Plastica unita contro il marine litter ma anche contro le sue soluzioni

L’industria delle materie plastiche ancora si interroga su come ridurre l’inquinamento dei mari causato dalla dispersione di rifiuti. Perché non passare invece ai fatti sulla base dell’evidenza scientifica prodotta da diversi studi che, oltre a mappare e quantificare le esternalità negative dell’attuale gestione della plastica, forniscono allo stesso tempo delle soluzioni?

La lotta all’inquinamento marino  – si legge su Polimerica.it – causato dalla dispersione incontrollata di rifiuti in ambiente, il cosiddetto marine litter, è stata al centro dell’edizione 2016 di PolyTalk, la conferenza organizzata ogni anno da PlasticsEurope, federazione europea dei produttori di materie plastiche, per affrontare i temi legati all’impatto ambientale dei materiali plastici. Con il titolo “Zero Plastics to the Oceans”, la conferenza ha riunito il 16 e 17 marzo scorso a Bruxelles 250 rappresentanti del mondo dell’industria, della politica, dei media, oltre ad associazioni non governative, scienziati e università, che hanno discusso sulle cause del marine litter e su come l’industria del settore può contribuire a mitigarne gli effetti.
Per fornire una piattaforma dove scambiare informazioni, buone pratiche e aggiornamenti sui progetti in corso, è stato lanciato proprio in occasione della conferenza il portale Marine Litter Solutions, un sito internet che riporta le iniziative condotte dalle oltre 60 associazioni delle materie plastiche di 134 paesi che nel 2011 hanno firmato la “Declaration of the Global Plastics Associations for Solutions on Marine Litter”.
Andando sul sito si trovano alcuni dei 185 progetti avviati o conclusi per ridurre l’impatto ambientale della dispersione di plastiche nell’ambiente. I progetti riguardano il recupero di rifiuti plastici in mare, operazioni di pulizia spiagge, l’organizzazione di convegni e campagne di sensibilizzazione, progetti di supporto al riciclo e la redazione di studi. Il progetto presenta alcune caratteristiche di fondo che sono comuni ad altre iniziative ambientali realizzate dall’industria della plastica su base volontaria.
Mancano ad esempio nei progetti quelle azioni legate alla prevenzione o Precycling nella fase della progettazione industriale che è quella che determina l’impatto del ciclo di vita dei prodotti.  Eppure le aziende anche in assenza di legislazioni stringenti possono fare la differenza: progettando secondo i criteri dall’ecodesign , utilizzando materie prime seconde per ridurre il consumo di risorse (la dipendenza da approvvigionamento di materie di origine fossile) e rendere possibile la nascita di un mercato per la plastica post consumo. Le aziende possono inoltre aderire o promuovere sistemi di ERP (responsabilità estesa del produttore) che prevedano anche l’applicazione del deposito su cauzione per il packaging, invece di avversare il sistema come abitualmente fa l’industria del beverage.
Non aiuta certamente il fatto che all’interno del fronte dei promotori manchino altri stakeholder della catena del valore della plastica che potrebbero assicurare quella spinta verso il cambiamento necessaria; primo fra tutti il mondo del riciclo.
E’ evidente che in assenza di un quadro di gestione stringente e globale per gli imballaggi- fondato sul Precycling e sull’intercettazione finale degli stessi per un riciclo ecoefficiente- il valore economico della plastica continuerà a disperdersi nell’ambiente, con le gravi conseguenze che stiamo imparando a conoscere sempre più nel dettaglio.
Per fortuna si fanno strada tra i produttori di packaging imprenditori socialmente responsabili come Michael Brown di Packaging 2.0 Inc. (Jamestown, R.I.)  che non solo offrono imballaggi innovativi in plastica riciclata e riciclabili, ma che non nascondono la testa nella sabbia quando si tratta di affrontare la problematica del fine vita inglorioso della plastica. Purtroppo al momento Brown, che ha partecipato a spedizioni di monitoraggio della plastica in mare e ha invitato i colleghi all’azione , è parte di un’esigua minoranza. La maggior parte delle aziende del settore si allinea, come avviene negli USA, alle azioni di contrasto a qualsiasi misura che tassi, vieti o regolamenti l’immissione di sacchetti e altri imballaggi nel mercato supportate dall’American Chemistry Council. Ecco un articolo  di Danna Moore Pfahl -consulente aziendale con un passato nelle ONG- che ben descrive la situazione attuale e invita allo stesso tempo l’industria a “cambiare il gioco” .
Non  appare più comprensibile e neanche giustificabile che l’industria delle materie plastiche debba ancora interrogarsi su come ridurre l’inquinamento dei mari, perché già esiste tutta l’evidenza scientifica necessaria per passare ai fatti. Sono già stati prodotti negli ultimi due anni diversi studi che non solamente mappano e quantificano il danno ambientale ed economico dell’attuale gestione della plastica, ma che forniscono allo stesso tempo delle soluzioni implementabili.
Gli studi di rilievo usciti negli ultimi due anni sono infatti tre: Valuing plastic del 2014, “Plastic waste inputs from land into the ocean” e “Stemming the Tide: Land-based strategies for a plastic-free ocean” (entrambi del 2015) di cui vi abbiamo già raccontato in un post dal titolo Plastica in mare: la soluzione è un diverso modello produttivo.
Questi studi sono stati tutti ripresi nel più recente report: The New Plastics Economy: Rethinking the future of plastics prodotto dal World Economic Forum (WEF) e dalla Ellen MacArthur Foundation (EMF) con il supporto tecnico di McKinsey & Company all’interno del progetto MainStream Il video  di presentazione si può visionare cliccando qui.

Ecco una scelta tra i dati più significativi riferiti alla prima parte dello studio che fotografa la situazione a livello globale :

-La produzione della plastica in 50 anni è crescita 20 volte passando dalle 15 milioni di tonnellate del 1964 alle 311 milioni di tonnellate del 2014. Si prevede un raddoppio del consumo attuale nei prossimi 20 anni  e una sua moltiplicazione per 4 al 2050.New Plastic economy

-Nel 2013 sono stati immessi nel mercato 78 milioni di tonnellate di packaging in plastica per un valore pari a 260 miliardi di dollari. La produzione di packaging rappresenta il 26% in volume della produzione totale di manufatti in plastica. Dal 2000 al 2015, la quota della plastica all’interno dei volumi complessivi del packaging è cresciuta dal 17% al 25% spinta da una crescita annua del 5%. Complici fattori come il basso costo la versatilità, la leggerezza e l’alta performance della plastica per quanto concerne trasporto, conservazione e protezione degli alimenti.
Il mercato degli imballaggi di plastica è in crescita con stime che indicano un raddoppio dei volumi di vendita attuali entro i 15 anni e una loro quadruplicazione al 2050 con  318 milioni di tonnellate immesse al consumo (un po’ di più della produzione complessiva dell’intera industria plastica del 2014 pari a 311 milioni di tonnellate).

Tuttavia il 95% del valore del packaging, stimabile in 60-120 miliardi di dollari, si perde dopo un singolo utilizzo. Delle 78 milioni di tonnellate di packaging immesso al consumo il 72% non viene recuperato. Mentre il 40% va in discarica il 32% sfugge ai sistemi di raccolta “legali”.

 

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