glorie storiche” . E come da manuale si può verificare che le “glorie” assumono un significato identitario in quanto intrecciate alla storia recente, alla vita e alle esigenze e all’autorapprsentazione della comunità di oggi.

A Mezzago la componente che rimanda alla storia, a elementi di prestigio e di “nobiltà”: Palazzo Archinti, che per i mezzaghesi è semplicemente “il Palazzo’, spia di un senso di identificazione e di orgoglio civico, oltre che fulcro di vita comunitaria. Il Palazzo rappresenta un elemento di “capitale simbolico” di indubbia importanza anche in forza dell’evoluzione storico-sociale che simboleggia, un vero centro simbolico e funzionale.

Per quanto per secoli adibito a “corte rurale”, esso risale al XII secolo, quando fu eretto dai ricchi monaci Umiliati ed è dotato di una torre alta ventotto metri con tanto di orologio “civico” (fatto insolito in una terra dove gli orologi sono monopolio dlele chiese). Il nome del Palazzo deriva dall’acquisto, nel 1779, da parte di una famiglia Archinti, nome evocativo di nobiltà per via del facile scambio con i ben più blasonati Archinto (una delle famiglie patrizie più in vista di Milano tra XVI e XVIII secolo). Il palazzo venne quindi acquisito dalla locale cooperativa (rossa) e, per molti anni, vi si organizzarono le feste dell’Unità. In seguito è divenuto sede della Sagra dell’Asparago organizzata dalla Pro Loco e dell’Accademia di musica classica.  Testimone di rivolgimenti sociali in un’arco di vari secoli e “protagonista attivo” della vita sociale, culturale e politica locale, il “Palazzo” ha accentuato il suo ruolo centrale quando, con il muro di Berlino è caduta anche della rivalità tra “polo rosso” el “polo bianco” (da una parte il Municipio, il Palazzo, il Pci, dall’altra la Parrocchia e la Dc).

L’asparago rosa: un antidoto contro le minaccie che incombono sulla comunità

Può un umile ortaggio diventare arma per rintuzzare gravi minacce a carico di una comunità locale? Sì se diventa un elemento che lega insieme componenti diverse della realtà locale, se innesca un processo di rivalorizzazione dell’agricoltura e delle terra non più solo ettari su cui calcolare la Pac ma risorsa in grado di produrre nuovo valore attraverso la differenziazione produttiva, la produzione di  utilità multiple ambientali e socialei ricreando connessioni tra chi la terra la possiede e la coltiva e la collettività locale che è portata a riconoscerla come sua,  a difenderla, a sostenerla attraverso il consumo dei prodotti (coproduzione) o anche forme di partecipazione alla coltivazione (agricoltura civica).

La comunità mezzaghese teme, specie con le nuove autostrade (Pedemontana e Tem), di perdere il suo connotato territoriale specifico, mantenuto grazie a una politica di limitato consumo di suolo agricolo. Essa l’ha sinora preservata dal destino dei comuni brianzoli a Ovest: quello di essere fagocitati in un’indistinta area metropolitana. Ma, paradossalmente, questa politica si è ora ritorta contro Mezzago. L’aver preservato da una cementificazione disordinata il territorio ha penalizzato il comune in sede di definizione del tracciato delle nuove autostrade. “Passano qui perché è ancora verde, devono fare meno espropri”.

L’afflusso di nuovi abitanti (extracomunitari ma, ancor più, milanesi o abitanti dell’hinterland in fuga dagli alti valori immobiliari o dalla scarsa qualità di vita delle periferie) può determinare un’ulteriore minaccia alla condizione che caratterizzava Mezzago sotto il pro lo sociale. Il rischio è la ‘diluizione’ dell’elevato tasso di partecipazione, dei processi di cittadinanza attiva, della coesione sociale (specie dopo il riassorbimento delle linee di frattura ideologiche del passato). Il timore è quello, manifestato apertamente, di subire il destino dei ‘dormitori suburbani’ .

L’asparago,  si inserisce in questi processi e sconvolgimenti territoriali che rappresentano una minaccia anche per gli asparagi  perché la parte nord del paese [dove passerà l’autostrada Pedemontana] è quella più vocata per la coltivazione degli asparagi, perché drena molto di più.  Diventa uno strumento cruciale per conservare e assegnare valore (economico, simbolico, affettivo) al “verde agricolo” e per preservarlo da un destino inesorabile legato a una precaria condizione di un’agricoltura basata sulla maiscoltura che regge “no a quando c’è la Pac”. Gli amministratori sono consapevoli che non basta porre vincoli come quello del Plis (Parco intercomunale di interesse sovracomunale) del Rio Vallone. Sono consapevoli che l’asparago rosa consente alla Sagra di mantenere un legame con la memoria, con l’utilizzo del territorio, evitando quindi che scada al livello di tanti format che della “Sagra popolare” conservano solo (abusivamente) l’etichetta.

