Qualcosa si muove

Ora, terremo gli occhi aperti e valuteremo bene i prossimi passi dell’amministrazione comunale di Bologna. Il dato culturale però è evidente. Opzioni che sembravano eresia fino a pochissimo tempo fa oggi sono sulla bocca (e nelle azioni conseguenti) di sindaci di grandi città. Qualcosa si muove, per il verso giusto finalmente. Ecco come descrive l’opzione zero cemento di Bologna il Corrieredibologna.it.

«Le imprese se ne devono fare una ragione. A Bologna non si costruisce più, gli ambiti di nuovo insediamento che erano stati previsti dal Psc non saranno messi in gioco». Questa la sostanza della risposta durissima del sindaco Merola all’Ance e a Legacoop che gli hanno spedito una missiva per protestare contro la cancellazione degli ambiti di sviluppo in quattro aree della città (Pioppe, Nuova Corticella, San Vitale, Savena), dopo che le imprese aderenti alle associazioni hanno investito circa 90 milioni di euro per acquistare le aree in quelle zone.

Cominciamo dall’inizio. Lei come assessore all’Urbanistica della giunta Cofferati fa approvare il piano strutturale comunale che prevede quattro aree per nuovi insediamenti.

«Vero, allora — spiega Merola — sembrava un successo essere riusciti ad approvare il Psc in tre anni. Noi in pratica ereditammo dalla giunta precedente la previsione di costruire 20 mila nuovi alloggi in città e dimezzammo quella previsione portandola complessivamente a 12 mila alloggi».

Allora era il 2008 e sono passati sette anni: non è mai arrivato il Piano operativo comunale che consentirebbe di entrare nella fase della realizzazione.

«Lo scenario da allora si è profondamente modificato. C’è stata la crisi economica, ci sono molti alloggi invenduti in città, ci sono i comparti del Lazzaretto e del mercato ortofrutticolo che devono essere finiti. E poi c’è stata una riflessione, anche nell’ambito della nuova città metropolitana, sul consumo del suolo».

E quindi non se ne fa più niente?

«Noi crediamo che non abbia più senso mettere in gioco le previsioni del Psc, anche perché nel frattempo ci siamo concentrati sulle ex aree militari, sulle ex caserme. L’assessore Gabellini ha appena presentato un Piano operativo comunale diffuso di riqualificazione con 35 interventi in città. Bisogna comunque prendere atto che c’è stato un salto nella discussione urbanistica e che, ora, non si parla più di nuovi insediamenti, ma di rigenerazione dell’esistente. Si parla tanto di praticare il consumo zero di suolo, noi adesso passiamo dalle parole ai fatti».

Il discorso è chiarissimo: però le imprese, alcune delle quali sono fallite, sostengono che è mancata la responsabilità nei loro confronti e che si è deciso un cambio di strategia che pagheranno loro.

«Le imprese non avevano diritti edificatori, quelli li attribuisce il Piano operativo comunale».

Però voi facevate pagare l’Imu come se quelle aree fossero edificabili e solo ora, dopo la minaccia di contenziosi, siete tornati indietro.

«Le questioni urbanistiche sono molto complesse, bisogna riformare la legge regionale 20 e noi siamo un Paese in cui manca una legge nazionale sull’Urbanistica. Comunque non ci sono più le condizioni per lavorare sulla cementificazione, se ne facciano una ragione».

A Bologna non si costruisce più e questo è chiaro. Quali altre possibilità ci sono per le aziende? C’è l’ipotesi di compensazione anche se in realtà non avevano formalmente in mano dei diritti di edificazione?

«Si può avviare una discussione, nell’ambito della formulazione del futuro piano regolatore metropolitano, di come eventualmente compensare la riduzione di volumi in un territorio con l’esigenza di maggiore sviluppo in altri paesi della provincia. Io immagino un piano regolatore metropolitano che si incardini sul servizio ferroviario metropolitano. Però penso che la strada sia sempre quella di lavorare sulla riqualificazione più che su nuovi insediamenti».

Il dibattito sulla crisi drammatica delle imprese di costruzione si è riavviato perché nei giorni scorsi c’è stato il caso di Coop Costruzioni che ha annunciato 200 esuberi. Ora si tenta la strada della cassa integrazione in deroga, crede che tutto finirà bene o ha dei dubbi?

«Io penso che si sia compiuto un passo in avanti molto importante e sono ottimista sulla conclusione della vicenda. Si è deciso di puntare su un ammortizzatore sociale conservativo come la cassa in deroga: questo consentirà di salvare l’azienda e di avviare il processo di ristrutturazione in maniera migliore».