Un cibo di comunità “ritrovato”

L’asparago rosa ha superato la minaccia della Pedemontana pur avendo perso terreni preziosi. Gli ettari coltivati erano 8 nel 2012 e si profilava un problema di ricambio(l’asparagiaia non può restare in produzione per più di 9-10 anni) ma due anni dopo erano saliti a 14. Sono entrati in produzione nuovi terreni e sono entrati nella filiera nuovi coltivatori. Vi è stato un tempo, però, in cui la coltivazione dell’Asparago a Mezzago ha rischiato di scomparire per sempre. La Sagra, che risaliva al 1960 ma negli anni Novanta si dovette ricorrere all’importazione di asparagi bianchi dal Veneto. C’era la sensazione che la Sagra non avesse lo stesso significato. Anno dopo anno il rito della Sagra si era andato definendo grazie alla partecipazione di persone che conoscevano bene – coltivandoli o avendo assorbito in famiglia la cultura dell’asparago –  le caratteristiche dell’asparago locale, la stagionalità. Senza il legame tra il campo e la tavola il rito era svuotato. “Bisogna fare qualcosa”. Dopo infruttuosi tentativi di rilancio della produzione locale di asparagi ci si stava rassegnando melanconicamente ad una Sagra dell’asparago di Mezzago … senza asparago di Mezzago. Ma nel 1999 parte, su iniziativa del sindaco Pozzati il progetto di rilancio dell’asparagicoltura e  lel 2002 arrivano alle cucine della Sagra di Mezzago i primi asparagi coltivati in loco (dal 2004 De.Co: prodotto a denominazione comunale grazie all’intervento diretto di Luigi Veronelli che era estimatore del risotto con gli asparagi rosa).

Un secolo di storia e una discontinuità

A Mezzago la coltura dell’asparago risale a solo un secolo fa. Non molto ma sufficiente a sedimentare una storia (se vi sono le condizioni).  L’asparago nel comune della Brianza si è inserito solo dopo la prima guerra mondiale nel panorama agricolo   complice il grande sommovimento sociale del dopoguerra con l’espansione della proprietà contadina e comunque la rivoluzione dei patti agrari e la ricerca di nuove fonti di reddito a fronte della declinante gelsibachicoltura. Fatti che lasciano il segno nella memoria collettiva perché imprimono nella memoria collettiva coincidenze significative, associazioni. Ma perché l’asparago entrò nella coltura promiscua solo a Mezzago?  Una domanda che non trova ancora una risposta. Di fatto l’asparago divenne  elemento di distinzione dell’economia contadina locale e motivo di orgoglio in quanto molto apprezzato sui mercati cittadini di Monza e Milano. Gli asparagi erano (e sono) indiscutibilmente “di Mezzago” perché in nessun altro paese brianzolo venivano coltivati. Di ciò le comunità vicine erano (somo) ben consapevoli.

La storia dell’asparago rosa è abbastanza “densa” (il tempo lineare non è la sola dimensione che conta) perché sia diventato, in quanto prodotto agricolo, un elemento culturale  radicato nella memoria collettiva rappresentando un marcatore di senso di appartenenza locale. Nelle famiglie originarie di Mezzago è difficile che padri o nonni non lo coltivassero: “all’epoca d’oro erano 400 famiglie che coltivavano l’asparago”. Ciò ha  segnato in profondità l’esperienza della comunità nel suo complesso e l’asparago rosa è tradizione storica a pieno titolo Mezzago indicando che non sono necessari secoli per costituire una tradizione “autentica” (inducendo a diffidare di chi vuole nel liquidare come “inventate” delle tradizioni solo perché non possono vantare una lunga storia).

Per far rinascere l’asparagicoltura si è dovuto però passare dalla coltivazione  a bordo campo (di grano) all’ombra dei gelsi che connotavano in modo caratteritico  il paesaggio brianzolo  a quella a pieno campo. Oggi le asparagiaie sono organizzate  tre  file ravvicinate distanziate dalle altre da uno spazio sufficiente al passaggio della baulatrice meccanica (per la realizzazione dei cumuli). L’abbandono delle tecniche tradizionali è stato determinato non solo da esigenze di meccanizzazione ma anche, in modo “strutturale” dalla trasformazione del paesaggio agrario profondamente cambiato (con la scomparsa dei gelsi e l’aumento delle dimensioni dei campi). A Mezzago a questo punto il sapere implicito contadino non poteva più assistere la coltivazione (di qui i fallimenti precedenti al progetto del 2000). È stato necessario rifarsi a saperi esperti (Istituto sperimentale di orticoltura) e scendere anche ad un altro compromesso introducendo l’asparago di Bassano.

L’operazione di recupero e adattamento al nuovo contesto sociale e agronomico è però avvenuta attraverso una ‘negoziazione’ che ha visto come protagonisti attivi un gruppo di neo-coltivatori che erano passati attraverso l’esperienza operaia ma con background famigliare agricolo. Essi erano fortemente motivati dal desiderio di non disperdere una tradizione agroalimentare che si era rafforzata nel corso di più generazioni e aveva fortemente influenzato la vita del paese, rappresentando una fonte non trascurabile di reddito e conferendo al paese un elemento che lo distingueva da quelli del circondario. In questo caso una componente soggettiva (l’azione consapevole di costruzione e difesa di una tradizione) compensa efficacemente una storicità “oggettiva” che non può vantare ascendenze secolari.

Soggettività locale e stimolo istituzionale

L’esperienza di Mezzago insegna che l’azione di stimolo da parte dell’ente locale ha successo quando ci sono condizioni sociali e culturali adeguate. Se fosse stato rivolto agli agricoltori professionali il “Progetto asparago rosa” non sarebbe mai decollato. Neppure se l’ente pubblico avesse investito molto di più.  Ha giocato lo spirito diffuso di volontariato, il nesso tra la Sagra, l’asparago e lo stesso volontariato (che si autofinanzia cucinando asparagi), la memoria storica, il legame “affettivo” con l’asparago e tutto quello che evocava, dagli anni Venti agli anni Sessanta (con la prima ondata di turismo gastronomico di milanesi e monzesi). Ricordi di un paese apprezzato, vissuto da residenti e gente di “fuorivia”.

A Mezzago i soci della cooperativa Caam hanno versato a suo tempo 1 milione di lire e alcuni di essi svolgono, sempre  a titolo volontario, le operazioni di trasporto, pulitura, calibrazione e confezionamento degli asparagi (la raccolta è svolta da una famiglia di quattro rumeni). “Non lo farei se fossero patate o fragole”, ci tiene a precisare uno di questi soci-lavoratori volontari nell’intervista somministratagli: indicando le motivazione (i valori della tradizione, di un elemento riconosciuto come costitutivo dell’identità e del collante locale) di questa che, anche a Mezzago, può essere definita una forma di economia sociale, sia pure in un quadro di partenariato con l’amministrazione comunale. Questa, infatti, non solo ha accompagnato la nascita della Cooperativa Caam (Cooperativa agricola asparagicoltori di Mezzago).  ma ha svolto anche un ruolo “imprenditoriale” tanto da finanziare con settanta milioni di lire l’acquisto delle ‘zampe’ (le radici di propagazione) per avviare la rinascita della coltivazione dell’asparago rosa. Il sindaco era Vittorio Pozzati (così come oggi è Vittorio Pozzati ad aver spinto la coop di Mezzago – per lungo tempo dedita all’edilizia –  tornare ad essere come alle origini coop agricola). Va detto, anche per sfatare alcuni luoghi comuni sulla figura del “sindaco imprenditore” brianzolo che l’amministrazione mezzaghese (sempre in continuità con le precedenti) si è accortamente limitata alla  “direzione strategica”  in un delicato gioco di accompagnamento attento a non sostituirsi alla iniziativa dal basso.

L’operazione asparago ha avuto successo sia sotto il profilo sociale che agricolo. Oggi il 30% della produzione dell’asparago rosa è destinato alla Sagra – un evento che si inserisce in un Maggio mezzaghese ricchissimo di appuntamenti – che assume un ruolo chiave nel contesto delle dinamiche locali garantendo l’autofinanziamento delle attività culturali, sociali, assistenziali. Ma non va trascurato il ruolo di  veicolo di socializzazione e integrazione.

I ‘volontari dell’asparago’ sono impegnati a tempo pieno solo per i due mesi della raccolta e della Sagra del ‘Maggio mezzaghese’ mentre, durante il resto dell’anno, sono attivi in altri ambiti dell’associazionismo. La Caam rappresenta in ogni caso qualcosa di diverso di un’impresa economica (ruolo in cui la legislazione sulle coop vuole imprigionarle) assumento la veste di una  realtà ‘ibride’ (come per esempio la Società valli del Bitto aGerola alta) che, sotto le specie di forme giuridiche diverse, operano come collettori di risorse e competenze di vario tipo per la realizzazione di progetti di comunità.

La realtà dell’asparago di Mezzago è una realtà molto inserita nel contesto della comunità al quale apporta un significativo contributo. Resta il problema del ricambio generazionale dei volontari. I giovani che affluiscono al ‘Palazzo’ (Palazzo Archinti sede, tra l’altro, della Pro Loco) per svolgere il lavoro di volontari in cucina e nel servizio in tavola non paiono invece attratti dalla prospettiva di raccogliere il testimone dagli “anziani” della coop.  Anche su questo fronte, però, la svolta della Coop ex agricola e di consumo, poi edilizia oggi di nuovo agricola (segno dei tempi!) appare premessa alla soluzione anche del problema specifico della coop dell’asparago che, con l’agricoltura riportata a nuova centralità, dovrebbe avere molte più chance di attrarre forze fresche (impegnate negli altri 10 mesi su altri fronti agroalimentari).

Sostenibilità economica

L’asparago rosa non ha rappresentato solo un successo dal punto di vista sociale e dell’immagine. Una volta che la coop con i suoi volontari ha aperto il terreno ( (messa a disposizione di modelli tecnici e organizzativi e apertura di canali commerciali), la creazione di un vero e proprio nuovo mercato) all’entrata nella filiera degli imprenditori agricoli. A Mezzago, l’asparago rosa fattura 300 mila euro.  Il prezzo degli asparagi rosa di Mezzago è nettamente più elevato rispetto al mercato (4 euro il mazzo della prima qualità). Il processo economico innescato ha determinato l’entrata nella  filiera di aziende agricole professionali e quindi il coinvolgimento della Gdo (Coop ma anche Esselunga che mette in commercio l’asparago rosa per limitati periodi anche in alcuni negozi di Milano). Un nuovo canale  è rappresentato anche di gruppi di acquisto solidale (Gasparago). Quanto alla ristorazione, a parte il lungimirante Matteo Scibilia (Osteria della Buona condotta) si deve registrare – caso non certo isolato – una forte delusione nel recepire le opportunità di una materia prima pregiata in un territorio che offre ben poco d’altro.

L’esempio di Mezzago  mette però in evidenza l’importanza della presenza di soggetti propulsori (in questo caso il Comune e la cooperativa). Questi soggetti hanno perseguito consapevolmente gli obiettivi della fase di start-up, consci dell’assunzione di costi che, almeno per una fase di avvio, non avrebbero mai potuto essere assorbiti da singoli operatori economici.

Prospettive

Gli esponenti (presenti e passati) dell’amministrazione mezzaghese personalmente impegnati in vari ruoli  nel “progetto asparago” sono consapevoli che esso rappresenta solo una soluzione parziale a un sistema agricolo fragile (“piantano sempre mais e grano e basta”). Sulla scorta della  positiva esperienza dei Gas (esiste anche un ‘GASparago’) essi stanno pensando a nuove dimensioni di un’agricoltura basata anche se attività agrididattiche, agrisociali, in grado di coinvolgere altre associazioni, giovani, singoli cittadini.  La coop Mezzago, sotto l’impulso di Antonio Pozzati sta proprio pensando a questo. Si tratterebbe di tornare alle origini (la coop era nata come agricola nel lontano 1920). In  un futuro forse non molto lontano si potrebbe assistere (magari sotto forma di vigneto civico) ad una ripresa della coltivazione della vite, storicamente radicata nel Vimercatese (anche se ormai assente dalla memoria storica).  Non mancano poi gli stimoli costituiti dalle esperienze positive sul mais e gli altri cereali (di varietà tradizionale) anche in ambito lombardo. Da questo punto di vista si apre lo scenario di reti sovralocali (come quella dei mais antichi) in grado di supportare con l’esperienza collettiva e adeguato expertise i “nuovi arrivati”. Nova Milanese con il progetto del pan gialt ha già potuto avvalersi del supporto di Gandino (vero fulcro di azione di rete) e del CRA-MAC di Bergamo. A Mezzago sono già in contatto con questa rete (che si sovrappone peraltro a quella del “cibo identità”, ovvero delle sei località trattate nel volume “Cibo e identità locale”. Sul fronte dell’asparago è invece Mezzago che grazie anche ai contatti con località estere di produzione dell’asparago può fungere da “perno” a vantaggio di realtà come Cilavegna e Cantello (per restare in Lombardia).

Anche una forma di ricerca partecipata (a differenza di quella mordi e fuggi) può aiutare attraverso l’autoriflessività dei soggetti locali la crescita dei cibi di comunità.